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IL BANDELLO
a l'illustre e vertuosa signora
la signora
margarita pia e sanseverina
salute
Questo agosto passato essendo al lor luogo del « Palagio » vicino a l’Adda i signori sempre con prefazione d’onore da esser nomati, il signor Alessandro Bentivoglio e la signora Ippolita Sforza sua consorte, furono invitati ad andar al Borghetto il giorno di san Bartolomeo, che è la festa titolare di detto luogo, il quale è de la famiglia da Ro, che in Milano è nobile ed antica. Quivi furono i detti signori molto onorati, e vi stettero la festa e il di seguente in grandissimi piaceri in compagnia di molte gentili persone. Il secondo di dopo desinare, essendo il caldo grandissimo, ché il vento d’austro spirava, si ridusse tutta la compagnia in una gran sala di quei palazzi che vi sono, la quale era assai fresca e guardava sovra un molto grande ed ameno giardino, con pergolati tanto lunghi che sarebbero bastanti al corso d’ogni buon cavallo. In quella sala chi ragionava, chi giocava a tavoliero e chi a scacchi, chi sonava, chi cantava e chi faceva ciò che piú gli era a grado per passar quell’ora fastidiosa di merigge. Alora la signora Ippolita chiamò a sé l’affettuoso ed arguto poeta e dottore messer Niccolò Amanio, messer Girolamo Cittadino e messer Tommaso Castellano suo segretario, e volle che io fossi il quarto tra quei tre gentilissimi e dotti uomini. Ed avendo ella in mano il divino poeta Vergilio e nel sesto de VEneida leggendo molti versi, cominciò a preporre di bellissimi ed ingegnosi dubi secondo le materie che leggeva. Essendosi dette di molte belle So PARTK SECONDA cose e da lei e dagli altri, ella pregò messer Niccolò Amanio che volesse con qualche novella aiutare a passar allegramente quel tempo che del caldo avanzava. L’Amanio si scusò pur assai; nondimeno veggendo che la signora Ippolita non accettava le sue scusazioni, ci narrò la novella d’Antioco e di Stratonica: la quale, essendo stata da me scritta, m’ho pensato, essendo tanto che nulla v’ho scritto, di mandarvi e sotto il vostro nome metterla fuori. Voi la vostra mercé so che volentieri leggete le cose mie, ed il medesimo anco fa la vertuosa vostra cognata, la signora Graziosa Pia; però quando l’averete letta, mi farete grazia di far di modo che essa signora Graziosa la possa vedere. State tutte due sane. NOVELLA LV Seleuco re de l’Asia dona la moglie sua al figliuolo che n'era innamorato e fu scoperto dal fisico gentile con ingegnosa invenzione. Poi che io ogni cosa m'averei creduto oggi di fare se non se questa di dire in cosi onorata compagnia alcuna novella, per ubidire a chi mi comanda, io farò come fa il gentiluomo a cui la sera a l’improviso viene qualche caro amico a casa per cenar seco, che, sapendo che al macello carne non si truova né su la piazza è salvaticume da vendere, con i polli di casa e con la carne salata si sforza il suo amico onorare. Io non so ora ove provedermi di novella se non ricorro a l’istorie che tutto '1 di si tengono in mano, onde una ne vo' dire, de la quale il nostro coltissimo Petrarca nel Trionfo d’Amore fa menzione. Il perché vi degnarete, perdonandomi, avermi per ¡scusato se cosa nuova non vi dico, perciò che di ciò che aver mi truovo vi metto innanzi. Ma per non tenervi a bada, dico che Seleuco re di Babilonia, uomo che in molte battaglie s'era gloriosamente affaticato, fu tra i successori d'Alessandro Magno fortunatissimo. Egli ebbe un figliuolo d'una sua moglie, il quale in memoria del padre chiamò Antioco. Mori la moglie e crebbe il figliuolo, dando di sé grandissima speranza di riuscir giovine valoroso e degno di tanto padre. Ed essendo già d'età d'anni ventiquattro, NOVELLA LV 8l avvenne che suo padre Seleuco s’innamorò d'una bellissima giovane d’alto legnaggio discesa, il cui nome fu Stratonica, e quella per moglie prese e fece reina, e da lei ebbe un figliuolo. Antioco veggendo ogni di la matrigna, che era, oltra la somma bellezza, leggiadra e gentilissima, si fieramente, senza alcuno sembiante mostrare, di lei s’accese ed oltra ogni credenza s’innamorò, che altro amante di donna tanto non s’infiammò già mai. E parendogli che egli contra il naturai devere facesse amando lascivamente la moglie di suo padre, e per questo non osando a compagno né amico scoprirsi, ché di se stesso aveva vergogna non che d'altrui, quanto egli più tacitamente seco di lei pensava tanto più accendendosi, di giorno in giorno s’andava consumando. Ma perché egli s’avvide d’esser ito tanto innanzi che più tornar a dietro non poteva, deliberò con lunghi e faticosi viaggi vedere se egli qualche tregua a le sue pene trovasse. Aveva il padre molti reami e provincie infinite sotto il suo imperio; il perché, sue scuse trovando, ebbe dal padre licenza d’andar qualche mese per quelle a diporto. Ma egli non fu fuor di casa che si ritrovò mal contento, perciò che essendo egli privo di veder la sua bella Stratonica, gli pareva d’esser privo de la vita. Nondimeno volendo, se era possibile, vincer l’indurato affetto, stette alcuni di fuori, nei quali chiusamente ardendo e non avendo con cui sfogarsi, menava una pessima e sconsolata vita. A la fine, vinto da le sue passioni, al padre se ne ritornò. Vedeva egli ogni di colei che era quanta gioia e quanto diletto egli avesse. Conoscendo poi quanto il padre la moglie amasse e tenesse cara, diceva molte fiate tra sé: — Sono 10 Antioco figliuolo di Seleuco? sono io quello cui il padre mio tanto ama, cosi magnificamente onora e sovra ogni reame apprezza e stima? Oimè, se io son quello, ov’è l’amore e la riverenza che io gli porto? È questo il debito del figliuolo verso 11 padre suo? Misero me! ove ho io l’animo, la speranza e l’amor mio collocati? Può egli esser che tanto ceco e fuor del vero senso io sia, che io non conosca deversi da me la bella matrigna in luogo di vera madre tenere? Se cosi è, ché pur il conosco, che adunque amo io? che bramo? che cerco? che M. Bandhllo, Novelle. 6 82 PARTE SECONDA spero? Ove mi lascio cosi scioccamente a l’ingannevole e ceco amore e a la lusinghevole speranza trasportare? Non veggio io che questi miei desidèri, questi mal regolati appetiti e queste mie sfrenate voglie hanno del disonesto? Io pur lo veggio ■e so che quello che vo cercando non è convenevole anzi è disonestissimo. E che biasimo ne riceverei io, se questo mio si poco ragionevole amore si publicasse? Non deverei io più tosto elegger la morte che pensar già mai di privar il padre mio di quella moglie che egli cotanto ama? Lascerò adunque lo sconvenevole amore e, ad altro rivolgendo l’animo, farò ufficio di buono ed amorevole figliuolo verso il padre. — Cosi fra sé ragionando, deliberava totalmente lasciar questa impresa. Ma egli a pena non aveva fatto questo pensiero, che subito a la fantasia se gli appresentava la beltà de la donna, e in modo si sentiva infiammare che, di quanto determinato avesse pentito, domandava mille perdoni ad Amore d'aver pensato d’abbandonar cosi generosa impresa. E contrari pensieri ai primi facendo, seco stesso diceva: — Dunque io, perché costei è di mio padre moglie, non debbo amarla? perché ella m’è matrigna, io non la vo’seguire? Deh, quanto è sciocco il mio pensiero! Non sono le leggi che Amore ai suoi seguaci prescrive, come l'altre umane e scritte leggi: le leggi d’Amore e le umane e le più che umane rompono. Quando Amore lo comanda, il fratello ama la sorella, la figliuola il padre, e l’un fratello la moglie de l’altro ed assai sovente la matrigna il figliastro. E se ad altri lece, a me perché non lece? Se a mio padre, che è di me assai più attempato, non è stato ne la sua vecchiaia disdicevole innamorarsi di costei, io, che giovine sono e tutto sottoposto a le fiamme de l’amore, per qual cagione debbo, amandola, esser biasimato? E se altro in me non è biasimevole se non che io amo una che per sorte è di mio padre moglie, accusisi la Fortuna, che a mio padre più tosto che ad un altro l’ha data, perciò che io l’amo e l’amerei di chiunque ella stata fosse consorte. Ché, a dir il vero, la sua bellezza è tale, i suoi modi son si fatti e i costumi si leggiadri, che da tutto il mondo ella merita esser riverita, onorata ed adorata. Conviene adunque che io la segua NOVELLA LV 83 e che per servirla lasci ogni altra cosa. — Cosi il misero amante, d’uno in altro pensiero travarcando e di se stesso beffe facendo e non durando lungamente in un pensiero, mille mutazioni l’ora faceva. A la fine, dopo infinite dispute tra sé fatte, dato luogo a la ragione, giudicò di non potersi da lui cosa più disconvenevole fare quanto era d’amar costei. E non potendo lasciar d’amare e più tosto morire deliberando che cosi scelerato amor seguitare o ad altrui discoprire, a poco a poco come neve al sole si struggeva; onde a tal venne che, perdutone il sonno e il cibo, cascò in tanta debolezza che fu costretto a mettersi a letto, di maniera che per soverchio di noia egli infermò gravissimamente. Il che veggendo, il padre, che teneramente l’amava, n’ebbe cordoglio infinito. E fatto venir Erasistrato, che era medico eccellentissimo ed appo tutti in grandissimo prezzo, Seleuco quello affettuosissimamente pregò che del figliuolo prendesse quella diligentissima cura che a la gravezza del male conveniva. Venuto Erasistrato e tutte le parti del corpo del giovine ritrovate sane e segno alcuno ne l’orina né accidente ritrovando per cui si potesse giudicare il corpo esser infermo, fece, dopo molti discorsi, giudicio, quella infermità esser morbo e passione de l’animo, a tale che egli di leggero ne morrebbe. Il che fece intender a Seleuco, il quale amando il figliuolo, si perché era figliuolo — che tuttavia sono amabili e portano seco vincolo grandissimo d’amore — e si ancora perciò che per vertù e meriti assai valeva, portava di questa infermità si gran dolore e tanta malinconia n’aveva che maggiore non si sarebbe potuto dire. Era il giovine di natura sua costumato e piacevole, era valoroso e prode de la persona quanto altro de la sua età e bello de la persona; il che a tutti lo rendeva amabile. Il padre ogni momento d’ora gli era in camera e la reina medesimamente spesso lo visitava e di sua mano, quando egli si cibava, lo serviva; il che non so io, che medico non sono, se al giovine recasse giovamento o che forse più di male facesse che bene. Crederò ben io che egli molto volentieri la vedesse e che mai non averebbe voluto che ella partita dal Ietto si fosse, come colui che ogni suo bene, ogni speranza, ogni pace ed ogni diletto 84 PARTE SECONDA in quella metteva. Ma poi veggendosi si sovente innanzi agli occhi quella bellezza che tanto disiava godere, sentendo parlar colei per cui moriva, e ricevendo servigio e cibandosi di mano di quella che più che le pupille degli occhi suoi amava e a cui mai non era stato oso di porger una preghiera; che la sua doglia ogni altra doglia avanzasse e che di continovo ne languisse, mi pare che io possa ragionevolmente credere. E chi dubita che egli sentendosi da quelle delicatissime mani di lei talvolta toccare, e quella appo lui sedere e tal fiata per pietà di lui sospirare e con dolcissima favella dirli che egli si confortasse e che se cosa alcuna voleva a lei la dicesse, ché ella il tutto per amor di lui farebbe; chi dubita, dico io, che egli in queste cose da mille pensieri combattuto non fosse, ed ora sperasse ed ora si disperasse, sempre poi conchiudendo prima morire che le ardenti sue fiamme manifestare? E se a tutti i giovini, quantunque di mediocre e bassa condizione siano, duole ne la loro giovinezza lasciar la vita, che debbiamo d’Antioco pensare, il quale, giovine e di tanto e di cosi ricco e potente re figliuolo che aspettava, se campato fosse, esser dopo la morte del padre del tutto erede, eleggeva volontariamente morire per minor male? Io porto ferma openione che la sua doglia fosse infinita. Combattuto adunque Antioco da pietà, da amore, da speranza, da disio, da paterna riverenza e da mille altre cose, come nave in alto mare da contrari venti conquassata, a poco a poco mancava. Erasistrato, che il corpo sano e libero ma la mente gravemente inferma e l’animo da le passioni in tutto vinto vedeva, poi che assai tra sé ebbe sovra questo strano caso pensato, conchiuse a la fine che il giovine per amore e per soverchio disio ardeva e che del male di quello altra cagione non ci era. Pensava egli che assai sovente dagli uomini prudenti e saggi l'ira, l’odio, lo sdegno, la malinconia e gli altri pensieri facilmente si ponno e simulare e dissimulare, ma che l’amore, se celato si tiene, sempre più ascoso nóce che fatto palese. E ben che da Antioco mai non potesse che egli amasse intendere, nondimeno, essendogli entrato in capo questo pensiero, deliberò per chiarirsi meglio di stargli di continovo appresso e con sommissima NOVELLA LV 85 diligenza osservare tutte le azioni sue, e sovra il tutto avvertire a le mutazioni che il polso facesse e per qual accidente si cangiasse. Fatta questa deliberazione, s’assise propinquo al letto e prese il braccio d’Antioco e le dita pose ove il polso ordinariamente suol farsi sentire. Avvenne in quel punto che la reina Stratonica entrò in camera, la quale come l’infermo amante vide verso sé venire, subito il polso, che depresso e languido giaceva, se gli destò e cominciò per la mutazione del sangue a levarsi e prender vigore, sentendo con più forza risorger le debolissime fiamme. Senti Erasistrato questo rinforzamento del polso, e per veder quanto durava, al venir de la reina non si mosse, ma sempre tenne le dita sovra il battimento del polso. Mentre che la reina in camera stette, il batter fu sempre veloce e gagliardo; ma come ella parti, cessò la frequenzia e la gagliardezza del moto e a la solita debolezza il polso se ne ritornò. Né stette troppo che la reina rivenne in camera, la quale non fu si tosto da Antioco veduta, che il polso, ripreso vigore, cominciò a saltellare e continovamente saltellando si stette assai vigoroso. Parti la reina ed il vigore insiememente del polso con lei se n’andò. Veggendo tal mutazione il fisico gentile e che solamente a la presenza de la reina avveniva, si pensò aver trovata la cagione de l’infermità d'Antioco; ma volle aspettare il di seguente per averne maggior certezza. Venne l’altro giorno, e il buono Erasistrato appresso al giovane si pose e il braccio in mano gli prese. Entrarono molti in camera e mai il polso non s’alzò. Il re venne a veder il figliuolo, né per questo punto si levò. Ed ecco venir la reina, e subito il polso saltò su e si destò e cominciò a fare un movimento gagliardo, quasi volesse dire: — Ecco colei che m’arde, ecco la vita e la morte mia. — Tenne alora Erasistrato per certo che Antioco fosse de la bella matrigna focosamente acceso, ma che per vergogna non ardisse le sue ardentissime fiamme dicelare e farle altrui manifeste. Fermato che egli fu in questa openione, prima che cosa alcuna ne volesse dire, pensò che via deveva tenere in farlo conoscere al re Seleuco; e poi che tra sé ebbe diverse cose imaginate, tenne questo modo. Egli sapeva molto bene che Seleuco ama' a senza 86 PARTE SECONDA fine la moglie ed anco che quanto la vita propria Antioco gli era carissimo; onde cosi gli disse: — Seleuco, tuo figliuolo è grandissimamente infermo e, che peggio mi pare, io giudico l’infermità sua esser incurabile. — A questa voce cominciò il dolente padre, piangendo, a far un pietoso lamento ed amaramente de la fortuna querelarsi. Soggiunse alora il medico: — Io vo', signor mio, che tu intenda la cagione del suo male. Hai adunque a sapere che il morbo che il tuo figliuolo ti ruba è amore, e amore di tal donna, la quale non potendo avere, senza dubio egli morrà. — Oimè! — tuttavia forte piangendo disse il re; — e che donna è questa che io, che re d’Asia sono, non possa con preghiere, danari, doni e con qual arte si voglia, ai piaceri di mio figliuolo render pieghevole? Dimmi pure il nome de la donna, perciò che per la salute di mio figliuolo io sono per metterci ogni mio avere e tutto il reame ancora, quando altamente far non si possa. Ché se egli more, che voglio io fare del regno? — A questo Erasistrato rispondendo disse:—Vedi, re, il tuo Antioco è fieramente de la mia donna innamorato; ma parendogli questo amore esser disconvenevole, non è mai stato oso manifestarlo e per vergogna più tosto elegge morire che scoprirsi. Ma io per evidentissimi segni avvisto me ne sono. — Come Seleuco udì queste parole: — Adunque — disse — tu che sei quell’uomo cui pochi di bontade parangonar si ponno e meco sei d’amore e benevoglienza congiuntissimo e porti nome d’esser di prudenza albergo, il mio figliuolo, giovine che ora, sul fiore de la giovinezza, è de la vita dignissimo e a cui di tutta l’Asia l’imperio meritevolmente è riserbato, non salverai? Tu, Erasistrato, il figliuolo di Seleuco amico tuo e tuo re, che amando e tacendo a morte corre, e il quale vedi che di tanta modestia ed onestà è che in questo ultimo e dubioso passo più tosto di morire elegge che in parte alcuna, parlando, offenderti, non aiuterai? Questa sua taciturnità, questa discrezione, questa sua riverenza che egli ti mostra deve piegarti ad avergli compassione. Pensa, Erasistrato mio, che se egli ardentemente ama, che ad amare è sforzato, perciò che indubitatamente se egli non potesse amare, farebbe il tutto per non amare, e farebbe più NOVELLA LV »7 che volentieri. Ma chi pone legge ad Amore? Amore, come sai, non solamente gli uomini sforza, ma ai dèi immortali comanda, e quando ei vuole, poco contra lui vale ingegno umano. 11 perché quanto il mio Antioco meriti pietate,- chi noi sa? ché essendo sforzato, egli non può altrimenti fare. Ma il tacere è ben evidentissimo segno di chiara e rara vertù. Disponi adunque l'animo tuo in aita di mio figliuolo, perciò che io t'avviso che se la vita d’Antioco non amerai, Seleuco sarà insiememente da te odiato. Non può esser egli offeso che io parimente offeso non sia. — Veggendo il sagacissimo medico che l’avviso suo andava com’egli pensato aveva e che Seleuco per salute del figliuolo cosi caldamente lo pregava, per meglio ancora spiar l’animo di quello e la voluntà, in questo modo gli parlò: — E’ si suol dire, signor mio, che l’uomo quando è sano sa dare a l’infermo ottimo conseglio. Tu non fai se non dire, e vuoi che la mia cara e diletta moglie dia altrui, e di quella mi privi la quale io ferventissimamente amo; e mancando di lei, mancarei de la propria vita: se tu la moglie mi levi, mi levi la vita. Ora io non so, signor mio, se Antioco tuo figliuolo fosse de la tua Stratonica innamorato, se tu di lei fossi a lui cosi liberale come pare che tu voglia che io de la mia gli sia. — Volessero gli dèi immortali — rispose subito Seleuco — che egli de la mia carissima Stratonica fosse acceso, ché io ti giuro per la riverenza che a la sempre onorata memoria di mio padre Antioco e di mio avo Seleuco porto e per tutti i nostri sacri dèi, che liberamente essa mia, quantunque a me carissima, moglie subito al mio figliuolo darei, di maniera che tutto il mondo conoscerebbe qual debbia esser l’ufficio di buono ed amorevole padre verso tal figliuolo, qual è il mio da me sommamente amato Antioco, il quale, se il giudicio mio non falla, è d’ogni aita dignissimo. Oimè, questa tanta sua bontà che egli dimostra in celar cosi gagliarda passione come è uno intentissimo affetto d’amore, non è ella degna che ciascuno gli porga soccorso? non merita ella che tutto il mondo abbia di lui pietà? Certamente egli sarebbe bene più che crudel nemico, anzi più che inumano e fiero, chi a tanta moderazione come il mio caro 88 PARTE SECONDA figliuolo usa non avesse compassione. — Molte altre parole disse, chiaramente manifestanti che egli per la salute del figliuolo non solamente la moglie ma la vita volentieri averebbe data; onde non parendo più tempo al medico di tener celata la cosa, tratto da parte il re, in questo modo gli disse: — La sanità di tuo figliuolo, signor mio, non è in mia mano, ma ne la tua e di Stratonica tua moglie dimora, la quale, si come io manifestamente per certi segni ho conosciuto, egli ardentissimamente ama. Tu sai ornai ciò che a fare ti resta, se la sua vita t'è cara. — E narrato il modo che tenuto aveva in avvedersi di tal amore, lo lasciò tutto pieno d'allegrezza. Restava solamente un dubio al re, di persuadere al figliuolo che Stratonica per moglie prendesse e a lei che quello per marito accettasse; ma assai di leggero a l’uno e a l'altro il tutto persuase. E forse che Stratonica non faceva buon cambio prendendo un giovine e lasciando un vecchio? Ora, poi che Seleuco ebbe la moglie col figliuolo accordata, fatto congregar l’essercito che aveva grandissimo, cosi disse ai soldati suoi: — Commilitoni miei, che meco dopo la morte del magno Alessandro in mille imprese gloriosamente stati séte, giusta cosa mi pare che voi di quanto io intendo fare siate partecipi. Voi sapete che io ho sotto l’imperio mio settanta due provincie e che, essendo io vecchio, male a tanta cura posso attendere; il perché, cari commilitoni miei, e voi di fatica e me di fastidio intendo liberare. Per me solamente voglio il reame dal mare a l’Eufrate; di tutto il resto la signoria dono a mio figliuolo Antioco, al quale per moglie ho data la mia Stratonica. A voi deve piacere ciò che a me n’è piacciuto. — E narrato l’amore e l’infermità del figliuolo e la discreta aita del fisico gentile, a la presenza di tutto l’essercito fece sposar Stratonica ad Antioco. Incoronò poi l’uno e l’altra per regi de l’Asia e con pompa grandissima gli fece far le tanto da Antioco desiate nozze. L’essercito, udendo e vedendo queste cose, sommamente la pietà del padre verso il figliuolo commendò. Antioco poi con la diletta sposa in gioia e in pace con- tinovamente stando, in lunga e grandissima felicità seco visse. Né fu questi quello che ebbe per le cose d’Egitto guerra con NOVELLA LV 89 romani, come pare che il nostro divino poeta nel Trionfo ci'Amore accenni. Questi solamente ebbe guerra con i gallati che d’ Europa erano in Asia passati, i quali cacciò e vinse. Di lui e di Stratonica nacque un altro Antioco; dr questo nacque Seleuco, il quale fu padre d'Antioco chiamato « magno ». E questi fu che ebbe guerra grandissima con romani, non il suo bisavolo Antioco che la matrigna sposò; il che assai chiaramente vederà chiunque con diligenza le antiche istorie rivolgerà. E ciò che il divino poeta disse si deve intendere come noi siamo detti figliuoli d’Adamo. Cosi questo Antioco fu figliuolo per dritta successione del nostro Antioco, del quale la novella v’ho narrata. Facendo adunque fine, dico che in dare Seleuco la moglie al figliuolo fece un atto mirabilissimo e degno nel vero d’eterna memoria, e che merita di questo esser molto più lodato che di quante mai vittorie egli avesse dei nemici, ché non è vittoria al mondo maggiore che vincer se stesso e le sue passioni. Né si deve dubitare che Seleuco non vincesse gli appetiti suoi e se stesso, privandosi de la carissima moglie.