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Novella LXII - Delle molte mogli del re d’Inghilterra, e morte di due di quelle, con altri modi e varii accidenti intervenuti
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IL BANDELLO

al gentilissimo

messer domenico cavazza


Non mira il cielo con tanti occhi in terra alora che è piú lucido e sereno, quanti sono i vari e fortunevoli casi che in questa vita mortale avvengono. E se mai fu etá ove si vedessero di mirabili e differenti cose, credo io che la nostra etá sia una di quelle ne la quale, molto piú che in nessun’altra, cose degne di stupore, di compassione e di biasimo accadono. S'è veduto a' nostri di, ne le cose pertinenti al culto divino e dei santi e circa la fede catolica, quante sètte, dopo che Marlino Lutero ha contra la Chiesa alzate le corna, sono nasciute e quante cittá e provincie, sprezzato il vivere dei padri loro, da tanti dottori antichi e santi uomini approvato e generalmente dal publico consenso dei buoni dal nascimento di Cristo in qua osservato, variamente vivono; di maniera che oggidí in quelle genti che da la Chiesa separate si sono, per vivere non ne la libertá de lo spirito buono, ma ne la libertá de l’affezioni loro, sono altre tante le sètte quanti sono quelli che giudicano, sforzandosi ciascuno in particolare di trovar qualche error nuovo, e tutti insieme esser differenti. Il che mi par esser assai manifesto indizio e fortissimo argomento che il Redentor nostro Cristo Giesu non ha parte in loro, ché se egli v’avesse parte, ve l’averebbe anco lo Spirito Santo, la cui vertú e proprietá è unire le cose disunite, non dividere né separar quelli, che deveno una medesima cosa essere e caminar una medesima via. Ne le cose poi mondane ha questa nostra etá veduto i turchi aver pigliato tutta la Soria e disfatto il soldano PARTE TERZA con la setta dei mamalucchi, vinto Belgrado, debellato Rodi, soggiogata la più parte de l'Ongaria ed aver assediata Vienn- d’Austria e fatto in quelle contrade di grandissimi danni, aspettandosi ogni di peggio, con vituperio indicibile di tutta cristianità, che oggimai è stata ridotta in un cantone de l'Europa mercé de le discordie che tra i prencipi cristiani si fanno ognor maggiori. Quelli che deveriano opporre il petto a le forze e crudeltà turchesche tanto sangue cristiano hanno sparso, eh saria stato bastante a ricuperare l’imperio di Constantinopoli e il reame di Gierusalem. Tra gli Angioini ed Aragonesi quan' fatti d’arme nel regno di Napoli fatti si sono, di modo che ben spesso Napoli in poco tempo ha tre e quattro signori cambiati ? Milano ora dagli Sforzeschi ed ora da’ francesi ed ora da’ spa gnuoli s’ha veduto comandare. In Ispagna i popoli hanno pres l’arme contra i suoi governatori; parte di Navarra da la casa di Lebretto è passata ne le mani degli Aragonesi, e tutta Spagn a’ tedeschi è soggetta. Il sangue proprio de la casa reale al re su di Francia è stato rubello, e il duca di Borbone, fuggito d re, a l’imperadore s’è accostato. Abbiamo veduto il gran pasf di Roma, di tedeschi e di spagnuoli prigione, aver la libe comprata da Carlo imperadore, e Roma crudelissimamente, es; sere stata saccheggiata, spogliate le chiese, violate le monach e tutte quelle crudeltà essercitate che si possano imaginare, dij modo che i gotti altre volte furono più pietosi. L’Alema tra sé divisa, si va consumando con le sue Diete. L’imperado e il re di Francia ora sono in guerra ed ora in tregua, e pur accordio non si vede. I veneziani sono stati sforzati a comp la pace dal Turco e dargli parte de le terre che in Leva s’avevano acquistate. Il re d’Inghilterra, tributario de la Chi e che cosi dotta e catolicamente ha scritto contra gli err a’ nostri di nati, da le proprie passioni e disordinati appetiti vinto s’è. a la Chiesa ribellato e fattosi capo di nuova eresia, sus tando ne l’isola una nuova setta e un nuovo modo di viv non più visto o udito. E certo noi possiamo dire che pochissi età hanno veduto cosi subite mutazioni come noi veggiamo tu il di, né so a che fine le cose debbiano terminare, perché mi p NOVELLA LXI1 25 cjie andiamo di mal in peggio e che tra’ cristiani sia più discorda che mai. Ragionandosi adunque de l’esser de la nostra età e de le molte mogli che il re d'Inghilterra s’ha preso, messer Liberio Almadiano, viterbese, che lungo tempo aveva praticato in Inghilterra, narrò il tutto brevemente. Il che avendo io scritto e ridutto al numero de le mie novelle, l'ho voluto publicare sotto il vostro nome, come testimonio de l’amicizia che, poco è, in Linguadoca tra noi s'è cominciata. State sano. NOVELLA LXII De le molte mogli del re d'Inghilterra e morte de le due di quelle, con altri modi e vari accidenti intervenuti. Enrico, di questo nome ottavo re d'Inghilterra, prese per moglie Caterina figliuola di Ferrando d'Aragona e d'isabella di Castiglia sua moglie, che meritarono per lo conquisto del reame di Granata e per il zelo che avevano de la fede catolica esser chiamati i « regi catolici », ancor che prima fosse dato questo titolo ad Alfonso, primo re di cotal nome. Con questa Caterina ebbe Enrico una figliuola chiamata Maria, giovane di grandissimo spirito e di bei costumi e grate maniere dotata. S’innamorò esso Enrico d’Anna, de la famiglia di Bologna, figliuola d’un cavaliero de l’isola, giovane di corpo molto bella ma di basso animo e plebeo, che era de la reina Caterina donzella, e tanto innanzi andò con questo suo amore e si il re vi s’abbagliò, che entrò in pensiero di repudiar la reina e prender questa sua donzella per moglie. Si dice che il cardinale Eboracense, che alora amministrava tutti gli affari del reame, lo consegliò che la repudiasse, con dargli ad intendere che seco il sommo pontefice averia dispensato, pretendendo al divorzio questa ragione, che Caterina era prima stata moglie del fratello maggiore d'esso re e che perciò non poteva esser sua consorte. Ma alcuni altri dicevano al re che avvertisse bene, che il papa non separerebbe mai questo matrimonio, perché quando egli la sposò fu dal papa, che alora era, dispensato di poterla sposare ancora ch'ella fosse stata moglie del fratello, 26 PARTE TERZA col quale non aveva consumato matrimonio. Ora il re, ebro de l’amore de la donzella e sazio de la reina, quella di propria autorità e senza altra dispensa repudiò, e cercando dal papa esser dispensato, non fu mai possibile che potesse aver l’intento suo, adducendo il papa che Caterina era sua vera moglie, aven- ■ dola con autorità de la Chiesa sposata e seco consumato il matrimonio ed avutone figliuoli, di modo che più non gli poteva separare. Furono su questa materia compilati infiniti consulti, e non ci fu università alcuna né uomo che avesse fama di scienziato, che non fosse richiesto a comporre qualche cosa su questo caso. Né solamente il papa procurò cotesti consulti, ma il re altresì mandò per tutto; ma generalmente fu da tutti i dottori catolici con efficacissime ragioni conchiuso che il re non poteva repudiar la moglie, e meno il papa disfar cotal matrimonio. Entrato il re in còlerà grandissima e pieno di mal talento, cacciò il cardinale de la corte e lo confinò in certo luogo de l’isola, levandoli tutte l’entrate che aveva; il che fu cagione de la morte sua, perché, mandandolo poi il re a pigliare e menarlo a la corte, egli, che si dubitò esser condotto al macello, s’avvelenò nel viaggio, per quello che se ne disse, e mori prima che arrivasse a Londra. Né solamente mori il cardinale Eboracense, ma molti altri grandissimi prelati e baroni furono decapitati, tra i quali vi fu quel santo uomo, il vescovo Róñense, il quale, essendogli mozzo il capo, fu trovato con l’asprissimo cilicio su le carni. Che dirò di Tomaso Moro, uomo integerrimo e di bone lettere greche e latine dotato? Ma se io vorrò far il catalogo di quelli che a le sfrenate voglie del re non volsero consentire, io farò una nuova Iliade, perciò che non lascip né monaci né frati ne l’isola, ed infiniti n’ammazzò, disfacendo tutti i monasteri e guastando tutte le badie e dando i vescovadi a modo suo, senza autorità del sommo pontefice. Sposò adunque la sovradetta Anna, vivendo ancora la reina Caterina, che già s’era ritirata in un luogo che il re l’aveva deputato. Ma grandissima difficultà è che le cose cominciate con tristo e cattivo principio buon fine sortiscano già mai. Era Anna molto beila e piacevole sovra modo, ma poco NOVELLA LXI1 27 del corpo pudica, perciò che prima che il re la sposasse, ella, per quanto confessò al tempo de la sua morte, aveva più volte provato con che corno gli uomini cacciano il diavolo in inferno. \scesa poi a tanta grandezza che, di picciola donzella, tenuta era Per reina e(l onorata, non considerando l’alto grado al quale immeritamente si vedeva sublimata, si diede a disonesti e vietati amori. Ella disonestamente amò il proprio fratello, che il re aveva fatto gran barone, e più volte carnalmente seco si giacque. Né di tale sceleratezza contenta, s'innamorò d’un favorito del re, che si chiamava il signor Uestone, e a quello, tutte le volte che ella puoté, fece del corpo suo amorosamente copia. Ma la cosa non fini qui, si era ella disonesta ed insaziabile. Onde gittati gli occhi adosso ad un barone che tutto il di era in corte, nomato Briotone, ed uomo di molta stima, quello anco indusse a giacersi con lei. E per averne sempre qualcuno a lato, a ciò che non perdesse tempo, si domesticò di modo con ¡1 signor Nioris, che la domestichezza non si fini che insie- memente presero in letto quel piacere che tanto gli uomini da le donne ricercano. Io veggio molti di voi, signori miei, pieni d’ammirazione di quanto adesso vi narro, e vi deve forse parere ch'io vi narri fole di romanzi, o de le favole che si fingono su le mani. Ma io vi dico una vera istoria, perciò che, quando ella fu dentro il castello di Londra decapitata, io mi vi trovai e sentii leggersi il processo, essendo già ella condutta su la baltresca, e vidi anco mozzar il capo a cinque suoi adulteri, dei quali quattro ne avete da me uditi. Resta che vi annoveri anco il quinto, del quale molto più vi meravigliarete, e sarà ben ragione. Era in corte un Marco, di bassa condizione, che fu figliuolo d'un legnaiuolo ed aveva imparato a cantare e sonava di vari stormenti di musica, e per questo era amato dal re, e assai sovente, quando era in letto con la reina, lo faceva entrar in camera e, se ben non v’era, lasciava che Marco, essendo la reina in camera, innanzi a lei cantasse e sonasse. Sapeva Marco tutti gli amori disonesti de la reina, e v’era anco una donzella nominata Margarita, che a la reina teneva mano in questi suoi adultèri. Ora accostumava la reina, quando il re PARTE TERZA era levato, di farsi venir Marco e udirlo sonare; ma o che eli io facesse a ciò che fosse secreto e non rivelasse ciò che eli con i baroni già detti faceva, o pur che volesse provare se egli cosi ben sonava con la piva come faceva con gli str- menti, più e più volte se Io recò in braccio, compiacendoli quello che, del re in fuori, deveva a tutto il mondo essere se sissima. E cosi la disonesta reina ora con uno ed ora con un altro, sempre che n'aveva l’agio, si trastullava e sempre pi- stracca che sazia rimaneva. Era bene per la corte qualche dubi de l’onestà sua; ma veggendo che il re più che gli occhi pr~ pri l'amava, nessuno ardiva farne motto, e gli adulteri and vano dietro a buon giuoco. Il re medesimamente, non conten de la possessione de la reina, amorosamente godeva una da— bellissima che stava in corte con la reina, con la quale eg' giocava spesso a le braccia, ma sempre toccava a la donna a star di sotto. Questa dama era sorella di maestro Antonio Bri medico, al quale il re faceva di gran carezze e mostrava averi molto caro. S’accorse poi il re come questa dama si domes' cava troppo volentieri con gli uomini e che spesso voleva a la lotta ¡sperimentare chi fosse di più forte nerbo e dura schen del che non mezzanamente si turbò e sdegnossi seco. Ond- fattosi un giorno chiamar il fratello di lei, in questo modo gli disse: — Antonio, assai mi rincresce dirti cosa che ti possa fir dispiacere, perché t'amo e vorrei poterti sempre far cosa eh grata ti fosse; ma per onor mio io sono sforzato dirti quan‘ ora ti dirò. Io voglio metter in assetto e regolar la corte di mr moglie e levarne certe pratiche che non mi piacciono. Ed a far questo egli è sommamente necessario che tua sorella p molti rispetti non resti in corte, perché tanto non potrei or nare quanto ella metterebbe in disordine. Levala adunque di corte e provedi a' casi suoi, ché a me non piace che ella a modo alcuno più ci stia. Ma per tuo e suo onore, io giudi che fosse ben fatto che ella chiedesse licenza a la reina a la pr senza de l'altre dame e damigelle, con trovar qualche scusazio che più non può restar in corte, ed io ordinerò a mia m glie che onoratamente le faccia la grazia. — Maestro Anto“’ NOVELLA LXI1 29 ingraziò il re e disse che farebbe quanto esso gli aveva comandato. E cosi quel medesimo giorno egli parlò con la sorella, dimostrandole l’intenzione del re, e l’cssortò a fare come il re aveva divisato. La donna, che sapeva.tutti gli adultèri de la reina, cosi gli rispose: — Fratei mio, va’ pure e di’ liberamente al re che io farò quanto egli mi comanda; ma che ¡0 l'avvertisco che attenda bene a guardar sua moglie, e che non farà mica poco se la saperà guardar bene. — Maestro Antonio, sentendo questo e parendoli cosa di troppo scandolo, si scusò che non voleva far simile ambasciata al suo re, e che ella parlasse d'altro. — Né io sono per fare — rispose ella — ciò che il re comanda, ed aspetterò d’esser con tuo e mio disonore publicamente licenziata. Ma se tu sarai savio, farai quello che ¡0 ti dico, e so che il re te ne resterà con obligo. — Ora, dopo non picciola tenzone tra loro avuta, si deliberò maestro Antonio di far al re l’ambasciata secondo il voler de la sorella. E cosi, a lui accostatosi, disse: — Sire, io ho parlato con mia sorella, la qual è presta a far tutto il voler vostro. Ma prima vuole che io vi dica che ella, come serva umilissima che v’è, vi avver- tisce che attendiate bene a guardar vostra moglie, e che mica poco non farete se la saperete guardar bene. — Il re, udito cotesto parlare, fieramente si senti trafitto e ne l’animo suo molto se ne turbò. E poi che ebbe alquanto tra sé pensato, si rivolse a maestro Antonio e gli disse: — Tu m’hai con coteste tue ciancie, che sono di grandissima conseguenza ed importanza, messo il cervello a partito. Ma se tua sorella vuol vivere, egli è sommamente necessario che ella mi faccia chiaro che mia moglie m'abbia mandato, senza partirmi da Londra, in Cornovaglia, ché questo mi pare che suonino le sue parole. Tu le dirai adunque che ella mi chiarisca di questo e che, per quanto ha cara la vita, non ne parli con persona del mondo e che non prenda altramente congedo. — Tornò maestro Antonio a la sorella, a cui fece manifesta tutta l’intenzione del re. Ella alora: — Vederai mò, frate mio, che il re — soggiunse ella — t’averà grado di quanto per parte mia significato gli hai. Ora io vo’ che tu gli dica che, se egli desidera certificarsi come le cose 30 PARTE TERZA di sua moglie son governate e com’egli da’ suoi soggetti è trat tato, faccia pigliar Marco sonatore e Margarita cameriera de la reina. Da questi dui egli intenderà molto più di quello eh’io gli saperei dire, perché eglino sanno più di me. — Avuta qui sta risposta, il re fece a sé chiamar il Cremonello, suo conte stabile e che dopo la roina del Cardinal Eboracense aveva in mano tutto il governo de l’isola, e a quello impose quanto vo leva che egli con maestro Antonio Bruno facesse. Era del mes d’aprile quando il re fu fatto consapevole di questa cosa; il perché ordinò di far il giorno de le calende del maggio un- bellissima giostra, ne la quale egli intendeva giostrare, e nom i compagni che voleva che seco giostrassero, che furono il fra tello de la reina, il signor Uestone, il signor Briotone, il sign' Nioris ed alcuni altri cavalieri, i quali tutti d’arme e di cavai fecero un bellissimo apparecchio per comparir il di de la gios‘~ attillati, galanti e prodi cavalieri. A l’ultimo poi de l’aprile, essendo il contestabile in castello, chiamò a sé Marco e lo richiese se voleva andar seco quel di ad un suo luogo, che era fuor di Londra due picciole miglia. Marco gli promise d’andarvi — Va’ dunque — disse il contestabile — e reca teco qualcun dei tuoi stromenti, e ci daremo il meglior tempo del mond oggi e questa sera, e dimane verremo a buon’ora dentro. Andò Marco e fece quanto il contestabile aveva detto, e cosi di brigata, essendovi anco maestro Antonio Bruno, andarono non con molta gente, al detto luogo, ove stettero in piacere e cenarono allegramente e dopo cena in feste si trastullarono Volle il contestabile che il Bruno ed anco Marco dormisse- ne la sua camera, ove, essendo già tutti corcati, secondo l’or dine del contestabile, entrarono dui dei fidati suoi, i quali presero Marco e stretto lo legarono che non si poteva scuotere e in potere del contestabile e del Bruno lo lasciarono e si partirono. Alora gli disse il contestabile: — Marco, il re vuol da te sapere le pratiche de la reina, che sa che tu sai. Egli è molto meglio che tu manifesti il tutto e non ti lasci straziai che voler fare l’ostinato. Ad ogni modo altri che tu lo sa e di già ne ha avvisato il re. — Il povero Marco, timido come NOVELLA LXII 31 UIi coniglio, parendogli di già aver dinanzi il carnefice che a brano a brano lo smembrasse, scoperse tutti gli adulteri e se stesso insieme. Il contestabile, fatto metter Marco sotto buona custodia e proveduto che a Londra niente si potesse presumere de la presa di quello, in su l'ora de la giostra a Londra se ne ritornò. Finita la giostra, certificò il re di quanto Marco aveva confessato; il quale, dolente oltra modo e pieno d'un mal talento contra tutti, la seguente notte fece a salvamano senza romore pigliar gli adulteri e la reina con la Margarita, e metter ¡n diverse prigioni; e quella notte medema vi fu condutto Marco. Formatosi poi il processo e trovato ciò che Marco detto aveva esser vero, non dopo molto su la piazza di Londra fece publicamente a tutti cinque gli adulteri, con ammirazione grandissima del popolo, mozzar il capo. Dopoi una matina su la piazza del castello a la reina e a la Margarita fece far il medesimo. Mori la sfortunata reina molto costantemente, per quello che si vide, e ben contrita dei suoi peccati. Stette il re circa dui anni, e poi prese per moglie Giovanna di Semer, sorella d’un cavaliero, la quale ingravidò d'un figliuo! maschio, come il parto manifestò, nel quale essa Giovanna mori; ed il figliuolo è quello che si chiama il « prencipe ». Morta questa reina, egli praticò con il duca di Cleves di prender la sorella di quello, e la sposò, e fecela condurre in Inghilterra e tennela per moglie tre mesi solamente, perciò che, essendo ella in letto col re e di varie cose ragionando, ella scioccamente si lasciò uscir di bocca che altre volte, essendo fanciulla, aveva promesso ad uno del suo paese di pigliarlo per marito. Per questo il re la repudiò, e fuori in un luogo assai vicino a Londra la mandò a stare, ordinandole una entrata di venti migliaia di ducati. Cacciata via questa di Cleves, prese per moglie una nipote del duca di Nofoco, che è un nobilissimo barone, e la tenne dui anni. Che, essendo ito il re nel paese di Nort, stette lontano alcuni di da Londra e poi vi ritornò. Ritornato che fu, intese che la reina s’era amorosamente domesticata con un barone favorito suo, che si chiamava Colpeper; onde, giustificata la cosa, gli fece tutti dui su la piazza de la città decapitare. Ma voi, signori 32 PARTE TERZA miei, avete ad intendere che il re, praticando di maritare Col- peper suo favorito e desiderando dargli moglie nobile e ricca, condusse la cosa di modo che gli fece publicamente sposare questa nipote del duca. E facendosi le nozze tali quali a simile maritaggio si conveniva, e il re con la presenza sua onorandole, fieramente de la sposa s’innamorò e ad altro non poteva rivolger l’animo se non che via deveva tenere per giacersi con questa sposa. Mal fatto gli pareva pure che fosse d’aspettare che il suo favorito seco si fosse giaciuto, e poi tener pratica con lei per indurla a far ciò che egli volesse; onde a la fine deliberò privarne Colpeper e pigliarsela per sua moglie. Finite dunque le feste de le nozze, credendosi Colpeper andar a dormire con la sua donna, che molto già amava, il re a la presenza di tutti gli disse: — Colpeper, io vo’ che tu ti contenti per ora di trovar un’altra donna che io ti saperò far avere, perché io voglio questa per mia moglie. — Che poteva fare il povero sposo? Il re alora publicamente per sua la sposò. Nondimeno rimase tra i dui primi sposi una certa affezione che gli condusse a giacersi insieme. Ed usando meno che cautamente la pratica loro, furono veduti nascostamente basciarsi lascivamente insieme; il che fu cagione che furono presi e morti, come già vi s’è detto. Ora avvenne che un di una donna vedova, che era stata moglie d’un cavaliero, avendo lite con i parenti di suo marito e non possendo conseguire la possessione dei suoi beni, avendo tentate molte vie, fu consigliata che, pigliata l’opportunità, si presentasse al re ed umilmente gli chiedesse giustizia. Il che ella fece, perciò che, da alcuni suoi parenti accompagnata, entrò in sala del re, aspettando che egli di camera uscisse; al quale, come egli fu uscito, la donna si fece innanzi ed inginocchiata gli porse la supplicazione, ed anco a bocca gli disse piangendo parte del suo bisogno. Il re, udita la vedova, le commise che dopo il desinare ritornasse, ché la spedirebbe in bene. Tornò ella subito dopo il desinare al re. Egli, vedutala e considerata, le disse: — Madonna, noi vi vorremmo dar marito, se vi piacesse. — Era la donna d’età di circa trentacinque anni, la quale, udendo ciò che il re diceva, rispose: — Sire, io vorrei prima NOVELLA LXII 33 ricuperar i miei beni ed assettare le cose de la mia dote, perché ,ni crederei che facendo questo, se poi mi volessi maritare, che non nii devesse mancar partilo al grado mio convenevole. — Sta bene — soggiunse il re; — quesjo è ben ragione. Ma noi vi daremo uno che con poca fatica vi aiterà a far tutto quello che voi dite. — Sia come vi piace — rispose alora la donna. In questo il re si fece dar la mano e le disse: — Se voi volete, io intendo esser il vostro marito; e perché non diamo indugio a la cosa, andiamo a la chiesa e là io vi sposerò per mia moglie. — E cosi di brigata con tutta la corte andarono a la chiesa, ove egli la prese e sposò in presenza del suo popolo per moglie, e cosi anco la tiene. Vero è che si dice che tiene de l’altre pratiche di donne, e che quasi ogni quindeci di va a trovar quella di Cleves e seco dui e tre di molto domesticamente dimora. Tale adunque è la vita d'Enrico ottavo re d’Inghilterra per quanto appertiene a le donne e a la religione cristiana. M. Bandello, Novelle.

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