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IL BANDELLO
al molto magnifico signore
il signor
giovanni castiglione
salute
Io ritrovo die il nostro divinissimo poeta Vergilio fu un savio uomo e in ogni sorte di dottrina molto eccellente. E perché entrare nel cupo e largo mare de le sue lodi sarebbe voler dire che il sole nel del sereno luce e che la neve è candida, io me ne rimarrò; e tanto piú quanto che da molti sono state in gran parte, se non quanto merita almeno quanto s’è potuto, celebrate. Ma chi potrá a pieno lodare giá mai quella si aurea e divina sentenza, quando disse: — Che cosa è al mondo, che tu, o cupidigia essecrabile d’oro, non sforzi gli uomini a fare? — E certamente egli disse il vero, perciò che l’appetito disfrenato d’avere astringe i miseri mortali a commetter mille enormi vizi. Quante maritate si trovano, che, abbagliate da lo splendore de l’oro, rompono la fede ai mariti? E quanti, non ardisco dire uomini, quanti, dico, mariti, i quali, accecati dal lume di quel folgorante metallo, vendeno le proprie mogli e per ogni prezzo le figliuole danno a vettura? QueU’altro scelerato, corrotto per danari, ammazza uno che mai non l’offese. Bernardino di Corte, da picciolo fanciullo da Lodovico Sforza nodrito e di molte degnitá e ricchezze fatto grande, senza occasione alcuna se gli scopre traditore e per alquante migliaia di scudi vendette l’inespugnabil castello di Milano a Lodovico decimosecondo re cristianissimo. Battaglione anco, dal detto signor duca Lodovico Sforza di bassa condizione levato in alto e fatto castellano del fortissimo castello di Cremona, per ingordigia d’oro ed esser chiamato gentiluomo veneziano, quello M. Bandello, Novelle. 450 PARTE TERZA diede a la Signoria di Vinegia. Infiniti altri sono che, tratti da la gola d’aver danari, hanno commesso sceleratissime scelerag- gini. E di questo ragionandosi in casa del molto vertuoso e dotto messer Giacomo Antiquario, ove io, che ben ispesso lo visitava, alora mi trovai, messer Dionisio Elio, giovine nobile e dotto, volendo dimostrare quanto l’inordinato appetito d'avere abbagli l’intelletto, narrò una picciola novella in Milano accaduta; la quale io, perché mi parve assai notabile, nel libro de le mie novelle scrissi. Quella adunque a voi mando e dono, volendo che sotto il vostro nome esca in publico, ché sarà testimonio de la mia osservanza verso voi. State sano. NOVELLA LIII Tomasone Grasso usuraio grandissimo fa predicar contra gli usurai per restar egli solo a prestar usura in Milano. Quando noi, signori miei, averemo detto e detto, converrà per forza dire che questa cieca cupidigia di voler aver danari fuor di modo è cagione di molti mali. E non solamente rende bene spesso l'uomo infame e fa che da tutti è mostrato a dito, ma sovente anco lo caccia a casa di trenta para di diavoli in anima e in corpo. Onde ora io vo’ mostrarvi in una mia novelletta che è vera istoria, come gli uomini oltra modo cupidi del guadagno diventano sfrontati e quanto poco stimano Dio. Fu ne la città nostra di Milano, non è gran tempo, uno chiamato Tomasone Grasso, il quale a’ suoi tempi avanzò in prestar danari ad usura quanti usurai mai furono innanzi a lui, onde ne divenne oltra misura ricchissimo. Nondimeno, per nasconder il suo vizio, egli ogni di era il primo ad entrar in chiesa e di sua mano a quanti poveri ci erano dava un imperiale per elemosina; udiva due e tre messe e altre simili dimostrazioni faceva: di modo che chi conosciuto non l'avesse, si sarebbe creduto che egli fosse stato il più catolico e santo uomo di Milano. Quando poi si predicava, egli mai non perdeva nessun sermone, ma, sempre di rimpetto al predicatore mettendosi, il tutto con sommissima attenzione udiva. Venne a predicar in NOVELLA LUI 451 Milano fra Bernardino da Siena, in quei tempi predicatore famosissimo, che poi fu da la santa madre Chiesa nel numero dei santi collocato; e perché era d’età già vecchio ed appo tutti in openione d'esser, come era, uomo santissimo, tutta la città concorreva ai suoi sermoni, di modo che in breve acquistò appo grandi e piccioli credito grandissimo. Tomasone non lasciava giorno che non l’andasse a udire; ed avendolo sentito dodici o più sermoni, deliberò, veggendo che non predicava contra gli usurai, andarlo a visitare, e v’andò. Era Tomasone un uomo di venerabile presenza e autorità e vestiva molto civilmente. Fra Bernardino, visitato da costui, lo raccolse amorevolmente e con lui entrò in onesti e santi ragionamenti, essendosi posti a sedere. Tomasone faceva da ser Ciappelletto e si mostrava tutto religioso e zelante de l’onor di Dio e de la salute de l’anime. Onde, dopo molti ragionamenti, egli al santo frate in questo modo parlò: — Padre riverendo, tutti noi milanesi abbiamo un infinito obligo al nostro Redentore messer Giesu Cristo, che abbia inspirato la vostra santissima religione a mandarvi in questa nostra città a predicare, perciò che mediante la grazia del Salvatore io spero che le vostre predicazioni faranno bonissimo frutto e saranno cagione d’emendare la mala vita di molti, che vivono discorrettamente. Regnano in questa nostra città dei vizi e peccati assai, ma più che vizio alcuno che ci sia, v'è il maladetto peccato de l’abominevole usura, e molti ci sono che altro mestiero non fanno. Io, mosso da carità, ve l’ho voluto dire, a ciò che nei vostri fruttuosi sermoni possiate talora riprender questo scelerato vizio e diradicarlo da questa città. — Il santo uomo, che altrimenti non conosceva chi fosse Tomasone e buono e leale gentiluomo lo giudicava, lo ringraziò assai ed essortò a perseverare in buon proposito. Poi cominciò ferventissimamente a predicare contra il vizio de l’usura, di maniera che in tutte le prediche altro mai non faceva che biasimare e riprendere chi prestava ad usura; il che agli auditori non poco di fastidio generava. Onde, essendo da alcuni uomini da bene visitato, fu avvertito che non s’affaticasse tanto contra gli usurai, ma seguitasse il suo solito modo di predicare. 452 PARTE TERZA — Non vi meravigliate di questo — disse il santo frate, — perciò che io sono stato spinto da quel gentiluomo vestito di pavonazzo che ogni di mi sta a sedere per ¡scontro quando io predico. — E dati alcuni altri contrasegni, fu da tutti conosciuto che egli era Tomasone Grasso. Onde uno di quelli: — Oimè — disse, — che è ciò che io sento? Costui, padre, che dite, è il maggior usuraio che in tutta Italia sia, e in questa città non si troverà chi presti ad usura se non egli. Ed io per me più volte, astretto da’ bisogni, ho preso con grandissimi interessi danari da lui. — Udendo fra Bernardino questa cosa, restò fuor di modo pieno di meraviglia; e volendo certificarsi, mandò per lui, il quale subito venne. Il santo frate entrò seco in ragionamento e venne a dirgli che egli era un grande usuraio e che, essendo cosi, molto si meravigliava che egli l’avesse stimolato con tanta instanzia a predicar contra l’usura. — Per questo — rispose alora Tomasone —venni io a pregarvi ed essortarvi che voi predicaste contra l’usura, perché vorrei esser solo a questo mestiero, per guadagnar più danari. E chi v’ha detto che altri non ci sia che io, che presti a usura, s’inganna, ed io Io so, ché da qualche giorno in qua non guadagno la metà di quello che io soleva guadagnare; il che mi fa conoscere che altri ci siano cosi savi come io, che anco essi attendono al danaro. E dicovi, padre mio, che chi non ha danari, e pur assai, è una bestia. Voi siete, perdonatemi, poco pratico de le cose del mondo, e il viver vostro è a un modo e il nostro a un altro. E la somma del tutto è questa: che conviene, a chi vuole esser riputato e fra gli altri onorato, aver danari. Sia pur l’uomo nasciuto nobilissimamente e de la casa dei Vesconti, che è la casa del nostro signor duca: se non averà danari, non sarà di lui tenuto conto alcuno. Io ho qualche pochi danari, che non pensaste ch’io fossi tutto oro, e se vado in castello per parlar al duca, subito son fatto entrare, se ben egli fosse in letto, perché quando ha avuto bisogno di ducento e trecento migliaia di ducati, io l’ho servito con quel profitto che tra lui e me s’è accordato. Non ci è anco gentiluomo o cittadino o mercanta o povero in questa città che non mi onori, perché io faccio NOVELLA LUI 453 servigio a tulti. Direte mò voi che io deverei prestar i miei danari senza premio alcuno. Padre mio, cotesto modo di prestar non si costuma e non sarebbe il fatto mio. Io voglio il pegno in mano e voglio che i miei danari tornino a casa con guadagno. Basta a me ch’io non sforzo nessuno nè astringo a venire a tórre danari in prestito da me. E perché l’avere danari è una cosa che senza fine allegra il core, e quanto più se n’ ha tanto più cresce l’allegrezza, io mi mossi, quando vi parlai, a pregarvi che voi predicaste contra gli usurai, a ciò ch’io solo tutto il guadagno avessi. — Si sforzò il santo frate con verissime e sante ragioni di voler levare questa fantasia di capo a Toma- sone, ed assai gli predicò, mostrandogli negli Evangeli che Cristo nostro Salvatore di bocca sua comanda che si debbia prestar danari al prossimo senza speranza di cavarne uno spil- letto. Egli puoté allegare la ragione civile e la canonica e il Testamento vecchio col nuovo, ma niente profittò, perciò che Tomasone perseverava ostinato nel suo proposito. Strinsesi il santo frate ne le spalle di compassione, udendo cosi fatte risposte di Tomasone, e da sé licenziatolo, pregò nostro signor Iddio che gli occhi de la mente gli illuminasse. E poi che di Tomasone tanto ve n’ho detto, vi dirò ancora un fioretto che, poco innanzi a questo ragionamento che fece col santo frate, avvenne. Andava, come avete già inteso, Tomasone ogni di a la predicazione, ed avendo fra Bernardino gagliardamente predicato contra gli usurai, un povero calzolaio, che era ito per pigliar danari in prestito da lui, finito che fosse il sermone, sentendo cosi acerbamente gridar il frate contra l’usura, si smarrì. E tornando Tomasone a casa, non ardiva ricercarlo, ma dietro passo passo lo seguitava. Veggendolo, Tomasone gli disse: — Compagno, vuoi nulla da me? — Io vorrei bene qualche cosa — rispose il calzolaio, — ma non ardisco a chiedervi, avendo sentito il frate si fieramente garrire contra gli usurai ; e dubito che voi non siate convertito e più non vogliate prestare. — Disse alora Tomasone: — Dimmi, che mestiero è il tuo? — Io sono calzolaio — rispose egli. — Sta bene — disse Tomasone. — Tu sei stato al sermone e vai a bottega: che mestiero sarà 454 PARTI! TERZA ora il tuo? — Sarò calzolaio — rispose il povero uomo, — perché non so far altro mestiero. — Ed io — soggiunse Tomasone — sarò prestatore, perché altro essercizio non ho per le mani. — E gli diede quei danari che volle. Questo è quel Tomasone che poi si converti e restituì tutto il mal tolto certo ed incerto, e lasciò tante elemosine e cose pie, che tutto ’1 di in Milano si fanno; il quale, se visse male, almeno, per quello che si può giudicare, mori bene e da cristiano.