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Novella XLVI - Narra messer Girolamo Cittadino in che modo madama Margherita di Scozia delfina di Francia onorasse maestro Alano poeta francese
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IL BANDELLO

a l’illustre e gentil signora

la signora

maddalena sanseverina


Se io, molto cortese e magnanima signora mia, mentre che lo spirito mio informerá questo corpo non mi dimostrassi verso voi e tanti da voi ricevuti benefici con tutto il cor grato, veramente d'eterno biasimo degno mi giudicherei. Ma perché io, qual io mi sia, mi do a credere e non senza ragione che la ingratitudine sia uno degli sconci, enormi e vituperosi vizi che caschino in qualsivoglia persona, mi son sempre sforzato di fuggirlo e tuttavia me ne sforzo, cercando quanto piú si può da quello allontanarmi. Ora perciò che io non posso di pari gratitudine a la vostra infinita cortesia e reale liberalitá corrispondere, ché sempre avete con la generositá de l’animo vostro quale voi séte ne l’opere da voi magnificamente fatte dimostrato; questo almeno farò io, che confessandomi di gran somma debitor vostro e cominciando quanto per me si può a sodisfarvi, farò noto al mondo che io non voglio esser ingrato dei ricevuti da voi benefici, parendomi che sola la confessione del debito sia quasi un principio di pagamento. Onde con quelle picciole forze che io posso cominciando a sodisfarvi, una mia novelletta molto breve, recitata questi di dal nostro vertuoso messer Girolamo Cittadino in casa del signor Lucio Scipione At- tellano a la presenza di molte belle donne e da me al numero de l'altre accumulata, v’appresento e dono, portando ferma ope- nione che voi quella con allegro viso accettarete. E a darvi questa mi son mosso parendomi che a voi meglio che ad altri 172 PARTE PRIMA convenga, perciò che quella séte che oltra la liberalità e cortesia che in voi sono grandissime e tra l’altre vostre doti in voi risplendono come ne la serena notte la luna fra le minori stelle, onorate e senza fine guiderdonate i vertuosi che conoscete. So anco che più i frutti de l’ingegno vi aggradiscono e dilettano che non fanno le gemme, l’oro e le ricche vestimenta, de le quali cose la Dio mercé copiosa ed altrui tanto liberal ne séte che non solo al bisogno di chi vi richiede liberamente allargate le mani, ma assai sovente le aspettazioni e speranze altrui col largo e sontuoso vostro donare prevenite. Degnarete adunque prestar l’orecchie a ciò che il nostro gentil Cittadino ci dice d’un leggiadro e vertuoso atto usato verso un vertuoso uomo da una nora di Carlo di questo nome settimo re di Francia. E riverentemente supplicandovi che vi piaccia tenermi ne la vostra buona grazia, umilmente vi bascio le mani. State sana. NOVELLA XLVI Narra messer Girolamo Cittadino in che modo madama Margarita di Scozia delfina di Francia onorasse maestro Alano poeta francese. Ancora che a questa nostra età — o sia infelicità dei tempi per le continove e sanguinolenti guerre, o sia influsso del cielo, o sia l'avarizia dei grandi che più ad accumular oro che ad onorar le vertù attendono, o qual si sia la cagione, ché ad altri lascie- remo l’investigazione di tal effetto — veggiamo gli uomini vertuosi, e massimamente quelli che tutto '1 di dietro agli studi de le buone lettere impallidiscono e si macerano, non esser in prezzo; non è però che ove sono i prencipi liberali e magnanimi o repubbliche ben institute, che sempre gli uomini dotti non siano onorati e di loro fatta convenevol stima. Né io ora voglio annoverarvi e ridurvi a la memoria le Iodi, i premi e gli onori da uomini eccellenti, da capitani, da duci, da regi, da imperadori e da le magnifiche e nobilissime città ai dotti in diversi tempi NOVELLA XLVI 173 dati, perciò che la cosa è tanto chiara che non bisogna con nuovo ricordo quella reiterare. E chi è colui che legga i buoni autori che cotesto non sappia? Tutti i volumi de l’istorie latine e straniere ne sono pieni ; ma perché siamo ridutti a quei tempi ove la vertù è lodata e va mendicando, non deve perciò la nostra gioventù perdersi d’animo e lasciati gli studi de le lettere totalmente mettersi a l'ozio, al giuoco, a la caccia o a Tarme. E per ora voglio solamente parlare de la milizia, parendo ad alcuni che nel mondo sono nati non ad altro fine che a far numero ed ombra, che le lettere non convengano con la milizia. Io non vi vo’ già negare che l’uomo talora non possa riuscir buon soldato e far dei fatti pur assai degni d’eterna memoria nel mestieri de Tarme, ancor che sia senza lettere; ma bene santamente giurando affermerei esser molto più facile ad un bello ingegno, ad un elevato spirito che di buone lettere sia dottrinato divenir uomo eccellente ne l’arte militare, che non ad uno che senza lettere si metta a far questo mestiero. Ed è anco assai manifesto che uno di deboli forze da la natura armato, con gli avvedimenti, con gli avantaggi, con quei modi che gli scrittori insegnano, avanzerà un Anteo e un Ercole. S’è anco ne Tistorie letto e ai nostri giorni veduto un prudente e disciplinato capitano con poco numero di gente aver rotto e messo in fuga numerosissimo e molto forte essercito, perciò che, come si suol dire, l’ingegno di gran lunga avanza le forze. E se noi vorremo raccontar gli illustri e famosi capitani cosi del nome italico come del peregrino e fuor d’Italia, trovaremo leggendo Tistorie latine e greche che i più famosi e quei di maggior pregio sono stati tutti di buone lettere ornati, il che per esser troppo chiaro non ha di bisogno di prova. Onde io crederei non discostarmi dal vero ogni volta che io dicessi esser tra il soldato dotto e l’ignorante quella diseguaglianza che si dice esser tra l’uomo vivo e l’uomo dipinto o sculto. Arrogi a questo che se non fossero le lettere, noi non saperemmo chi fossero stati i nostri maggiori e de le cose passate non ci saria nel mondo contezza alcuna. E nel vero, oltra gli infiniti piaceri ed utili che i buoni soldati tranno de le lettere, egli è pur grandissima sodisfazion d'animo quando 174 PARTE PRIMA l’uomo s’abbatte ove si parli di condur un essercito contra nemici, accamparlo in luogo atto si per il vivere dei soldati come dei cavalli, levar le vettovaglie a l’oste contraria, levarle Tacque, assediare, passar monti, batter una fortezza e far simil altre spedizioni, è, dico, gran contentezza a saper non solamente dire — Facciamo cosi, — ma di più render quelle ragioni perché ciò si de’ fare che convincono gli animi degli ascoltanti. Il che tutto ’1 di avviene ove gli esserciti sono congregati. Onde molto meglio saperà il dotto divisare ciò che si maneggia e render le cagioni perché di tal modo si de’ operare e non altrimenti, che non saperà l’ignorante. E questa è la vera e perfetta scala di salire a la sommità de la fama ed acquistare quei fregi d’onore che ci dànno eterno nome. Né solamente ne l’arte de la milizia sono le lettere necessarie ed ornamento di tal mestieri, ma elle tutte Taltre arti di qual sorte si siano adornano, reggono, poliscono e fanno più perfette e riguardevoli. Pertanto deverebbero i padri che bramano nodrir i figliuoli con speranza che riescano in qual si voglia mestiero eccellenti, prima far loro apparar le buone lettere e poi lasciargli andar ad essercitarsi in quello che loro più aggrada, perciò che quel fanciullo sempre riuscirà in quell’arte molto meglio a la quale è da la sua natura disposto, che non farà se contra il suo naturai instinto è astretto a pigliarne una e seguitarla che non gli piaccia. Ma diamoci pur sempre a credere che le lettere siano proprio ornamento d’ogni arte e d’ogni età ed anco si può dire d’ogni sesso. Oh, se da prima quando i fanciulli cominciano andar a le scuole sapessero o gustassero pur un poco quanto di giovamento, quanto d’utile, quanto d’onore rechino le lettere a chi le appara, come averemmo questo secolo nostro onorato ed eccellente! Oh, con quanta diligenza, fatica ed amore attenderebbeno a farsi disciplinati, con quanta cura dispensarebbero Tore a ciò che cosi preziosa cosa come è il tempo, che è irreparabile, non si spendesse vanamente, non si gettasse via, non si consumasse in cose frivole e di nessuno momento! Ma la natura agli uomini si può dir esser sopramatrigna in questo, perciò che ai fanciulli ed anco ai giovini non ha dato tanto di giudicio che sappiano NOVELLA XLVI 175 discerner il lor utile e ciò che a quelli è necessario, quando la tenera età sarebbe capace di apparare tutto quello che gli fosse insegnato; che poi, alora che sono giunti gli anni dèi conoscimento di ciò che loro fa di bisogno, sono di modo gli uomini a disciplinarsi o ne le lettere o in qual si voglia arte inetti che di rado avviene che alcuno riesca a perfezione. Né perché si veggia talora qualcuno riescere si deve dedurre in consequenzia, perciò che cotestoro sono pili rari che i corbi bianchi, ed una rondinella che appaia non fa però primavera. Ma io mi sono lasciato trasportar lontano da ciò che dir voleva, cioè che i letterati sono adesso in poco prezzo mercé del mondo che è giunto a l’ultima feccia d'ogni bruttura. Non crediate però, come vi ho di già detto, che sempre fosse cosi. Onde lasciando la memoria dei tempi antichi e ciò che circa questo i buoni autori n’hanno scritto, io vi vo’ narrare un bellissimo atto che una grandissima donna in onorar un uomo dotto nei tempi dei nostri avi gentilissimamente fece. Il che a me pare che meriti esser a la memoria di quelli che verranno consacrato. Dicovi adunque che Carlo settimo re di Francia ebbe un figliuolo chiamato Luigi, che poi fu Luigi undecimo di questo nome, il quale fu quello che in tutto liberò il reame di Francia da la lunga e rovinosa oppressione degli inglesi che il detto regno per la maggior parte avevano arso e quasi distrutto; ed oltra questo di modo castigò i baroni ribelli che erano per l’occorse discordie avvezzi a vivere in licenziosa libertà, che non vi rimase barone o signore, per grande e poderoso che si fosse, che ardisse di far motto né parlar quando vedeva un ministro di corte, perciò che voleva esso Luigi che agli ufficiali suoi fosse la stessa riverenza avuta che a la presenza sua si deveva avere. Ora essendo egli ancora delfino di Vienna, titolo e prencipato dei primogeniti dei regi di Francia che a la corona succedono, prese per moglie madama Margarita figliuola del re di Scozia, donna di bella persona e di real presenza e molto costumata e ricca d’altezza d’animo e di sottili avvedimenti, e di tutte quelle doti ornata che a reali donne come ella era convengano, che in vero a quei tempi portava il titolo de la più vertuosa ed avveduta 176 PARTE PRIMA donna che fosse nel regno. E tra Taltre sue lodevoli e belle parti che aveva, ella mirabilmente e con leggiadrissimi modi sapeva onorar tutti i vertuosi cosi in lettere come ne Tal tre arti che il valevano, né mai ci fu vertuoso alcuno che invano a lei ricorresse. Era alora in corte maestro Alano Carretderi, uomo essercitato in molte scienze e che a quei di era ne la lingua francese in prosa e in rima il più elegante dicitore che ci fosse, di maniera che da tutti era chiamato il padre de la lingua gallicana, e perciò avuto generalmente in grande riverenza cosi dal re come da tutti gli altri. Egli senza mettersi più a celebrar questa dama che quella, faceva ogni di qualche rima lodando ora una donna ora un giovine, secondo che o parola udiva o atto vedeva che a lui paresse degno d’esser celebrato, e le sue rime recitava con una soavissima prononzia. Madama la delfina molto di ragionar seco mostrava dilettarsi, perciò che era bellissimo favellatore e quello che meglio sapesse narrare una istoria e favoleggiare quando era richiesto, che altri che in corte praticasse. Medesimamente leggeva essa delfina troppo volentieri le composizioni di maestro Alano facendogli sempre onore e di continovo commendandolo. Avvenne un giorno di state da merigge che maestro Alano che era vecchio e male aveva la precedente notte dormito, vinto dal sonno suso una banca s’era assiso e quivi ne la sala dormendo posava. Occorse a madama la delfina in quell’ora uscir fuori de la sua camera e passar per la sala, la quale passando indi vide maestro Alano che dormiva. Onde inviatasi verso lui, fece con mano cenno a tutti quelli che seco erano che non facessero strepito né per modo alcuno lo risvegliassero. E chetamente a lui accostatasi che soave dormiva, quello a la presenza di quanti ci erano bellamente basciò in bocca senza altrimenti destarlo. A questo gentilissimo atto ce ne furono molti che avvelenati dal pestifero vizio de l’invidia, a la delfina dissero: — Deh, madama, diteci un poco, di grazia, come mai v'ha sofferto il core di poter basciar cosi laido e difforme uomo come è cotestui? — Era nel vero maestro Alano, oltra la vecchiezza che mal suol esser gradita, di viso molto brutto e quasi NOVELLA XLVI 177 spaventevole. Rivolta alora madama Margarita tal risposta diede loro: — Voi, salva la grazia vostra, fate gran villania a biasimarci di ciò che se savi tenuti esser volete, ci devreste lodare. Ma séte poco saggi e non vedete sq non queste apparenze esteriori, perché noi non abbiamo basciata quella bocca che vi par laida, ma abbiamo col bascio riverita ed onorata la bellissima bocca del beato ingegno di questo divino poeta e facondissimo dicitore, da la quale tutto '1 di escono rubini e perle e tante gemme preziose de la eloquenza de la nostra lingua gallicana, assicurandovi che noi amaremo molto meglio che egli con i suoi dotti e ben limati versi e ne le sue eloquenti prose meschiasse il nostro nome e ci celebrasse che guadagnar una duchea, con ciò sia cosa che noi portiamo ferma credenza che le sue purgate scritture ne leveriano fuor de la oblivione appo quelli che dopo noi verranno, quando morte avesse questo corpo in trita polvere ridutto. E in vero gli scrittori sono quelli che perpetuano la memoria di tutti quelli che negli scritti loro a la memoria hanno consacrati; ché infiniti sono che oggidì sono nominati e vivono ne la memoria nostra perché i poeti e gli istorici hanno di loro fatta menzione, i quali forse sepolti ne le tenebre de la oblivione sarebbero se la penna degli scrittori stata non fosse. Parendoci dunque convenevole che avendoci talvolta la sua mercé maestro Alano ne le sue rime e prose nominata, e tutto il di le donne de la corte nostra celebrando, che se li devesse fare alcun onore; sapendo che dei beni de la fortuna è da monsignore lo re nostro suocero e signore e da monsignor nostro consorte largamente rimunerato, abbiamo voluto de la maniera che usata abbiamo onorarlo, sapendosi che ancora che sia la costuma di questo reame il ba- sciarsi cosi domesticamente tra gli uomini e le donne, che nondimeno le nostre pari non si sogliano lasciar basciare se non dai reali o da qualche gran prencipe straniero. Questo adunque segno a noi è paruto assai conveniente testimonio de la vertù e de l'eloquenza di cotanto uomo, la cui vertù meritarebbe esser stata a quegli antichi tempi quando ai dottrinati si rendeva il debito premio ed onore. Del che tutte l’istorie piene M. Bandello, Novelle. 12 178 PARTE PRIMA ne sono. — Divoratosi ne la corte quanto madama la delfina aveva detto e fatto, fu ella generalmente da tutti i saggi riputata savia, cortese e di generoso e nobilissimo animo; e maestro Alano ne divenne in molta più riverenza e più riguardevole che prima non era, perciò che per l’avvenire essendo d'ogn’intorno sparsa la fama di cosi umano atto da la delfina usato, chiunque poi vedeva maestro Alano più de l’usato il riveriva ed onorava.

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