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IL BANDELLO
al molto magnifico e vertuoso
messer
paris ceresaro
Erano andati il signor Pirro Gonzaga di Gazuolo ed il signor Alessandro figliuol del signor Giovanni Gonzaga, con molti gentiluomini, a Diporto al palagio amenissimo, per fare che a la presenza di madama Isabella da Este, marchesana di Mantova, si facesse una pace tra dui valenti soldati. Era del mese di luglio, e giá cominciati i giorni de la canicola abbrusciavano di caldo grandissimo l’aria, né si vedeva che spirasse vento alcuno, o che pur un poco d’òra movesse una minima foglia su gli arbori. Il perché essendosi madonna subito dopo desinare ritratta di sopra, disse il signor Pirro a la compagnia: — Signori miei, poi che madonna non v’è, io sarei di parere che andassimo tutti di brigata a goderci il fresco de la loggia del giardino e quivi passar il tempo, fin che madonna discenda a basso. — Piacque a tutti il parlar del signor Pirro, ed entrati sotto la loggia tutti s’assisero e cominciarono tra loro di varie cose a ragionare secondo che loro piú aggradiva. Non guari stette che sovragiunse messer Alessandro Baesio, compagno d’onore di madama, il quale veniva da San Sebastiano. Salutò egli tutta la compagnia e fu da tutti lietamente ricevuto, perciò che era persona allegra e molto piacevole. S’assise adunque con gli altri, e come fu assiso disse: — Signori, in questa medesima ora è stato affermato al nostro signor marchese trovarsi in questa sua cittá di Mantova una gentil donna di molto onorevol parentado, la quale in pochissimo spazio di tempo s’è amorosamente giacciuta con tre gentiluomini forestieri, che sono persone segnalate e tutti tre fratelli carnali. Il che al signor nostro è paruto assai strano, ed ha voluto dal signor Gian Francesco Gonzaga di Luzara, che sa come il fatto è passato, intender il nome de la donna, ed in segreto egli glielo ha manifestato. — Parve a tutti il caso esser fieramente abominabile e di rado avvenuto, e molte cose sovra la preposta materia furono dette, e s’andava con vari argomenti investigando chi potevano esser i tre fratelli e la donna. Alora il signor Alessandro Gonzaga sorridendo disse: — Noi siamo venuti qui per conchiuder la pace di questi valenti uomini, e siamo entrati a parlar de la pace di Marcone. — E ridendo tutta la brigata, disse il signor Pirro: — Queste sono di quelle cose che a l’improvviso accadeno. Ma poi che madama è ritirata, fin che venga giú si ragioni di ciò che si vuole, a ciò che meno ci rincresca l’aspettare. — Era quivi un messer Giulio Chieregato, gentiluomo vicentino, il quale secondo il proposito de la cui materia si parlava narrò un simil caso a Vicenza avvenuto, per quello che poi il signor Pirro, trovandosi meco a ragionare, puntalmente mi recitò, pregandomi a scriverlo e metterlo con le mie novelle. Il che feci io per ubidirlo. Il successo adunque di esso caso da me descritto vi mando ed al vertuoso vostro nome intitolato dono, non giá, e siami testimonio il mondo, come cosa di molto valore o degna di voi, ma per mostrar che di voi ricordevole vivo e viverò sempre, avendo di continuo ne l’animo la tanta umanitá vostra e i tanti da voi a me fatti piaceri. Ché in vero a voler dar cosa convenevole a la nobiltá vostra, al valore che in voi alberga, a la integritá de l’animo che si chiara si vede, a la costanza nei casi fortunevoli de la contraria fortuna, al prezzo di tante e sì varie scienze, quante apparate con lungo studio, con fatiche grandissime e larghe spese avete, mi converrebbe esser un altro voi. Ma perché oggidí ci sono assai, i quali vorrebbero esser tenuti santi, ed in effetto sono sentine d’ogni vizio, e se vedessero questa mia novella mi bandirebbero la cruciata a dosso, poco del lor falso giudicio curando l’ho voluta dar a voi, che sète uomo terenziano e nessuna cosa umana aliena da voi stimate. Conoscete poi chiaramente che scriver cose che a la giornata avvengono, se son cattive, non per ciò macchiano il nome di chi le scrive. Ed avendo piú volte di questo ragionato insieme, giovami credere che punto non vi spiacerá che no in questo del vostro nome mi prevaglia. State sano.
NOVELLA XVII
Lucrezia vicentina innamorata di Bernardino Losco con lui si giace e con dui altri di Bernardino fratelli.
Come bene ha detto il signor Pirro, poi che madama non v’è senza cui non si può dar fine a la pace che conchiuder intendiamo, non sará male il tempo che ci avanza consumare in piacevoli ragionamenti. E forse poteva esser che argomento di parlar ci sarebbe mancato, se messer Alessandro non ci recava materia da ragionare. Egli m’ha fatto sovvenire d’un simil caso, che, non è perciò molto, ne la mia patria avvenne. Io non so se questa mantovana volontariamente abbia prestato il mortaio ai tre fratelli, o vero se è stata con inganno indutta, come fu la mia vicentina di cui intendo parlarvi. Vi dico adunque che in Vicenza tra molte nobili famiglie che ci sono, che i Loschi sempre hanno posseduto onorato luogo, sí per l’antiche ed oneste lor ricchezze, come altresí per gli uomini vertuosi e de la patria amatori in quella nati. Tra questi ci fu messer Francesco Losco, il quale ebbe per moglie una gentildonna trivigiana, che gli fece alcuni figliuoli. E veggendosi egli vicino al morire, fece testamento e lasciò la moglie curatrice e tutrice dei figliuoli, e passò a l’altra vita. La donna che era da bene ed amava i figliuoli, dolente oltra modo de la morte di quello, attese con ogni diligenza al governo de la casa. Il primo dei figliuoli, che Gregorio aveva nome, essendo giá instrutto ne le cose grammaticali, mandò a Padova, e per alcuna mischia indi levatolo, lo fece andar a Pavia, dove ne le leggi pontificie e cesaree divenne dottore dotto e famoso, ed a Vicenza se ne tornò, dove era molto per la dottrina sua adoperato. Le ne restavano quattro altri, dei quali uno fece far di chiesa ed uno volle che a le cose di casa seco per suo scarico attendesse. Restavano dui nati ad un parto, tra loro cosí simili, che non che gli stranieri sapessero riconoscere l’uno da l’altro, ma quelli di casa e la istessa madre a pena sapevano farlo. Di questi dui, uno, che Giacomo aveva nome, perché era molto vivo ed al tutto si adattava, pose la madre ai servigi di monsignor Francesco Soderini, vescovo di Vicenza e Cardinal di santa Chiesa. L’altro, chiamato Bernardino, stava a Vicenza in casa. Erano questi dui fratelli, oltra l’esser simigliantissimi tra loro, i dui piú belli e leggiadri giovini che la patria mia alora avesse. Di Bernardino, presa da la sua beltá, s’innamorò madonna Lucrezia vicentina, maritata ad un dottore assai ricco. Erano le case dei fratelli Loschi ne la contrada di San Michele, vicine a la porta del Berga, ed ha nel borgo di quella di molti monisteri di monache, in uno dei quali era una parente di Lucrezia, con la quale ella teneva domestichezza grandissima e spesso la visitava, e andando al monistero le conveniva passar dinanzi la casa dei Loschi. Lucrezia ivi passando un dì vide Bernardino in porta, e le parve proprio di veder un angelo incarnato, e sì focosamente di lui s’innamorò che un’ora le pareva mill’anni di potersi trovar seco. Onde cominciò a frequentar piú del solito la visitazion de la monaca per veder Bernardino, e quando lo vedeva amorosamente il guardava e si cangiava di colore e talor anco sospirava. Il giovinetto, veggendo che una bella donna gli faceva buon viso e dolcemente il rimirava, se ne teneva molto buono. Ma perché non era pratico di cose d’amore, ché ancora non compiva i sedeci anni, non si curò altrimenti di corteggiar la donna né di mandarle ambasciata alcuna. Ella, che bramava esser invitata di quello che sommamente desiderava e che di grado al giovine averebbe donato, si trovava assai di mala voglia non si vedendo richiedere. Era ella di circa trenta anni, di persona snella e ben formata, di color piú tosto bianco che altrimenti, con un viso tutto ridente e dui occhi amorosi che parevano due vaghe e lucide stelle. Ora, poi che aspettato ebbe non pur giorni ma mesi, e vide che il giovine non le mandava a dir nulla, diceva spesso tra sé: — Lassa me, che farò io? Che pazzia è stata la mia ad accendermi si fieramente di sí sempliciotto figliolo, che del mio amore punto non s’accorge? Sarò sí presuntuosa ch’io lo richieggia? Averò tanto poco rispetto a la fama mia ch’io gli scriva o mandi ambasciate? Chi sa che egli ad altri non lo ridica e di me beffe si faccia? E se pur a’ miei prieghi pieghevole si renda, come uomo da me pregato dubito assai che sempre mi tenga in conto di donna vile e creda che io del corpo mio faccia mercanzia. Ahi sciocchezza di quelle donne, e di me particolarmente, che si mettono, com’ho fatto io, ad amar un giovine sbarbato. Non si sa egli che in cosí giovenile etá non è esperienza, non ci è avvedimento alcuno? questi giovinetti per il piú de le volte amano e disamano in un punto. Io conosco molto bene che, se in un uomo a me uguale avessi posto l’amor mio, e fattogli la metá del lieto viso che a questo sempliciotto ho dimostro, che io averei giá ricevuto mille lettere e goduto de l’amor mio. Quanto meglio averei fatt’io a dar udienza a le tante preghiere e ambasciate di messer Gregorio suo maggior fratello, che sí fervidamente mostrava amarmi e con tanta diligenza mi corteggiava e miseramente languiva. E s’egli non è sí come questo suo semplice fratello, è nondimeno bell’uomo ed avveduto, e non si sarebbe stato con le mani a cintola come fa costui. Io non gli averei sí picciol cenno saputo fare, ch’egli mi averebbe inteso ed usatomi mille amorosi inganni, nei quali, fingendo non avvedermene, mi sarei lasciata irretir con mio onore, e senza tutto il giorno consumarmi il mio intento averei conseguito. — Faceva questi discorsi tra sé la donna, e indarno se ne stava aspettando che il giovine la ricercasse. Ma veggendo che effetto nessuno al suo desio conforme non seguiva, impaziente a sopportar le voracissime fiamme de l’amore, ove miseramente struggendosi riposo alcuno non truovava, deliberò da se stessa aiutarsi. Aveva ella una sua fanticella molto esperta ed audace ed assai appariscente. Di questa fatta deliberazione di fidarsi, presa la oportunitá le disse: — Pasqua mia — tale era il nome di quella — avendoti sempre conosciuta leale e fedele, se tu credenza mi vuoi tenere, io farò di modo che di me ti contentarai. — Madonna, — le rispose la fante — voi mi potete dir il tutto, ché sempre mi trovarete fidata e segretissima. — Or bene sta, — soggiunse la padrona. — Dimmi, non sai tu ov’è la casa dei Loschi, dinanzi la quale passiamo spesso quando andiamo al monastero de la mia parente? — Sì so, — disse la fante — e che volete voi? — Io vo’ — le disse la donna — che tu parli a quel giovinetto che si spesso veggiamo in porta, di cui tante volte ti ho detto che non è piú bel figliuolo di lui in Vicenza. Io sono sì ardentemente innamorata di lui, che se tu non m’aiti e non fai ch’io mi giaccia seco, io mi sento morire. Quando tu lo vedi in porta, fa’ di modo, se è possibile, che entrando in ragionamento con lui egli alcuna cosa di me ti dica. E se vedi che non riesca, fagli intendere quanto io l’ami e desideri che sia mio come io son sua. — La fante ben ammaestrata promise portar i pollastri diligentissimamente. Né dando troppo indugio a la cosa, due e tre volte indi passando salutò Bernardino con certa domestichezza affabile; ma il giovine timido e mal esperto in cose d’amore, le rendeva freddamente il saluto ed altro non le diceva. La fante, che deliberata era di servir la sua padrona, trovato un dì il giovine tutto solo in porta, lo salutò e gli disse: — Voi fate pur il grande, e non degnate punto chi piú assai che la propria vita v’ama; egli non sta bene a stimar cosí poco chi vi vuol tutto il suo bene. — E chi è di cui io non tengo conto? — disse il giovine. La fante allora, entrata seco in ragionamento, si fece da capo e tutto l’amore de la sua madonna e il desiderio di quella affettuosamente gli fece manifesto, aggiungendogli mille caldissimi prieghi a fine che il giovine si disponesse ad amare chi tanto lui amava. Il giovine, che mai non era entrato in simil cimbello, udendo la fante si sentiva tutto il sangue commuoversi di vena in vena e tutto ad un tratto agghiacciarsi ed infiammarsi. Ma poi che ella ebbe dato fine al suo ragionare, egli le disse: — Ritorna a la tua madonna e raccomandami pur assai a lei, e sì le dirai che io son presto a far quanto ella vuole, pur che io sappia come, perché non so né quando né dove le debbia parlare. — Non vi caglia di questo, — rispose la fante — ch’io vi dirò l’ora ed il modo del ragionare e di trovarvi seco. Voi sapete che l’orto nostro confina in quella viottola che gli è di dietro, la quale suol esser molto solitaria, perché non mai o di rado ci passa persona. Voi potete senza un pericolo al mondo, come sia notte di due o tre ore, lá condurvi con una scala per scalare il muro, ed entrar dentro l’orto e ridurvi sotto il pergolato, ed attendermi fin che io verrò a pigliarvi. Il messere è fuori, ed io, come quelli di casa siano iti a dormire, vi condurrò ne la camera de la madonna, ove ella con un suo picciolo fanciullo si dorme. Voi potrete tutta questa notte starvi seco senza sospetto veruno. Ben vi prega madonna ad aver il suo onore, che mette ne le vostre mani, per raccomandato, ed esser segreto. — Bernardino disse di fare quanto era richiesto, ma che per ogni accidente che occorrer potesse, voleva menar seco un suo fidatissimo servidore. La Pasqua, che anco ella si sentiva aver voglia di non so che, a ciò che quando madonna fosse in faccende ella non stesse oziosa, si contentò del voler del giovine, e di quanto aveva tramato fece la sua padrona consapevole, che piena d’una estrema allegrezza restò contenta del tutto. Bernardino da l’altra parte, molto lieto che da sí bella donna fosse amato, attendeva la notte, ed un’ora gli pareva un anno. Scielse poi dei servidori il piú accorto e piú fidato, che Ferrante si chiamava, e di quanto far intendeva lo informò. Ora, poscia che il novello amante sentí lá circa le due ore e mezzo il tutto per d’ognintorno col silenzio de la notte cheto, fatto pigliar in collo a Ferrante una scala, che giá preparata aveva, al luogo da la fante disegnato senza incontrar persona s’inviò. Quivi scalato il muro, tutti dui nel giardino scesero ed andarono sotto il pergolato. Né guari quivi stettero, che sovravenne la scaltrita fante, e preso per mano Bernardino, quello a la camera de la madonna condusse, avendo prima a Ferrante detto che un poco l’attendesse. Come madonna Lucrezia vide il giovinetto entrar in camera, subito se lo prese in braccio, ed avvinchiatogli al collo le braccia, mille volte amorosamente in bocca basciando, gli diceva: — Sei tu qui, anima mia e cor del corpo mio? È egli vero ch’io ti tenga o pur m’insogno? Bascio io da dovero questa bocca di mèle, queste rosate labra e queste dolce guance? Ahi, cor mio, quanto m’hai fatto penare, quante volte morire, prima ch’ai miei desiri tu ti sia voluto render pieghevole! — Nuotava la donna in un mar di gioia, e gongolava per soverchia allegrezza, veggendosi aver in balia cosí bel giovine, la cui prima lanugine a pena spontava. Onde non si poteva saziare di basciarlo, stringerlo e dolcemente morsicarlo. Bernardino da l’altro canto basciava e stringeva lei. Dapoi, spogliatisi, se n’entrarono nel letto, prendendo insieme amoroso piacere. Mentre che i dui amanti si trastullavano, la buona Pasqua, a cui non pareva ben fatto che Ferrante solo se ne stesse, andò a trovarlo, ed entrata seco in ragionamenti, non molto stettero che fecero la congiunzione di Marte e Venere. E per piú agiatamente potersi congiungere, avendo giá avuta licenza di farlo, il menò al suo letto, che era in camera di madonna. Io vi so assicurare che se la padrona rifaceva i danni passati, che la Pasqua non perdeva tempo. Ora, avvicinandosi l’alba, Bernardino e Ferrante si levarono, ma prima posero ordine con la donna del modo che si aveva a tener per l’avvenire, e per la medesima via che erano venuti se ne ritornarono a casa. Cosí assai mesi, senza impedimento veruno, si diedero questi amanti il meglior tempo del mondo. Avvenne poi che Bernardino per alcune liti andò a Vinegia, ove gli bisognò lungamente dimorare. Il che a lui, e a la donna altresí, fu molestissimo. Pure fu forza aver pazienza. Essendo giá Bernardino, che Ferrante seco menato aveva, lungo tempo vivuto litigando a Vinegia, Giacomo suo fratello venne da Roma a Vicenza per starvi alcuni dí a spasso. Era Giacomo un giorno in porta, e a caso passando madonna Lucrezia, che andava al monastero, il vide e tenne per fermo che fosse Bernardino tornato a casa da Vinegia, e il salutò. Giacomo, che la donna non conosceva, non le fece altro motto, se non che di berretta la riverí. Il che veggendo la innamorata donna, non sapeva che imaginarsi altro, se non che Bernardino con lei fosse adirato, ed a Vinegia si fosse innamorato e piú di lei non si curasse. Andò non molto di buona voglia al monastero, e senza parlar a la sua parente se ne tornò indietro, e per ventura vide che Giacomo ancora su la porta de la sua casa dimorava. Lo salutò un’altra volta, e con sommessa e tremante voce gli disse: — Voi siate per mille volte il ben tornato — e perché alcuni venivano per la contrada, non ebbe ella ardire di fermarsi, ma passò di lungo, credendo fermamente che colui che in porta era fosse il suo Bernardino. Giacomo, per esser di poco avanti tornato da Roma, portava ferma openione che la donna l’avesse salutato perché prima che egli andasse a Roma fosse di lui innamorata. Nondimeno non gli sovveniva che di esso ella mai avesse contezza alcuna. E varie e varie cose sovra ciò pensando, né mai al vero apponendosi, non sapeva che si dire. Onde essendo tornato in casa, disse sorridendo a Gregorio suo fratello che era dottore: — Non sapete voi che una bella gentildonna giá s'è di me innamorata, e due volte in meno di mezz’ora m’ha dati i piú dolci saluti del mondo? Ma il bello è che io non la conosco, e per essermi trovato solo in porta non le ho potuto mandar dietro nessuno dei servidori per ispiar dove se ne giva. E quasi credo che se io la rincontrassi che forse non la conoscerei. — Oh, — disse Gregorio, — pigliati pur buono in mano; perché sei stato qualche giorno a Roma, pensi che ciascuna donna che ti vede sia di te innamorata. Altro ci vuol, fratellino. — E cosí parlando tra loro passavano il tempo. Ora madonna Lucrezia, portando ferma openione che colui che in porta salutato aveva fosse Bernardino, e forte dubitando che egli fosse seco in còlera, per meglio di questo chiarirsi, fece l’usato segno ad una finestra, che far soleva quando Bernardino deveva andarsi a giacer con esso lei; ma ella era molto longe da mercato, perciò che Giacomo non pose fantasia a segno, e ancora che veduto l’avesse, che sapeva egli che farsi? Veggendo la donna che la notte il suo Bernardino non compariva, dolente oltra misura, non faceva se non piangere la sua sciagura, né si poteva immaginare in che cosa il suo amante avesse offeso giá mai. Onde senza dubio teneva per certo che egli, in Vinegia innamorato, piú di lei non si curasse. Deliberossi adunque di chiarirsene in tutto e veder se possibil era di ridursi seco a parlamento e da lui intender la cagione di questo suo corruccio. Il perché chiamata a sé la fante, sospirando e lagrimando le disse: — Io sono, Pasqua mia, in affanno grandissimo del dubio anzi pur certezza che ho, che di me a Bernardino non solamente piú non caglia, ma che egli in grandissima còlera meco viva. Del che non so né posso io imaginarmi cagion alcuna, salvo se non ha a male che io troppo l’ami. Egli è tornato da Vinegia, ed hollo due fiate salutato e mi pare che piú non mi conosca. Ho messo a la finestra il solito tra noi convenuto segno, ma egli punto di venir non s’è curato. Il che quanta passione mi dia, Dio per me te lo dica. Vorrei mò che tu vedessi di trovarlo, e pregandolo caramente dirgli che sia contento farmi questa grazia, che io possa parlargli una volta, e che questa notte che viene io l’attenderò secondo il solito. Va’, Pasqua mia cara, e fa’ come ho fede in te. — La fante promise di far il tutto diligentemente. E non dando indugio a la cosa, finse d’andar al monistero e ne l'andare vide Giacomo tutto solo in porta. Come ella il vide, si pensò che certissimamente egli fosse Bernardino, tanto era l’uno a l’altro simile, e passandogli avanti gli disse senza altrimenti chiamarlo per nome: — Madonna Lucrezia mia padrona vi prega con tutto il core che questa notte vogliate venir a parlarle, e che senza fallo vi aspetterá. — Giacomo, un poco seguendola, le rispose dicendo: — Ove vuoi tu che io venga? — Ella alora soggiunse: — Siete voi smemorato che non sappiate piú venir ne l’orto nostro per la viottola di dietro, e sotto il pergolato attendermi fin che io verrò per voi? — E cosí senza altro dire se n’andò di lungo. Messer Gregorio il dottore, uscendo del suo studio, venne in porta a prendere un poco d’aria, e vide Giacomo con la Pasqua ragionar di segreto. Egli assai ben conosceva chi ella fosse e con chi stesse, come colui che giá era stato innamorato di madonna Lucrezia, ben che indarno. Domandò adunque a Giacomo ciò che egli avesse a far con quella donna. Il giovine senza altrimenti pensar piú innanzi disse al fratello puntalmente tutto quello che con la fante ragionato aveva. Il buon dottore pensò che madonna Lucrezia avesse preso Giacomo in fallo, e che di Bernardino veramente fosse innamorata, non sapendo ad altro sentimento voltar le parole da la Pasqua dette. Per questo non volle restar di provar sua ventura e veder se gli potesse venir fatto di trovarsi con qualche inganno a lato una notte a la donna. Disse adunque a Giacomo: — Io mi fo certamente a credere che questa gentildonna sia di te fieramente accesa. Ella, come tu vedi, è bella ed onorata persona, e tu dei far ogni cosa per sapertela mantenere, e non ti fidar dei servidori, i quali il piú de le volte sono molto facili a manifestar gli amori dei lor padroni, di che bene spesso ne nascono di grandissimi scandali. Fa’ a mio modo, non v’andar senza me, perché io volentieri, per ogni cosa che potesse accadere, sempre verrò teco. — Il giovine promise di far secondo il suo conseglio. Venuta adunque la notte, presa una scaletta, tutti dui se n'andarono a l’orto, ed entrati dentro s’appiattarono chetamente sotto il pergolato. Era il costume de la donna innamorata tener acceso un lume in camera, fin che il suo amante seco in letto si corcava, perciò che la notte ch’ella lo attendeva tutta si poliva per parergli al lume piú del solito bella. Come poi era corcata, la Pasqua il lume spegneva e dentro menava Ferrante, avendo così in commessione da la padrona, la quale da Ferrante, non so perché, non voleva in letto esser veduta. Ora venuto il tempo convenevole, andò la fante a basso, ed entrata ne l’orto, perché la notte era oscura e molto piú buio sotto il pergolato, non passò piú innanzi, ma con sommessa voce disse: — Ove séte voi? — A questa voce Giacomo si fece innanzi e rispose: — Eccomi. — Alora ella gli domandò ove era il compagno. — Quivi sono — soggionse messer Gregorio; — andate pur lá ch’io vengo dietro. — Preso la fante per mano Giacomo invece di Bernardino s’inviò verso la camera, e volendo entrar dentro, s’avvide che messer Gregorio anco egli ci voleva entrare. Onde lasciato andar Giacomo dentro, diede de la mano nel petto di messer Gregorio, credendolo Ferrante, e gli disse: — Aspetta un poco ch’io verrò per te a mano a mano. Tu ti sei tosto scordato l'usanza nostra. — E detto questo entrò in camera per dispogliar la donna e il giovine. Messer Gregorio, che sapeva Bernardino suo fratello con Ferrante molto spesso andar fuor di notte quando era a Vicenza, considerate le parole de la Pasqua, tenne per fermo madonna Lucrezia esser di Bernardino innamorata, e che Giacomo per la sembianza del fratello era preso in fallo. Ora ne l’entrare che Giacomo fece ne la camera, essendo cortegiano molto gentile, salutò riverentemente la donna, la quale come il vide, fattosegli incontra, l’abbracciò strettamente ed il basciò piú volte, e poi gli disse: — Beato chi vi può vedere. Sono giá tanti giorni che sète in Vicenza, e fate, non so perché, cosí gran carestia di voi, che a pena vi lasciate talora vedere. E che peggio è, salutandovi io questi dì, voi non degnaste di rispondermi. — Signora mia, — rispose Giacomo — nel vero io ebbi poca discrezione; ma voi cosí a la sproveduta mi coglieste, che io essendo fieramente immerso in certi miei pensieri, mancai forte del debito mio. Ma eccomi che io sono qui in poter vostro; pigliate di me quella vendetta che piú v’aggrada, ché io vi sarò sempre ubidientissimo servidore. — Poteva la donna al parlar cortegiano del giovine accorgersi de l’inganno e chiaro conoscer quello non esser Bernardino; ma tanta era la simiglianza dei volti dei dui fratelli, che ella era solo intenta a contemplar la bellezza del giovine, che al parlar forastiero non metteva mente. Aiutati adunque a spogliarsi da la Pasqua, se n’entrarono in letto, dove Giacomo fece prova di valente cavaliero, ma molto piú lascivamente di quello che Bernardino era uso di fare, perciò che esso Giacomo aveva a Roma imparato molti tratti lascivi, cosí nel basciare come nel resto. Andò la Pasqua come ebbe spento il lume e introdusse messer Gregorio, il quale, ancor che gli spiacesse invece de la padrona giacersi con la fantesca, nondimeno tutta notte corse le poste. Levatisi poi per tempo i dui fratelli, a casa se ne ritornarono. Ora il marito de la donna, che era dimorato fuor di Vicenza lungo tempo, se ne venne a casa, e venendogli in acconcio, egli affittò una sua bella possessione che in contado aveva, dove soleva per il piú del tempo dimorare. E cosí abitando in Vicenza, era levata la via a la moglie di potersi trovar con il suo amante. Di che ella menava un’amarissima vita e non si poteva a modo veruno consolare, avendo sempre l’animo a Bernardino. Per questo il giacersi col marito le era di grandissimo dispiacere, e tanto piú pareva che la sua pena si facesse maggiore, quanto che ogn'ora le mancava la speranza per la presenza del marito di potersi piú trovare, o rarissime volte, con il suo amante. Da l’altra banda Giacomo, a cui gli abbracciamenti de la donna sommamente erano stati cari e senza fine piacevano, ogni dì sollecitava la Pasqua con le piú dolci preghiere ed affettuosissime parole che fosse possibile a ciò che trovasse via che potesse esser con madonna. La Pasqua il tutto a la padrona faceva intendere e le diceva: — Madonna, a me fa pur gran peccato de la doglia che sopporta Bernardino tutto il dì, non si potendo trovar con voi. Egli con il suo dolce ragionare moverebbe i sassi a pietá, e pare che mi cavi il core per la compassione che ho di lui. — Con queste e simili ambasciate aggiungeva la fante fuoco a le ardenti fiamme di madonna, la quale tuttavia struggendosi ad altro non pensava che a trovar modo con qualche inganno d'appiccarla al marito, e farsi venir il suo amante. E poi che la malizia ebbe pensata, la communicò con la fante, e tra loro trovatola buona deliberarono mandarla ad effetto. Finse madonna Lucrezia e diede voce d’esser gravida e, per meglio accompagnar questa sua finta gravidezza, cominciò a sputar assai piú del solito, lamentarsi di dolor di stomaco e mostrar ben spesso di aver vomito. Finse anco d’aver perduto l’appetito e d’esser talmente svogliata di cibarsi, che diceva non trovar gusto in cibo alcuno. Il povero marito ogni giorno faceva recar a casa augelletti che la stagion dava e farle fare i piú saporosi e delicati manicaretti, con speziarie e cose aromatiche, che fosse possibile. Ella del tutto fastidita mostrandosi, nulla o poco, che veduta fosse, mangiava. Ma la scaltrita Pasqua, ai tempi debiti, recava sempre qualche vivanda e vini preziosi, con i quali la madonna ristorava. La notte poi per il letto dimenandosi non lasciava riposar il marito. Egli, che quelle simulate passioni esser vere credeva, aveva assai maggior dolore di quello che la moglie mostrava sofferire. Le fece far rimedi assai senza profitto veruno. E perché ella affermava pure d’esser gravida, non osarono i medici metter mano a farle aprir le vene né darle medicine solutive. Il marito per lasciar il letto libero a la moglie s’era ridutto in un’altra camera, ed in quella ove dormiva la donna erano duo letti, un grande ed un lettuccio intorniato di sarge. Ella ora su questo ed or su quello si corcava, mostrando non trovar luogo che le giovasse. Poi che il marito si levò di camera, ordinò che una sua vecchia nodrita in casa dormisse con la Pasqua a ciò che fossero preste ai bisogni de la donna. Stando le cose di questa maniera, ella il piú de le volte si giaceva sovra il lettuccio, e parendole poter far venir il suo amante, mostrando però tuttavia esser cagionevole de la persona, ordinò a la Pasqua che il facesse venire. Al che ella non diede indugio, ma trovato Giacomo gli disse che la seguente notte a l’ora consueta l’aspettava. Il che al giovine fu molto caro. Onde egli e messer Gregorio, come soliti erano, passarono ne l’orto attendendo la Pasqua, la quale quando vide l’oportunitá del tempo se ne andò giú, e giungendo a l’uscio de l’orto trovò che quivi era messer Gregorio, e pensandolo Bernardino, gli disse pian piano la trama che la donna aveva ordita per trovarsi con lui ai soliti piaceri: — E perché donna Menica dorme meco nel letto grande, e madonna si giace nel mio lettuccio, egli vi conviene che vi spogliate qui, e poi veniate suso chetissimamente, ché io non posso accompagnarvi, né vorrei piú qui tardare, a ciò che donna Menica svegliandosi non si accorgesse che io non ci fossi. Voi sapete la via; venite, come spogliati sète, pian piano, che trovarete tutti gli usci aperti. — In questo mezzo che la Pasqua diede questi ordini a messer Gregorio, era stato Giacomo a far certo suo bisogno in fondo de l’orto, ed arrivò in quel punto presso al fratello quando la Pasqua si partiva. Messer Gregorio, che gran tempo era stato innamorato di madonna Lucrezia, si sentì destare il concupiscibile appetito e riaccendere le giá quasi spente amorose fiamme. Ed ancor che sapesse Giacomo essersi con la donna amorosamente mischiato e per fermo tenesse Bernardino altresí aver di quella carnalmente preso piacere, poco di ciò curandosi, deliberò prender l’occasione che la fortuna gli poneva innanti ed esser il terzo giostratore in questa amorosa guerra, sapendo che il numero ternario appo gli antichi era numero perfetto e sacro ed in tutte le azioni loro di grandissima venerazione. Onde disse a Giacomo parte di quello che da la Pasqua aveva inteso, e tacque il resto. Spogliatisi adunque e riposti i panni insieme sotto il pergolato, cheti se ne salirono di sopra, e giunti a la camera e trovato che l’uscio di quella non era fermato, disse messer Gregorio ne l’orecchia al fratello: — Vedi, frate, guardati di far motto di parole a madonna Lucrezia, perciò che è seco a dormire la vecchia de la casa, la quale se ti sentisse, noi guasta- remo i fatti nostri. Giuoca a la mutola e datti piacere. E perché io anderò per l’oscuro piú sicuramente di te, dammi la mano, ch'io ti porrò a lato a la tua donna. Vienimi destramente dietro. — E cosí lo condusse e lo pose a lato a la Pasqua. Egli poi di lungo se n’andò ove madonna Lucrezia giaceva, ed a canto a quella corcatosi colse con inganno quel tanto da lui desiato frutto, che da lei mai per preghiere non gli era stato concesso. E ben che la donna per molti segni colui che seco si giaceva tenesse per fermo non esser Bernardino, nondimeno per tema de la vecchia, che sovente tossir sentiva, che era svegliata, non osò dir nulla giá mai. Medesimamente la Pasqua s’accorse molto bene che Ferrante non era quello che il pellicione le scuoteva, e si trovò dolente oltra modo, e non ardiva far motto per tema de la vecchia dicendo tra sé : — Lassa me, che cosa è questa? costoro non mi hanno per certo intesa. Ferrante sará ito e postosi in letto con madonna, e Bernardino è questo che meco si giace. Se madonna di questo error s'accorge, crederá in fé di Dio ch’io l’abbia fatto a posta, e mai piú non averò pace seco. Ma io non vi ho colpa. E se non mi hanno inteso, che far ci posso? — Ora venuto il tempo di levarsi, Giacomo disse pian piano ne l’orecchia a la Pasqua che senza fallo la seguente notte ritornarebbero. Sapeva messer Gregorio che questa novella non poteva andar molto innanti che non si scoprisse, sí perché dubitava che le donne de l’inganno non si accorgessero, ed altresi che di giorno in giorno aspettava Bernardino. Per questo voleva fin che concesso gli fosse goder madonna Lucrezia, avvenisse poi ciò che si volesse. Levatisi adunque senza far stropiccio alcuno, se ne tornarono a casa. Era messer Gregorio de l’inganno al fratello usato fuor di modo allegro, e ragionando con Giacomo gli domandò come s’era la notte diportato. — Io vi dirò il vero — rispose Giacomo; — madonna Lucrezia non mi par piú dessa. Io l’ho ben trovata grande e compressa come prima, ma il fiato non ha piú cosí soave come soleva; non giá che le putisca, ma mi pare un poco grosso. Non ha anco piú ne la persona quella delicatezza de le carni che era usa d’avere, ché adesso mi paiono a toccarle carne d’oca, che prima rassembravano schietto avorio. Le ho poi trovate le mani dure e ruvide, né so che mi dire. — Messer Gregorio a queste parole del fratello smascellatamente rideva, e quasi di lui si gabbava, e gli diceva: — Io non so come sia possibile che ella abbia fatto in cosí breve tempo tanta mutazione; potria esser per qualche accidente. Ma ella tornerá al naturale. — Da l’altra parte madonna Lucrezia e la Pasqua, che sapevano d’aver la notte cangiati gli amanti, si guardavano mezzo in cagnesco; e tuttavia credendo l’una che l’altra forse de l’inganno non si fosse avveduta, ciascuna si taceva. Pensava madonna Lucrezia e tra sé diceva: — Potrebbe di leggero avvenire che questa imbriaca de la fante non si sia del cambiamento degli uomini nostri avveduta, e pazzia sarebbe la mia farla avvisata di quello che forse non sa, e discoprir le mie vergogne. Chi sa anco che io non m’inganni, e la mia sia una falsa sospezione, e che l’aver tutta questa notte vegliato, che non mi faccia andare il cervello a torno. Io pur dissi a la fante che deveva avvertir Bernardino de la mutazion dei letti, il che mi riferi aver diligentemente fatto. — La Pasqua anco non ardiva farne motto a la padrona, e deliberava come prima vedeva o Bernardino o Ferrante di nuovo lor dire come avevano cangiato letto. Quella matina istessa poi arrivò Bernardino a Vicenza, che il giorno avanti s’era da Vinegia partito, e desinato che ebbe con i fratelli se n’andò per veder la sua innamorata. La Pasqua il vide e credendolo esser quello che la passata notte seco era giacciuto, uscí di casa e gli andò dietro per ammaestrarlo meglio come dormivano, a ciò che la seguente notte non si prendesse errore. Come ella il giunse il salutò, ed egli, resole il saluto, le domandò come stava madonna. — Bene — rispose ella — al piacer vostro, e questa sera senza un fallo v’aspettiamo. Ma per l’amor di Dio guardate a non fallire, perché madonna dorme nel mio letto, ed io nel suo insieme con donna Menica. Per questo io non verrò altrimenti per voi, ma quando sentirete ogni cosa cheta, venite di lungo e ricordatevi non commetter fallo. — Volendole Bernardino rispondere non so che, sovravvennero alcuni di modo che la Pasqua se n’andò di lungo, ed il giovine altro non disse. Venuta la notte da tutti tre i fratelli con desiderio grandissimo aspettata, e parimente da Ferrante, messer Gregorio, che non pensava che per esser Bernardino venuto quel di da Vinegia volesse la notte andar fuori, con Giacomo usci di casa, e tutti dui ne l’orto entrarono, e spogliandosi lasciarono i panni sotto il pergolato ed entrarono nel cortile per meglio conoscere quando i lumi de la casa fossero spenti. E parendo loro che il tutto fosse queto é nessuno piú si trovasse fuor di letto, chetamente se ne salirono di sopra ed entrarono pian piano ne la camera de la donna, come la passata notte avevano fatto, perciò che messer Gregorio di nuovo ingannò il fratello e lo condusse a lato a la Pasqua, ed egli entrò nel letto con madonna Lucrezia. Ella subito si destò e cupidamente raccolse messer Gregorio credendo tirarsi appresso Bernardino. Ma tantosto s’avide che colui non era il suo amante, e dubitò che Bernardino, lasciato Ferrante, un altro compagno condotto avesse, parendole che Ferrante non devesse aver le carni cosí morbide e cosí delicate mani come aveva colui che seco giaceva. Era messer Gregorio giovine molto delicato e bello di persona, se bene la sua bellezza era assai minore de la beltá del fratello. Dolente adunque oltra modo la donna, non sapeva ciò che si fare. Averebbe volentieri gridato, ma temeva svergognarsi con la vecchia. Pensando poi che forse colui che seco giaceva si credesse d’esser appo la Pasqua, alquanto alleggeriva l’acerba sua doglia, e cosí freddamente si lasciava godere, senza altro dire, a messer Gregorio, il quale avvedutosi che la donna de l’inganno s’accorgeva, tra sé ridendo attendeva a darsi piacere. La Pasqua, accortasi anco ella che colui che appresso aveva non era Ferrante, ma Bernardino, si teneva per disfatta e la piú dolente femina che mai fosse, e maladiva quella strega de la Menica, perciò che se ella non fosse stata in camera ella averebbe dato a l’arme e gridato, a ciò che la madonna avesse potuto conoscere che ella di cotal inganno non ci aveva una colpa al mondo. Doleva a madonna Lucrezia grandemente a quel modo esser beffata, ma d’invidia e di gelosia ardendo, non poteva sofferire che la ribalda de la fante il suo caro Bernardino si godesse e tutta notte ne le braccia tenesse. E questo verme era quello che piú d’ogn’altra cosa il core le rodeva. Ma lasciamo che queste donne se ne stiano un poco parte in pena e parte in gioia, perché esser non può che negli abbracciamenti ed amorosi baci non sentissero alcun poco di piacere. Bernardino, non molto dopo i fratelli, uscí con Ferrante di casa e ne l’orto entrò, ove stette buona pezza scordatosi che la Pasqua detto gli avesse che per lui non poteva venire. Era giá passato gran pezzo di notte e molte fiate Bernardino s’era adirato contra la Pasqua, ed il medesimo faceva Ferrante. Sovvenuto poi a Bernardino de le parole de la Pasqua, le disse a Ferrante, e deliberarono andar a vedere se la camera de le donne era aperta, e trovatola fermata pensarono che alcun accidente fosse sopravenuto. Onde tornarono indietro e passando per il giardino ebbero veduto i panni dei fratelli e la scala. Alora disse Bernardino: — Ecco leali femine, fidati di loro. Io amavo piú costei che la vita mia, e per amor di quella mi sono astenuto a Vinegia e qui da mille trastulli amorosi che mi averei potuto prendere. Or sia con Dio. Non sará per l’avvenire piú femina che m’inganni, perché di loro con il pegno in mano non mi fiderei mai piú. — Se Bernardino si lamentava e diceva mal de le donne, io vi so dire che Ferrante non si teneva la lingua fra i denti, e diceva mal e peggio, essortando il padrone a darsi buon tempo e vita chiara con quante donne gli venivano a le mani. — Che credete voi, — diceva egli — che questa sia la prima che queste feminaccie ci hanno fatta? Egli non è la prima e meno sará l’ultima, perché vogliono tanti uomini quanti ne ponno avere, e mai non sono né sazie né stracche. — Ed essendo tutti dui di fellone e mal talento contra le donne, e volendosi partire, Ferrante al padrone rivolto disse: — Lasciaremo noi questi panni qui? Non li lascierò giá io, siano mò di chi si voglia. — Non voleva Bernardino che i panni si levassero, ma Ferrante gli prese insieme con la scala, ed uscirono de l’orto. Poi messosi in collo le due scale, ed i panni sotto il braccio, disse Ferrante: — Al corpo che io non vo’ dire, egli sarebbe ben fatto che noi facessimo levare tutti i nostri servidori di casa, e prender l’arme e far un mal giuoco a costoro che sono con le donne. — Cosí parlando di questo, arrivarono a casa, ove sviluppati i panni e manifestamente conosciuto che erano di messer Gregorio e di Giacomo, fu mal contento Bernardino che la scala si fosse levata. Era giá quasi l’alba, il perché essendo ora di levarsi, i dui fratelli, lasciate molto malcontente le donne che ingannate si conoscevano, se ne scesero a basso, e non trovando né scala né panni, dolenti e pieni di meraviglia, con gran fatica a la meglio che puotero salirono il pergolato, ed indi si lasciarono dietro al muro cader giú, né altro male si fecero, se non che alquanto si scorticarono le gambe, per esser senza calze. Erano a pena in terra, che Bernardino e Ferrante, venendo con frettoloso passo, gli arrivarono sopra con i panni e la scala. Chi gli avesse veduti in viso, non so qual di loro avessi trovato piú smarrito o piú pieno di vergogna, perciò che tutti quattro erano ad un termine. Ora, senza perder tempo, tutti di brigata se ne tornarono a casa. Bernardino fieramente si doleva di Giacomo, che con la sembianza del volto si fosse finto esser Bernardino ed avesse la sua donna ingannata. Giacomo si scusava, dicendo che giá mai non aveva inteso che egli fosse de la donna innamorato; ché se saputo l’avesse, non si sarebbe seco domesticato. Messer Gregorio alora postosi in mezzo ai fratelli disse a Bernardino: — Deh, fratel mio, se Dio ti salvi, dimmi come e quando cominciasti a domesticarti con costei, ché di Giacomo come il fatto sia seguito so io troppo bene. — Bernardino, fattosi da capo, narrò puntalmente tutta l’istoria del suo amore come era avvenuta. Messer Gregorio alora narrò loro come egli aveva ragione di rammaricarsi piú che essi, perché prima di loro era stato de la donna amante, e gli consegliò che per quel poco tempo che Giacomo deveva restar in Vicenza s’accordassero, e vicendevolmente la donna godessero. Ed ancor che a Bernardino dispiacesse, pur sapendo che Giacomo giá l’aveva goduta, vi s’accordò. Le donne levate la matina si guardavano con mal occhio, di modo che la Pasqua, spaventata da una brutta guardatura de la padrona, le disse: — Madonna, io non ci ho colpa, perché gli avvertii molto bene de la mutazione dei letti, e glielo replicai piú volte, né so come questo fatto sia ito. Io per me ne sono tanto dolente che non potria esser piú, e solamente di voi mi duole. — Cotesto crederò ben io, gaglioffa che tu sei, — rispose madonna Lucrezia — che di te nulla ti caglia, che tanto trista ti faccia Iddio, quanto io bramo d’esser contenta. Tu non hai perduto nulla in questo fatto, che non so che mi tenga che non ti cacci gli occhi del capo. Tu hai voluto goder Bernardino, brutta femina che tu sei. Ma io te ne pagherò a doppia derrata, e ti farò quei basci di quella dolcissima bocca parer piú amari che assenzio e fele. — Piangeva la poverella de la fante e teneva pur detto che la colpa non era sua, e che gli aveva avvertiti. La donna non accettava scusazione alcuna, e le diceva che ella si deveva pur awedere che colui che seco giaceva non era Ferrante. — Io me ne avvidi pur troppo — soggiunse la Pasqua; — ma che volevate voi che io in quel punto facessi? Io dubitava troppo che quella strega de la Menica non s’accorgesse che meco fosse un uomo, e che le nostre trame si discoprissero, che sarebbe stato troppo gran fallo, ed una macchia tanto grande che tutta l’acqua del Bacchigliene non saria bastante a lavarla. Cara madonna, io tremava di paura che quella traditora vecchia non si svegliasse, e sentisse il ruzzar di Bernardino, il quale, come mi fu appresso, credendosi che io fossi voi, m’abbracciò stretta stretta e mi diede i piú soavi ed amorosi basci con quella bocca inzuccherata, che pareva che di dolcezza tutto si struggesse, il che Ferrante non era solito di far giá mai. — Queste parole, scioccamente da la Pasqua dette, accrescevano meravigliosamente la doglia e lo sdegno de la madonna, e se non fosse stato che la Pasqua era consapevole di tutte le trame de la padrona, ella furiosamente l’averebbe a brano a brano smembrata. Ma la Pasqua che vide l’ira de la donna, umilmente le disse: — Madonna, che averete voi fatto, quando a torto mi averete date tante busse quante vi piacerá darmi? Io ho pur fatte tante fatiche per voi, che questo picciolo errore mi deverebbe esser perdonato. — Poco errore ti par questo? — rispose madonna. — Basta, basta, noi un di faremo ragione. — Le parole furono assai tra lor due; a la fine la Pasqua aiutata da subito conseglio disse: — Madonna, voi sapete pure che si suol dir «peccato occulto si può dir non fatto». Io porto ferma openione che né Bernardino né Ferrante si siano accorti de l’errore, perciò che né voi con Ferrante né io con Bernardino dicemmo nulla queste passate notti per tema de la maledetta vecchia. Ora come messere vada fuori, voi potete dir a la Menica che vi sentite assai bene, e che non ci è piú bisogno di lei, e farla tornar a la sua camera. Noi faremo poi venir Bernardino e Ferrante, e terremo il lume in camera, e potremo a nostro piacere parlare, ed a questo modo non ci sará pericolo d’inganno. — Restò sodisfatta assai a queste parole madonna Lucrezia, e con la Pasqua si riconciliò, deliberando seguir il conseglio che ella le dava. Venuta non molto di poi l’occasione che il marito andò fuori, elle si fecero venire gli amanti. Bernardino e Giacomo, accordatosi insieme, ora l’uno ed ora l’altro, accompagnati da Ferrante, andavano a giacersi con la donna, e si davano il meglior tempo del mondo. Si parti poi Giacomo, e se ne ritornò a Roma ai servigi del suo Cardinal Soderino. E cosí Bernardino restò solo in possessione dei beni de la donna, la quale, ogni volta che ci era la comoditá, se lo faceva venire a dormir seco. Durò questa pratica tra loro molti e molti mesi ed anni. A la fine poi, per certe parole di Ferrante, la cosa si divolgò, di modo che pervenne a l’orecchie di madonna Lucrezia, la quale certificata che con i tre fratelli s’era giaciuta, si ritrovò la piú dolente donna del mondo, e si ritirò da questa impresa, né piú volle dar udienza a parole di Bernardino, ma attese a vivere onestamente. Sono alcuni che dicono che messer Gregorio ordinò a Giacomo ed a Bernardino una certa favola per ingannar la donna, volendo che tutti dui andassero di compagnia, e diessero ad intendere a la donna che l’uno era il genio de l’altro, e che essendo tutti dui in camera che le donne restarono fuor di modo piene di meraviglia, non sapendo discerner qual fosse Bernardino, e che a questo modo cangiavano pasto or con madonna or con la fante. Ma mia avola diceva la cosa esser de la maniera che io v’ho narrato. E cosí a tempo averò finito, ché io sento i cagnoletti di madama venir abbaiando, che è segno che essa madama discende a basso.