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GIUSEPPE ROVELLI
Il marchese Giuseppe Rovelli nacque da Camillo e da Maria Cigalini in Como nel 1738. Datosi alla storia patria sull’orme di coloro che avevano raddrizzati quegli studi, non perdonò a fatica per illustrarla e sceverarla dal falso, onde l’avevano ingombrata l’ignoranza, l'affetto del meraviglioso, la superstizione dei cronisti. Nell'opera sua non vuolsi dire che conoscesse la difficil arte di legare la rapidità del racconto all’interesse, la concisione non arida alla pienezza non prolissa; che sapesse far riflettere dipingendo, essere sempre gradito senza cessare d’essere veridico: però vi si trova invariabilmente ordine, semplicità, verità, chiarezza: stile così schietto, che disarma la censura: giudizio ingenuo e netto da passione, inteso al giusto più che all’affetto: amor del bene, fiducia del civile perfezionamento; epperò Tiraboschi, che non vendeva tanto per linea lodi e vituperi, lo giudicò modello ottimo delle Storie Municipali. La patria, anticipandogli quella considerazione che per lo più non s’ottiene se non cessata la gelosia dei contemporanei, a lui ancor vivo pose una lapide nel municipio. Entrato il Rovelli ne’ giureconsulti comaschi, fu dei quaranta decurioni, dettò le istituzioni di Giustiniano, fu protettore dei carcerati, poi assessore patrizio nella congregazione dello Stato: entrò nel Collegio dei possidenti: servì la patria negli uffici municipali: onestissimo e di gran sentimento nelle leggi: senza fasto, senza bisogni, senza invidia, spartiva le ore fra la pietà, lo studio, la cura della cosa pubblica, il cui affetto è più naturale ai più insigni cultori delle liberali discipline. Osservantissimo della religione, — e questa religione che santifica il dolore, che mentre pare tutta rivolta al cielo, nutre quaggiù le virtù cittadine, accompagnò in tutta la vita il Rovelli, e ne raccolse l’ultimo rassegnato sospiro il 25 maggio 1813.