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Novella LVII - Una cortesia usata da Mansor re e pontefice maomettano di Marocco ad un povero pescatore suo soggetto
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IL BANDELLO

a la molto illustre e vertuosa eroina

la signora

isabella gonzaga

di Povino


Io rivolgeva questi di molte de le mie scritture che in un forziero senz’ordine erano mescolate si come a caso quivi dentro erano state gettate. E venendomi a le mani alcune mie novelle che ancora non erano state trascritte né collocate sotto la tutela d’alcun padrone o padrona miei, restai forte smarrito che ancora a voi nessuna donata ne avessi, avendone di giá dedicate a questi ed a quelle piú d’un centinaio; onde me stesso accusai di tras- curaggine ed inavertenza grandissima, ché tanto tardato avessi a mandarvene una in segno de la mia riverenza ed osservanza verso voi. Ché certamente io mi confesso degno di castigo non picciolo, essendo troppo al mondo manifesto il debito ed obligo che io ho a la felice ed onorata memoria del valoroso signor Pirro Gonzaga e de la gentilissima signora Camilla Bentivoglia, vostri onoratissimi padre e madre, che tanto m’amavano e tutto il di con nuovi benefíci m’obligavano, e mentre vissero furono da me secondo le debolissime forze mie sempre tenuti in quella riverenza che io seppi la maggiore, come ne le stanze mie si vederá che io in lode ho composte de la vostra nobilissima sorella dal mondo riverita e da me santissimamente amata, la signora Lucrezia, le quali in breve saranno publicate, ove anco vederete il nome vostro essere celebrato. Ora per emendar il fallo da me commesso, ve ne mando una d’esse mie novelle, la quale giá lungo tempo è che dentro le case del signor Lucio Scipione Attellano fu narrata da messer Niccoloso Baciadonne, che 278 PARTE PRIMA molti anni ne! regno d’Orano aveva mercadantato e ricercate assai regioni e luoghi di Affrica. Egli per esser uomo che di molte cose rendeva benissimo conto e molto agli auditori da cui volentieri era ascoltato sodisfaceva, essendo in Milano ed avendo co! gentilissimo Attellano cenato, a la presenza d’alcuni altri gentiluomini che di brigata erano la narrò. Per questa novella, signora mia, voi conoscerete che anco sovente tra le nazioni barbare s'usano de le lodevoli cortesie. Degnate adunque con la solita vostra umanità e gentilezza accettarla e farmi questo favore che io del vostro nome possa prevalermi. E basciandovi le dilicatissime mani, ne la buona grazia del valoroso vostro consorte, il signor Rodolfo Gonzaga marchese, e vostra inchinevolmente mi raccomando. State sana. NOVELLA LVI1 Una cortesia usata da Mansor re e pontefice maomettano di Marocco ad un povero pescatore suo soggetto. Non accade, signori miei, usar meco queste preghiere con tanta cortesia ed umanità a ciò che io alcuna cosa notabile di quelle che in Affrica ho vedute vi narri, oltra quelle che già da me udite avete, ché cose pur assai d’essi affricani e dei costumi loro e de la varietà de le lor religioni v’ho dette. Essendo adunque io prontissimo di farvi cosa grata, vi dico che quando io era fanciullo, non passando ancora quindeci anni, mi partii da Genova mia nobile e famosa patria ed in compagnia di messer Niccolò Cattanio gran mercadante navigai in Barbaria, e seco arrivai nel regno e città d’Orano posta sul mare Mediterraneo, ove praticano assai i nostri genovesi e v’è una contrada nomata da tutti la « loggia dei genovesi ». Era il Cattanio in grandissimo credito in quella città e molto accetto al re di quella, ed aveva molti privilegi ed immunità ottenute da lui, il perché merca- dantava e maneggiava gli affari suoi con grandissimi avantaggi. Quivi io molti anni dimorai ed appresi benissimo la lingua loro e medesimamente i lor costumi, onde insieme con alcuni NOVELLA LVII 279 mercadanti oranesi, uomini affabili ed umani, essendo a quelli per mezzo del Cattanio raccomandato dal re, mi disposi andar negoziando per l'altre provincie de l’Affrica. E passai per diversi paesi e vidi molte grandi cittadi assai popolose e civili, in molte de le quali ci sono collegi per scdlari ove sono i lor lettori di varie scienze che dal commune sono salariati. Ci sono ancora diversi spedali dove i poveri che vanno mendicando sono con una gran carità ricevuti e provisti del vivere, estimando essi acquistar grazia infinita appo Dio de le elemosine che fanno. 10 veramente assai fiate ho ritrovato più carità e cortesia in molti di loro che talora non ho fatto tra i nostri cristiani. Fui in una gran città edificata, per quanto mi dissero alcuni cittadini di quella, al tempo del re Mansor che anco era pontefice di Marocco. Essi mi mostrarono una lor cronica, perché son molto diligenti in scrivere e tener memoria di tutte le cose che a la giornata accadeno, ed usano i caratteri arabici dei quali io assai ho notizia, perché nel principio che fui in Affrica mi diedi agli studi di quella lingua. Narrano adunque le croniche loro che 11 re Mansor si dilettava molto de la caccia; onde essendo un giorno fuor per quelle contrade, levossi un oscuro e turbulen- tissimo temporale con una guazzosa pioggia e soffiamenti d'impetuosi e fierissimi venti, di tal maniera che cercando i corte- giani di salvarsi al coperto, il re Mansor si smarrì e perse la compagnia, ed errando in qua e in là né sapendo ove s’andasse, fu sovragiunto da una oscura e tempestosa notte, convenendogli in tutto alloggiare a la campagna. Del che molto si trovò di mala voglia, tanto più che non ardiva muover il cavallo, perché dubitava per l’oscurità de la notte non s’affogare in alcuna di quelle paludi che colà d’intorno stagnavano. 11 perché afermatosi ed aguzzando gli occhi e stendendo gli orecchi per spiare se vedeva o sentiva persona, vide assai vicino un lume che da una finestrella dava splendore; onde pensando, come era, che vi fosse alcuna abitazione, diede una gran voce chiamando chi colà dentro fosse. Abitava in quella povera casa un pescatore, il cui costume era già lungo tempo in quei paduli pescar anguille de le quali erano quell'acque abondevoli. Egli udita la voce PARTE PRIMA del chiamante re, ancor che noi conoscesse ma stimasse esser alcun viandante che per quei luoghi smarrito si fosse, incontinente usci di casa e disse: — Chi chiama? — 11 re accostatosi lo domandò dicendo: — Buon uomo, mi saperesti tu insegnar la via che mi conducesse ove il nostro re dimora? — L’alloggiamento del re — rispose il pescatore — è lontano di qui diece buone miglia. — Adunque ti piaccia — soggiunse il re — farmi la guida fin là, ché io ti pagherò molto cortesemente de la tua fatica e te ne resterò con obligo. — Se vi fosse il re Mansor in persona — disse il buon pescatore — e mi richiedesse di questo, io non presumerei condurlo a quest’ora a salvamento a la sua stanza, temendo tuttavia che egli in queste paludi non pericolasse. — Udendo ciò il re disse: — E che! appartiene a te prenderti cura de la vita del nostro re? che hai tu a far seco? — Oh — rispose il buon uomo, — il re da me amato è vie più che io non amo me stesso. — Seguitò alora il re: — Adunque t’ha egli fatto alcun grandissimo beneficio poi che tanto l’ami? Ma io ti veggio cosi poveramente in arnese e si mal alloggiato che non so ciò che me ne dica. — Alora gli replicò il pescatore: — Ditemi, gentiluomo, di grazia: qual più ricco bene e maggior beneficio posso 10 ricever dal mio re in questo mio povero stato che il bene ed utile de la giustizia e de la gran bontà ed amorevolezza clic egli usa nel governo di questi suoi popoli, e la unione e pace in che gli conserva, e tutti ci dipende da le incursioni degli arabi e da altri che cercassero molestarne e farci danno? Sotto l’ombra e protezione del nostro re, io povero pescatore insieme con mia moglie e mia povera famigliuola mi godo la mia povertà in pace, e attendendo senza paura a la pescagione de l’anguille, e le porto a le propinque ville a vendere e del guadagno me e i miei mantengo, e di notte e di giorno esco de la mia capanna e vi ritorno quando me ne vien voglia, né fra queste valli e luoghi selvaggi ci è mai stato chi m’abbia offeso; 11 che riconosco io dal mio re e ogni di prego Iddio e il suo gran profeta Maomà che conservino esso re. Ma voi, gentiluomo, che tutto séte molle da la passata pioggia, venite, se egli vi piace, a pigliar alloggiamento in questo mio albergo per questa NOVELLA LVII notte, e domatina io vi guiderò ove il re dimora o dove più v’aggradirà d’andare. — Accettò Mansor molto volentieri l’invito, e smontato da cavallo entrò in casa. Fu il cavallo provisto d’orzo e fieno in una capanetta ove il buon pescator teneva un suo asinelio. Il re, acceso buon fuoco, attese ad asciugarsi, e la moglie del pescatore acconciò per cena de l’anguille le quali pose innanzi al re. Egli svogliato e non gli piacendo pesce, domandò se ci era carne. Il pescatore disse che aveva una capra che lattava un capretto e che stimava gran ventura di darlo per esca a tal gentiluomo quale egli gli pareva. E cosi l’ammazzò e ne fece cucinar quelle parti che il re volle, il quale dopo cena si corcò e prese riposo fino al levar del sole. Venuta l’ora, il re montò a cavallo e con la guida del cortese oste si mise in viaggio. Né ancora erano fuor dei paduli che trovarono molti de la corte che andavano cercando il re per quei luoghi, gridando e chiamandolo. Tutti come il videro, si rallegrarono meravigliosamente. Il re alora rivolto al pescatore gli disse che era Mansor e che in breve gli farebbe conoscere che la di lui cortesia non gli saria uscita di mente. Aveva di già il re in quelle campagne fatto edificar alcuni palazzi per la comodità de la caccia, e v’erano anco alcun’altre abitazioni fatte fare da’ suoi cortegiani. Onde deliberato il re di rimeritare il pescatore de la sua cena e de l'albergo, fece in poco di tempo asciugar quei paduli e cinger di mura le case e i palagi di già edificati dando loro il circuito d’una gran città, e diede di molte immunità a chi v’andava ad abitare; di modo che in breve la città divenne popolosa e di bellissimi edifici piena, e volle il re che si chiamasse Cesar Elcabir, cioè « il gran palazzo ». Ridotta dunque la città in buonissimo essere, di quella ne fece cortese dono al povero pescatore e a’ suoi figliuoli e successori, i quali per lunga successione l’hanno posseduta accrescendo sempre la bellezza e bontà del luogo. Quando io ci era, la vidi tutta piena d’arte- giani e di mercadanti. Aveva molte belle moschee ed un collegio di scolari ed uno spedale. Vi sono molte cisterne, non si posscndo cavar buoni pozzi. Gli abitatori di quella sono uomini buoni e liberali e più tosto semplici che altrimenti, e vestono 2S2 PARTE PRIMA bene ec! usano assai tele bambagine. Fuor de la città sono molti giardini con bonissimi frutti, ed ogni lunedi si fa ne la campagna un grossissimo mercato da le terre circonvicine. È lontana da Azella, che noi chiamiamo Arzilla, che ora è in mano dei portogallesi, non più che diciotto miglia. Cosi adunque si conosce che a tutti si deve usar cortesia ancor che non si conoscano, perché si fa ufficio d’uomo da bene e a la fine le cortesie sono rimeritate, come nel nostro povero pescatore s’è veduto.

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