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Novella LIII - Befìa fatta da un contadino alla padrona, e da lei al vecchio marito che era geloso, con certi argomenti ridicoli
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IL BANDELLO

al molto magnifico signore

il signor

pietro marcano


Ebbi non è molto lettere da Roma da mio padre, il quale mi scrive de la gratissima accoglienza che voi fatta gli avete con tante cortesi offerte, il giorno che egli era venuto a far riverenza a T illustrissimo e reverendissimo signor Pompeo Colonna cardinale mio signor e padrone. Io aveva assai largamente, quando voi eravate in Milano con il nostro commun padrone l’eccellentissimo signor Prospero Colonna, conosciuto ed espe- rimentato la cortesia vostra ed insieme la liberalitá e quanto séte magnanimo; il che mi v’aveva reso infinitamente ubligato. Ma ora ciò che fatto avete a mio padre, che fuoruscito di casa sua senza punto di colpa se ne dimora in Roma, m’è cosí entrato nel core e tal nodo ha agli altri oblighi aggiunto che io confesso non esser possibile che uomo al mondo, per qual ricevuto beneficio che si sia, possa trovarsi piú obligato di quello che io sono al mio magnanimo e nobilissimo Margano. E perché, come altre volte in Milano vi dissi, in me forze non sono per sodisfar a cotanti e cosí estremi oblighi, non so io che altro fare se non che per fuggire l’abominevol vizio de la ingratitudine mi confessi debitore, ed ove il poter non è, mostri almeno l'animo esser pronto e grato. Il che con questa mia faccio. Ora se non fosse che da me la grandezza de l’animo vostro è conosciuta, io mi sforzarci con belle ed accomodate parole quanto piú mi fosse possibile di ringraziarvi. Ma io so che vie piú stimate far piacer ed utile a qualunque persona si sia che da altri riceverne. Nondimeno a ciò che possiate vedere che io di voi sono ricordevole, v’ho scritta questa mia che con una de le M. Bandello, Novelle. 242 PARTE PRIMA mie novelle ho accompagnata, non m’essendo uscito di niente quanto volentieri quando eravamo insieme leggevate le cose mie. Questa novella ch’io vi mando non è molto che in una onorevol compagnia, ragionandosi de le beffe che fanno le donne ai lor mariti, fu narrata da messer Scipione Pepolo, disceso da messer Giovanni Pepolo dal quale il signor Bernabò Vesconte per molte migliaia di ducati comprò Bologna in quei tempi che la Chiesa romana risedeva in Avignone. Essa adunque novella al nome vostro scrivo e consacro come frutto nato da uno che è tutto vostro. State sano. NOVELLA LIII Beffa fatta da un contadino a la padrona e da lei al vecchio marito che era gelosio con certi argomenti ridicoli. Infiniti veramente son quei modi che le donne usando quando non ben contente di quel di casa che loro non pare a sufficienza, ricercali di fuora via proveder ai casi loro; infiniti, dico, sono i modi con che i mariti si trovano ingannati. E ben che ciò che io ora vi vo’ dire possa esser stato da voi inteso, nondimeno ove egli sia avvenuto non intendeste forse già mai. Il che intendo io ora di dirvi se m’ascoltarete, come ho fede in voi, portando ferma openione che il mio dire vi porgerà diletto. Devete adunque sapere che al tempo del glorioso duca di Milano il duca Filippo Vesconte, fu in Pavia una giovane de la famiglia de’ Fornari, che fu maritata in un messer Giovanni Botticella dottore che era d'età di cinquanta anni e più; il quale essendo molto savio per lettera, perché era legista famoso e dottissimo, a me pare che per volgare si fosse mostrato molto pazzo, entrando in quella età nel farnetico di prender moglie e pigliarla giovane di meno di vent'anni. Ma se i savi talora non errassero, i pazzi si disperarebbero. Era la giovane, che Cornelia aveva nome, assai appariscente, con viso assai bello e ben fatto, se ben non era il più angelico del mondo; ma tanto era piacevole e baldanzosa e tanto ardita che più esser non poteva. Del che messer lo dottore in breve NOVELLA LIII •243 avvedutosi, tardi pentito d’aver preso una moglie cosi giovane, conoscendosi vecchio e mal in ordine a poterle sodisfare, di lei in modo ingelosi che non sapeva ove dar del capo. Egli era negli affari de la città molto da' suoi cittadini adoperato e sovente eletto dal comune consiglio 'per ambasciatore al duca Filippo, il quale esso dottor vedeva volentieri per averlo domesticamente praticato alora che vivendo il duca Gian Maria suo fratello, egli sotto titolo di conte Pavia possedeva. Quando poi il dottore dimorava a Pavia, tutto il tempo consumava per i suoi clientuli, ora dando lor udienza, ora comparendo innanzi al podestà ed ora al tribunale del ducal commessario e governatore. L’amore ch’egli portava a la moglie, o per dir meglio la fiera gelosia eh’acerbamente il core gli rodeva, lo sforzava che egli di continovo come un nuovo Argo veg- ghiasse, e stando il di e la notte appresso lei, l’azioni di quella diligentemente considerasse. Da l’altra parte la superbia e la temeraria ambizione che meravigliosamente sopra di lui potevano, l’astringevano ad attender a le cose de la sua patria e non mancar a questi e quelli che tutto il di per consiglio, favore ed aita a quello ricorrevano. Onde più poter ebbe in lui la superbia e l’ambizione che tutto il resto. Nondimeno non cessando mai il pungente ed acutissimo stimolo de la gelosia di pungerlo e miseramente cruciarlo e con mordacissimi pensieri affligerlo, per assicurarsi de la móglie quando andava fuor de la città o de la casa, fece di modo conciar tutte le finestre che sovra la via guardavano che da quelle non si poteva veder persona alcuna. E perché tutto il giorno la casa stava piena di gente, fece far ne la camera terrena del suo studio un uscio tra la pusterla e la porta, a fine che nessuno avesse occasione d’entrar dentro il corti! de la casa. Ordinò poi a la moglie che a modo veruno non smontasse le scale, non volendo che ella praticasse ne le stanze terrene; del che la mal maritata Cornelia se ne viveva in tanto e si fatto fastidio che n’era per impazzire. A le messe andava solamente le feste, e bisognava che andasse la matina a buon’ora a la prima messa che nel far del giorno a la parrocchia si diceva, e da un servidore per 244 PARTE PRIMA commissione di messer lo dottore v'andava accompagnata. De le predicazioni, vespri ed altri divini offici non accadeva parlarne, e meno d’andar a feste e nozze se ben era invitata. Ma quello che più d’ogn’altra cosa la sventurata e disperata giovane tormentava era il vedersi un marito vecchio a lato, che tante vigilie e digiuni far le faceva che a pena una volta il mese la copriva, e massimamente dopo il primo figliuolo che ella fece il primo anno del suo infelice maritaggio. F.d ella averebbe voluto tutte le notti esser ben coperta e non perder cosi miseramente la sua gioventù. Ma era tanto gramo e di si poca lena il dottore che quelle poche volte che con madonna Cornelia veniva a battaglia, ancor chfe molto di rado vi venisse, stava dapoi molti e molti di prima che egli potesse ristorar le perdute forze; e si credeva pure con buone parole e certe ragioni sue poco importanti che le diceva, appagarla. Il che era indarno, perciò che la mal pasciuta giovane averebbe voluto fatti e non parole. Ora essendo ella stata circa quattro anni in cosi misera vita e veggendo che di quel di casa non poteva in guisa alcuna prevalersi, poi che assai sopra questo ebbe pensato, deliberò buttarsi a la strada e procacciarsi di quello di fuora trovando persona che le provedesse di quello che più le bisognava. Ma tanta era la solenne e continova guardia che l’era fatta, che molto malagevolmente poteva far cosa che profitto le recasse. Veggendo adunque l’estrema difficultà che aveva in trovarsi gentiluomo pavese o scolare che il suo mal coltivato orto innacquasse, pensò per altra via d’adacquatore provedersi. Aveva il dottore alcune sue possessioni a Seivano, villa del Pavese, ove teneva di continovo un fattore con massari per lavorar le possessioni. Tra’ lavoratori uno ve n’era giovine di circa ventisett’anni, assai grande di persona e per contadino appariscente di volto e ben costumato, e sovra ogn’altro gagliardo ed aiutante; il quale ancor che fosse scaltrito e sapesse benissimo il fatto suo, faceva nondimeno il sempliciotto e cosi mezzo il buffone. Egli soleva due volte almeno la settimana da la villa venir a Pavia e secondo la stagione dei tempi portar de le cose de la villa, ova, butiro, formaggio, pollastri, frutta e simil NOVELLA LIII 245 vivande. Era poi in casa del dottore per le sue piacevolezze generalmente da tutti ben veduto; né in casa mai stava indarno, perché ora spezzava legna, ora cavava acqua e simil altri servigi volentieri ed allegramente faceva; ed andava per tutta la casa di sotto ed anco di sopra ove voleva, senza che mai gli fosse detto nulla. Di costui e dei suoi motti ed altre piacevolezze che faceva, il dottore molto ne gioiva e seco volentieri ragionava, massimamente la sera dopo cena quando non ci erano stranieri. Medesimamente madonna Cornelia si dilettava fargli dir de le cose de la villa. Onde veggendolo d’assai buon viso, gli gittò gli occhi a dosso, e poi che con altri miglior mezzi non poteva a' suoi bisogni soccorrere, conchiuse tra sé che questo fosse quello che secondo che lavorava a Seivano le possessioni del messere, lavorasse ancora a Pavia il suo orticello, e come prima venisse di villa, tentar la sua fortuna, avve- nissene poi ciò che si volesse. Ella tanto era de la vita che col marito teneva mal contenta che per poco ella averebbe nulla stimata la morte. Non dopo molto, secondo il solito, eccoti che una matina arrivò a Pavia il contadino con frutti di villa e lettere al padrone, e non lo trovando in casa, ché era ito a palazzo per l’altrui liti, andò di sopra ove la madonna in sala tutta sola faceva alcuni suoi lavori. Come ella lo vide, disse: — Ben venga, Antonello — ché cosi aveva nome il lavoratore; — che vai tu facendo? — Madonna — rispose egli, — io ho portato dei nostri frutti, ed anco ho recato una lettera al messere che manda il fattore per certi comandamenti che il referendario ducale ha mandato a Sei vano. — Domandò alora la donna un garzone di casa e lo mandò a palazzo con Antonello a trovar il messere. V’andò egli ed al dottore diede la lettera, il qual letta che l’ebbe, disse: — Antonello, va' a casa a bere ed aspettami là. — In quel tempo che il contadino era ito a palazzo la donna tra sé deliberò, se egli a ora tornava, dar effetto al suo pensiero, con ciò sia che ella era più che certa che essendo ben veduta ragionare con Antonello, che non vi sarebbe stata persona che di ciò sospetto alcuno avesse preso. Ora come egli fu tornato, ella lo domandò di sopra e se gli fece 246 PAKTE PRIMA incontro mostrandogli un buon viso, e comandò che se gli portasse da far colazione. E fatto recar ciò che era bisogno, pose in faccende tutti quelli di casa, eccetto una vecchia di cui si fidava, di modo che nessun’altra v’era. Egli che buona pezza de la notte caminato aveva ed era in appetito, mangiava gagliardamente. Madonna Cornelia che anco ella averebbe voluto cibarsi, per non perder l’oportunità entrò con Antonello in ragionamento e di varie cose de la villa gli domandò, e tra l’altre se era innamorato. A questo egli sogghignando rispose: — Madonna, o come avete voi buon tempo! Voi l’avete mò buono. — E perché? — soggiunse la donna. — Ma che risposta è questa che tu mi dai? Ella è pur fuor di proposito: che ha a fare il mio buon tempo col tuo amore? — Al corpo di san Perpisto! — disse alora egli — le nostre garzone, poi che questi gentiluomini di Pavia e i nostri vicini da Caselli v’ hanno posto il naso dentro, vi so dir che sono diventate superbe e non vogliono più veder noi altri. Elle amano gli innamorati ben vestiti e ricchi che loro da la città rechino ora alcuna bella frangia da metter al grembiale, ora cuffie vergate di seta, ora nastri di vari colori ed ora una cosa e dimane un'altra. Vogliono anco ben sovente degli ambruogini, dei grossetti, de le brustie e di simili danari, e senza il pegno in mano non ci prestarebbero... m’intendete bene. Ed io che sono un povero fante, figliuolo di famiglia, che diavolo volete voi che io doni loro e rechi da la città? Se io non ci do il mio... che non vo' dire, non so che darle. Più tosto faria per me a trovare chi mi desse del suo pigliando ciò che del mio le posso dare; — e tuttavia dicendo queste pappolate rideva. — Or dimmi — disse la donna, — se tu trovassi chi del suo ti donasse, tu a l'incontro che cosa gli daresti? — Madonna — rispose il contadino forte ridendo a la villanesca, — io le darei... e basta. Voi m’intendete pure. Al corpo del pisciasangue, che io si bene la contentarci del fatto mio che ella per un altro non mi baratteria. Io vi so dire che faccio di bello quando vi mi metto, e che non mi stracco cosi di leggero. — E che faresti tu in mill'anni — disse la donna, — che tanto sei bravo di parole e mi pare cosi mézzo... non so NOVELLA LUI 247 come? — Mézzo, madonna? — rispose egli. — Voi ve ne accorgereste se avessi a far meco. Voi non mi conoscete bene né sapete ciò ch’io vaglio. Guardate qui se questa vi pare una vita d’attratto o da stroppiato. — E dicendo questo saltò in piedi e fece un salto tutto tondo e molto alto da terra, ché in effetto egli era gagliardo, destro ed aiutante de la persona. Venne in questo il fandulletto figliuolo del dottore e de la donna, del quale ella non si prese guarda alcuna. A la donna piacque che Antonello cosi largamente in parole si domesticasse, parendole molto al proposito; ed anco ella cominciò seco domesticamente a scherzare, ora tirandogli i capelli, ora il naso ed ora dandoli cosi da scherzo leggermente alcuna buffettata e facendogli altri simili fastidi. Egli attendeva pure a cibarsi, ed accorgendosi che ella voleva il giambo di Marcone le disse: — Madonna, se non mi volete dar del vostro, lasciatemi stare; se non, al corpo che non vo’ dire, mi farete entrar in còlerà, e poi anderà secondo che anderà. State cheta. — Ma ridendo ella e non cessando molestarlo, egli che si sentiva crescer roba a dosso, si levò in piede e presa quella in braccio, la basciò due e tre volte, e.poi le disse: — Se non mi lasciate stare, io vi farò... starete pur a vedere. — Ella riscaldata sul fatto e che moriva di provarlo come egli era ben gagliardo nei bisogni de le donne, gli disse ridendo: — A la fé di Dio che ti vo' far castrare. — Castrare? — rispose Antonello. — Cotesto non farete mica. Come diavolo! castrare? o cacasangue! e che sarei io da fare se fussi castrato? che fareste voi dapoi dei fatti miei? Io so che mi vorreste conciar per una volta. Castrate pure i galletti per far dei capponi e lasciate che io stia con tutti i membri miei. Io vi darei prima il carro e i buoi e quanto mio padre ha al mondo, che lasciarmi mai castrare. E che farei io poi de lo sparviero senza sonagli? Orsù, andate, andate; lasciatemi stare. — Ma ella più se gli accostava e davali molestia, mostrando tuttavia che aveva piacere che egli seco scherzasse. Era vicino al capo de la tavola ove Antonello in sala mangiava, l’uscio de la camera de la donna. Quivi ritiratasi ella e su l’uscio fermata, pareva che a punto l’invitasse ad entrar in camera. E gittandogli a dosso ora una piccola 24S PARTE PRIMA pietra, ora un fuscello di paglia ed ora altre simili cosette, non cessava in mille modi travagliarlo. 11 figliuolino de la donna, come fanno i piccoli fanciulletti, rideva e ad imitazione de la madre anco egli ciò che a le mani gli veniva, gettava a dosso al contadino, e fuggiva e tornava, mostrando talora Antonello di volerlo prendere ed ora di lasciarlo. E cosi tra tutti tre pareva a punto che facessero una comedia. Antonello che chiaramente comprendeva l’animo de la madonna, poi che avendola baciata non s’era mostra schifevole né con viso turbato l’aveva garrito, disse fra sé: — Costei ha il marito vecchio che non deve poterle sodisfare ai suoi maggior bisogni, perciò che nel letto deve sempre esser più freddo che ghiaccio, e per questo ella va cercando alcuno che invece del marito si mostri valoroso cavaliero a la giostra. Io proverò pure mia ventura e vederò se mi può riuscire. E che diavolo di male me ne seguirà? Qui non è nessuno che possa esser testimonio a’ fatti nostri, perché, a ciò ch’io veggio, quella vecchia deve esser consapevole dei contrabandi che la madonna fa con questi diavoli incarnati degli scolari, che devendo attender a studiare, fanno a l’amore con queste femine di Pavia andando la notte a torno, e poi fanno creder a’ parenti loro che si consumano sui libri, lo so bene ciò che diceva messer Girolamo Sacco da Caselli quando veniva da Pavia a Seivano. Si che de la vecchia non debb’io aver paura, perciò che la madonna non scherzarebbe di questa maniera meco se ella di lei non si confidasse. Del picciolo suo figliuolino non accade che io abbia paura, perciò che egli non conosce ancor che cosa sia questo mondo. — Mentre che Antonello faceva tra sé i conti suoi e andava chimerizzando com’egli potesse attaccar l’uncino al padrone, ella non cessava di dargli impaccio e molestarlo. Veggendo adunque che la seccaggine dei fastidi che la donna gli dava non veniva meno, anzi tuttavia di più in più cresceva, prese il suo coltello e francamente tirò una riga e la segnò tra sé e la madonna, come se un termine por vi volesse che non si devesse passare. Stava la donna con meraviglia a riguardar ciò ch’egli faceva e non sapeva indovinar la cagione. Antonello poi che ebbe la riga NOVELLA LUI 249 disegnata, a la padrona rivolto con grave viso orgogliosamente le disse: — Madonna, al corpo del cavalier messer san Buovo, io vi giuro e prometto la fede mia; se voi passate questo segno che io col mio coltello ho fatto, io vi farò con un altro coltello un si fatto scherzo che forse pili vi piacerà che queste vostre pazziole che voi ora fate. Io ve la caricherò se voi non state indietro. Che si. che si, che voi direte poi: — Io non me lo pensava. — Passate, passate, e vedarete di bello. Io ve 1’ ho detto, e basta. Non vi lamentate poi di me. — La donna che più voglia aveva d'Antonello di venir seco a le prese e giocar a le braccia, accostatasi pian piano a la riga faceva vista di volerla passare e quasi vi metteva su i piedi ; poi si ritirava indietro e diceva: — Antonello, dimmi un poco per tua fé ciò che tu hai animo ora di fare se io passerò il tuo prefisso termine. Deh, di grazia dillo. — Antonello che intento stava a l’opera come lo sparviero quando vede la quaglia, rideva dicendo: — Madonna, perdonatemi; per questa volta io non ve lo vo' dire. Voglio che da voi stessa, quando io fatto l’averò, conosciate che cosa sarà. Io voglio al presente fare come m’ha detto più volte il barba Pedrone che fanno le monache di Genova, le quali se ne vanno dove più piace loro a diportarsi per la città e fuora, e poi quando tornano al monistero dicono a la badessa: — Madre, con vostra licenza ce ne siamo andate a ricreazione, a prender un poco d’aria. — Ed io altresi farò co- m’elle. Io già più di millanta volte detto ve l’ho e di nuovo lo dico e replico, che se passarete, io a modo veruno non ve la perdonerò, ma vi farò pagar il passaggio e il dazio di quello a buona derrata. Passate pure se n’avete voglia, e vederete a che modo fa il mugnaio, se io saperò da me pagarmi e che parte me ne saperò fare. — Onde fingendo la donna aver téma di quanto Antonello diceva, due e più di tre volte pose i piedi quasi oltra il segno, e subito dicendo — Oimè! — si ritirava a dietro. Rideva Antonello, altro non aspettando se non che ella passasse. La donna ultimamente, essendo desiderosa di provar quanto Antonello pesasse, con un saltarello passò il prefisso termine dicendo: — Ecco, ecco che io son passata; che sarà mò? — 250 PARTE PRIMA Il buon Antonello sentendosi meravigliosamente destar la con- scienzia, non aspettando che la donna finisse le sue parole né che altrimenti fosse invitato — In fé di Dio — disse — che io lo vi farò; — ed abbracciata la donna che vinta esser desiderava, quella di peso amorosamente basciandola portò in camera e su una cassa la distese, ove ben che ella mostrasse un pochetto far resistenza, quanto gli piacque con lei si solazzò ed ella con lui, e cacciarono l’orza da due volte in su con grandissimo piacer di lei che mai più simili beccate provato non aveva, perciò che le giaciture di messer lo dottore non avevano la lena nel polso e ordinariamente erano insipide. Come fu compita la danza trivigiana, Antonello se ne ritornò in sala e posesi al suo luogo; ed uscendo madonna di camera, che per il macinar che fatto aveva tutta era lieta e festevole, egli ridendo le disse: — Madonna, se lo scherzar che fatto insieme abbiamo punto v’aggrada e vi piaccia un’altra volta riprovarlo, sapete ciò che vi fare, perché passando il segno io farò come prima. E se forse in alcuna parte io avessi fallato, in quest’altra di bene in meglio l’emenderò. — Oh — rispose alora madonna Cornelia; — frate, sta bene; tu vuoi far troppo il bravo, lo non so ciò che tu ti potessi far di più, perciò che tu hai corso tre poste, e penso che tu sia molto ben stracco e che tutto quello che tu ti apponessi a fare sarebbe nulla. Messere che molto di rado meco giostra, a pena può romper una lancia e resta in tal guisa debole che se ne sta mezz’ora anelando. — Basta — rispose Antonello; — se voi passarete il segno v’accorgerete del vostro errore. — Il fanciullo che non sapeva ciò che questo importasse, giocava passando la riga. Ora la donna che s'era messa in sapore e che provato aveva come Antonello era di duro nerbo e quanto meglio del messere l’adacquava l'orto, parendole aver agio e commodità di tempo, perciò che quei di casa erano di sotto dei quali avesse a dubitare, e de la vecchia e del figliuolo non le caleva, passò animosamente di nuovo la riga. Antonello che in ordine si sentiva, presala un’altra volta in braccio ed in camera entrato, su la medesima cassa la riversò, ed entrato in ballo fece in poco d’ora tre danze, e si meravigliosamente a la NOVELLA LUI 25' donna sodisfece che ella deliberò non si procacciar più d altro amante, ma attenersi al valente Antonello col quale conosceva che in Pavia quando egli ci veniva ed a Seivano quando ella v’andava, senza sospetto né scandalo di nessuno poteva trastullarsi. Onde essendo tornati in sala, ella lungamente con lui parlò e molto restò contenta, perché oltra averlo provato valoroso cavaliero, le parve anco che fosse uomo d’ingegno. Mentre che insieme divisavano dando ordine ai casi loro come si avessero a governare per l’avvenire, venne messer da palazzo e montò di sopra. Il figliolino come vide venir il padre, gli andò correndo incontro e cominciò, come fanno i piccioli garzonetti, a fargli festa. E volendo il dottore andar verso la camera, come fu vicino al segno che Antonello col coltello fatto aveva, disse il garzone cosi mezzo mozzamente come fanno i piccioli: — Messer padre, non passate questa riga, perché il massaro vi farà come ha fatto a madonna madre. — La donna a queste parole ed Antonello sbigottirono fortemente; ma fu loro in questo la fortuna favorevole, ché il dottore non ebbe fantasia a le parole del figliuolo, ma chiamò Antonello e seco si mise a ragionare di quanto il fattore per il comandamento del referendario scritto aveva. Da l’altra banda madonna Cornelia che una estrema paura aveva avuta, preso il garzonetto per mano e menatolo in una camera assai lontana da la sala, gli diede molte sferzate e lo garrì molto forte, minacciandolo di peggio se mai più simil parole diceva. Ora seppero poi la donna e l’aventuroso Antonello si ben ordir la lor tela che lungamente del lor amore insiememente goderono e si diedero il meglior tempo del mondo, e madonna Cornelia più volte ingravidò e fece figliuoli, credendo il dottore esserne il padre, di che molto se ne allegrava. Si guardava perciò la madre del figliuolo che non le vedesse far nulla, il quale per téma de la sferza e de le minacce de la madre ciò che detto aveva non ridisse più già mai. Se non che tenute esse parole in mente, quando poi fu uomo fatto raccontò il tutto, essendo venuto a lite con gli altri fratelli poi che il padre e la madre morirono. IL BANDELLO al molto magnifico messer ANTONIO CAVRIUOLO Si trovano talor alcuni uomini cosi pazzeroni e di rintuzzato ingegno che tutto quello che dicono o fanno, riputano esser ben fatto, e se Solomone venisse in terra a volergli emendare, subito salterebbero sul cavallo sboccato de la presunzione ed a modo veruno non vorrebbero sofferire che cosa fosse detta in pregiudicio di ciò che fanno. Altri cosi scemonniti si ritrovano ed hanno la vita di maniera a questo avvezza che ogni minimo diffettuccio che il compagno faccia, giudicano esser errore inespiabile, ed i loro enormissimi falli non vogliono vedere, ma se gli gettano dopo le spalle, e riputando gli altri tristi, se stessi stimano buoni e non s'avveggiono che tutto il mondo ha ope- nione contraria al lor falso pensiero. Ci sono poi in questa vita, che come si dice è una gabbia di pazzi, di quelli talmente condizionati che il proprio diffetto del quale sono macchiati gettano in occhio a chi non 1’ ha e con vituperose parole villaneggiano altrui di quello che a’ lor propri conviene. E con queste tacc

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