< Novelle (Bandello, 1910) < Parte II
Questo testo è incompleto.
Novella L - Arnaldo trombetta perde quanto ha a primiera, ed al correr dell’anello guadagna assai più, e si rimette in arnese
Parte II - Novella XLIX Parte II - Novella LI

IL BANDELLO

al vertuoso

messer marcantonio gavazza

salute


Io mi credeva dopo il ritorno vostro da Roma che voi de- veste venir a star qui con noi alquanti di a ricrearvi un poco e narrarci del modo che in mare capitaste in mano di quei corsari e come poi cosí tosto ne foste liberato; ché in vero voi avete avuto una bellissima grazia ad esser uscito fuor de le mani di quegli infedeli. Del che con voi mi rallegro con tutto il core, dandovi per conseglio che un'altra volta vi guardate d'incappar in cosí mali spiriti, che non basterá né acqua santa né vi varrá il segno de la croce a uscirne fuori. Noi abbiamo fatto un carnevale, secondo l’usanza nostra, assai piacevole in questo nostro luogo di Bassens. Qui capitò, giá molti di sono, messer Filippo Baldo, che veniva di Fiandra per passar in Ispagna, e con noi ha riposato questo verno. Egli è il padre vero de le novelle e sempre n’ha pieno un carnero; e tra molte altre che narrate ci ha, ne narrò una nel giardino, die ci fece molto ridere, la quale io scrissi. Sovvenendomi poi di voi che io desiderava che foste qui, poi che venuto non séte, ho voluto che questa novella sotto il vostro nome con l’altre sue sorelle s’accompagni, a ciò che veggiate, se bene da voi son lontano, che nondimeno di voi e de la cortesia vostra tengo quella memoria che l’amore, che sempre mostrato m’avete, ricerca, e che punto di voi non mi scordo. Cosi potessi io con altra dimostrazione farvi conoscere quanto ch’io v’ami e desideri di farvi cosa grata, a ciò che voi poteste pienamente conoscer l’animo mio! Ma chi fa ciò che può adempie la legge. State sano e non vi scordate 40 PARTS SECONDA far le mie umili raccomandazioni a l’illustrissimo e reverendissimo monsignore, commune padrone. NOVELLA L Arnaldo trombetta perde quanto ha a primiera e al correr de l'anello guadagna assai più e si rimette in arnese. Per esser il tempo del carnevale, che, come più volte ho detto, suole per l’ordinario gioiosamente in feste e piaceri dispensarsi, e veggiamo tutte le sorti degli uomini più del solito allegramente trastullarsi, non reputo che a noi altri sia disdicevole il ricrearsi con piacevoli ragionamenti, lo v’ho questi di narrate alcune novelle, per la maggior parte a la presenza di madama e de le sue damigelle. Ora che ella non ci può essere, per trovarsi in affari di grandissima importanza occupata, noi che nel giardino siamo, diportandoci sotto questi pergolati, logorammo questa breve ora passeggiando e ragionando. Ché se al gran filosofo Aristotele e ai sagaci suoi peripatetici non pareva disconvenevole, passeggiando, di filosofare e disputar questioni altissime e profonde de le cose de la natura, meno deve esser disdetto a noi, ragionando di cose festevoli e da far rider Saturno che mai non ride. Dicovi adunque che ne le guerre di Lombardia guerreggiate sotto il governo del signor Prospero Colonna d’onorata memoria si fece una tregua per molti mesi ; onde Arnaldo francese, che era trombetta d’esso signor Prospero, domandò congedo per alcuni di per andar in Francia a casa sua, e graziosamente gli fu concesso. Egli aveva si ben fatti i casi suoi che si trovava più di seicento ducati d’oro, i quali deliberava portar a casa e comperarsi un poderetto, con speranza di guadagnarne degli altri a la giornata e cosi crescer i suoi beni, per poter poi riposare ne la vecchiezza. Avuta licenza e montato a cavallo, cominciò a buone giornate a seguir il camino verso Francia e, passate l’Alpi e la Savoia, andar a la volta de la città di Parigi. Era costui d’ùn villaggio che è di là da Parigi tre o quattro leghe verso Normandia. Pervenuto adunque presso a Parigi ad una buona osteria, dismontò a NOVELLA L 41 dismare. Erano poco innanzi quivi albergati alcuni gentiluomini e già desinavano. Smontato il trombetta e fatto metter il cavallo ne la stalla e ben curare, fu messo in una camera e datogli da desinare. Egli era un bel compagno,- molto ben vestito, con gasacca di velluto e con la berretta ricca di puntali d’oro e d’una preziosa medaglia. Aveva anco al collo una catena d’oro di settanta in ottanta scudi, con ricchi anelli ne le mani. Come ebbe desinato, si mise andare per l’osteria e vide i gentiluomini sovradetti, che in camera ove desinato avevano giocavano una grossa primiera. Era Arnaldo assai più vago del gioco che le gatte dei topi; il perché, salutati con riverenza i giocatori, s’accostò a vedergli giocare. Non stette guari a vedere che si fece un resto di forse cento scudi, nel quale uno aveva arrischiato tutti i danari che dinanzi aveva. Questi, perduta la posta, si levò dal gioco dicendo di non voler più giocare. 11 trombetta alora, messa la mano a la berretta, disse: — Signori, quando non vi dispiaccia, io giocherò volentieri venticinque scudi. — Siate il ben venuto — risposero coloro. — Sedete. — Arnaldo, assiso, cacciò mano a la borsa e cavò fuor venticinque scudi e cominciò a giocare. Vinceva ora una posta, ora un’altra ne perdeva. Come poi cominciò a riscaldarsi su il gioco, tratto tratto faceva del resto, e per lo più de le volte perdeva. E di modo tanto strabocchevolmente giocava, che in poco d’ora perdé la somma di più di seicento scudi ; né gli bastando questo, si giocò tutti i panni, la berretta, la catena, gli anelli ed il ronzino, e restò un bel fante a piede, in colletto, con la tromba a le spalle, la quale non vi saperei ben dire come gli rimanesse: se fu che egli per riverenza de l’insegna giocar non la volesse, o pure che i giocatori non le volessero dir sopra. Sia come si voglia, egli si trovò il più disperato uomo del mondo e non sapeva ciò che farsi. A la fine pur si mise a caminar a piede e a buon’ora, ché era di state, arrivò a Parigi. Era altre volte dimorato per molti di esso Arnaldo in un albergo dentro Parigi, ove aveva avuta amorosa pratica con una giovane assai bella che là entro era servente de l’oste. Colà adunque inviatosi e inteso che la giovane più non ci dimorava, ma che serviva la 42 PARTE SECONDA moglie d’un grosso merendante, l’andò a cercare; e trovatala ed insieme riconosciutisi, la giovane lo vide molto volentieri ed amorevolmente lo raccolse. Arnaldo le diede ad intendere che era stato svaligiato da certi malandrini, che gli avevano levato il valore di circa mille scudi, e che buon mercato avuto n’aveva che non l’avessero anciso. Mossa la giovane a pietà,, lo introdusse in casa e lo mise in una guardacamera, dove gli portò molto bene da cena e gli fece molte carezze; e più di due volte amorosamente insieme si trastullarono. Era la padrona, come v’ho detto, moglie d’un gran merendante, il quale in quel tempo era per suoi traffichi ito in Fiandra; e la buona donna per non perder la sua giovanezza, essendo molto bella, s’aveva eletto per innamorato un giovine mercadante fiorentino molto ricco e splendido, col quale ella, mentre il marito stava fuor di Parigi, si dava il meglior tempo del mondo e trafficava forte a cacciar il diavolo ne l’inferno. Aveva commesso la donna a la servente che avesse cura di preparar in camera del confetto, de le frutte secondo la stagione e del buon vino, perché l’amante suo quella sera doveva venire a giacersi con esso lei. La servente, che de l’amore de la padrona era consapevole, fece l’apparecchio del tutto. E perché la donna era consueta a starsi con il fiorentino in camera e quivi corcarsi, non si curò altrimenti far cangiar luogo al trombetta, perché, dormendo ella ne la guardacamera, sperava quella notte godersi il suo trombetta. Ma, come dice il proverbio, chi fa il conto senza l’oste 10 fa due volte. Pareva a la padrona che, per esser il caldo grande, la guardacamera fosse luogo molto più fresco che la camera; il perché, venuto che fu il giovine fiorentino suo innamorato, commise a la servente che lo menasse ne la guardacamera. Ella non ebbe tempo di cavarne fuori il suo trombetta; ma, corsa innanzi, lo fece nasconder dentro il camino del fubco, dinanzi al quale era tirato un gran tapeto. Il trombetta subito si ricoverò là dietro e cheto se ne stava. Il fiorentino, come là dentro fu, per il caldo grande che faceva cominciò a spogliarsi. 11 trombetta, guardando per un pertugetto che nel tapeto era, vedeva tutto ciò che ne la guardacamera si faceva. Vide adunque NOVELLA 1. 43 il giovine levarsi dal collo una bellissima catena d'oro con un ricchissimo fermaglio a quella pendente, nel quale erano quattro perle con un orientale rubino in mezzo a quelle legato in oro, che in tutto valevano più di mille -ducati. Vi pose anco una borsa piena di scudi, e in fine restò tutto spogliato in camicia, avendolo la servente aiutato a cavarsi le calze. Venne poi la padrona, la quale anco ella con aita de la fante si spogliò in camiscia. La fante se n'usci de la guardacamera e lasciò i dui amanti, che credevano d’esser senza testimoni. Quivi abbracciando l'un l’altro, amorosamente si basciavano, dicendo la donna al giovine: — Ove tutto oggi sei tu stato, che dopo desinare sin ora non ti sei lasciato vedere? Tu devi esser dimorato con alcuna tua amica che più di me t’è cara. — Il giovine bascian- dola le rispondeva: — Vita mia cara, io non amo altra donna al mondo che te. Ma da certi miei compagni sono stato con- dutto a le Tornelle a veder correre a l’anello. — E che cosa è questo correre? — disse la donna. Il giovine alora le narrò come si faceva; il perché soggiunse la donna: — Corri anco tu, e vedi se sai di prima botta dar ne l’anello. — E conciatasi a gambe aperte, stava aspettando che il giovine corresse. 11 quale, ritiratosi alquanto indietro, corse per investir al luogo debito; ma, che che se ne fosse cagione, egli non seppe entrare col piuolo in casa. —O bel giostratore! tu non guadagnerai già l’anello — disse la donna. Soggiunse alora di burla il giovine: — Se ci fosse la tromba, io farei benissimo. — A questo motto il trombetta con voce orrenda disse: — Per tromba non si resti. — E tutto a un tratto sonò un tremendo suono con la tromba e saltò fuor del camino altamente sonando; il che di modo spaventò i dui amanti, che non raffigurando chi fosse quello che sonava, ma credendolo un diavolo, si misero a fuggire su per una scala ne l’alto de la casa. Il trombetta che adocchiato aveva la borsa e la catena, come vide salire coloro in alto, sonando serrò loro l’uscio su le spalle; e presa la catena con la borsa ed il mantello del giovine, senza esser veduto se n’usci di casa, essendo già su l’imbrunir de la notte, e via se ne fuggi, divenuto in un punto vie più ricco d’assai che prima non er

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.