< Novelle (Bandello, 1910) < Parte III
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Novella LXIV - Il marito d’una buona donna, senza cagione, diviene geloso di lei, e a caso da quella è ammazzato: alla quale è mozzo il capo
Parte III - Novella LXIII Parte III - Novella LXV

IL BANDELLO

al magnifico

messer francesco poggio

luchese


Fu dal nostro signor Iddio, dopo la creazione del mondo e di tutto ciò che in esso si contiene, creato l’uomo di terra, e de la sua costa fece Iddio la donna per compagna de l’uomo, e nel paradiso terrestre per modo matrimoniale fu tra lor dui celebrato il santo matrimonio. Il che ci dimostra, se noi non siamo piú che cechi, esser questo sagramento di molta eccellenza e grandissimo mistero. Ma perché io mi son messo a scrivervi, non per volervi esporre la sacra Scrittura, ma per narrarvi un miserabil caso avvenuto tra marito e moglie, e forse causato per diffetto del marito, mi pare non disdicevole che io alquante parole dica d’alcune cose che deverebbe ogni buon marito usare con la moglie. E perché la prima cosa che deve esser tra il marito e la moglie io mi fo a credere che debbia esser l’unione e la tranquilla pace, deve il marito non esser ferino né aspro ne la conversazion sua in casa, perché se vorrá con fatti e con parole inasprire ed irritare la moglie, e d’ogni minimo fuscello garrirla e farle un gran romor in capo, la casa non sará casa ma terreno inferno, né mai v’abiterá pace. Bisogna dunque che l’uomo sia benigno ed umano, e talora si risenta con modestia ne le cose mal fatte; e a la moglie conviene saper tacere e pazientemente sofferire ciò che fa il suo marito. Ché in vero quella casa ove il marito non sa usare prudenza e la moglie è poco paziente, non è abitacolo di maritati ma uno spedale di pazzi, e a la fine converrá che tra 40 PARTE TERZA simili congiunti in matrimonio segua divorzio, o sempre vive- ranno come cani e gatti. Si vede per l'ordinario le donne esser di temperamento delicato e debole, e per questo è loro dato l'uomo che le governi, a ciò che egli sappia e debbia tolerare e coprire gentilmente la debolezza e diffetto de la donna, e con mansuetudine correggerla e non riprenderla in publico già mai. Sono alcuni tanto indiscreti e si stizzosi e bizzarri, e di tal maniera e modo in casa e fuori si diportano, che converrebbe che la moglie a sopportargli e servirgli fosse più savia che So- lomone e più paziente che il pazientissimo Giob. Consideri ogni marito se la moglie che ha, è saggia o pazza. Se per disgrazia ella è pazza, pensi pure di non la poter governare d'altra sorte che con la prigione onesta d'una camera. Se ella è savia, una volta sola che il marito le dica l’animo suo e le mostri come egli vuole che in casa e fuori si diporti, ella non mancherà d'esser ubidiente e prudentemente governarsi. Ora per non mi distender più in questa materia, a ciò che talvolta non mi fosse rimproverato il proverbio antico che si suol dire: « Chi non ha moglie ben la batte, e chi non ha figliuoli ben gli pasce », vi dico che io non ho mai avuto moglie a lato né sono per averla; ma che il mio parere è tale: che ciascuno che prende moglie deve sforzarsi d'esser amato da lei. Il che di leggero egli otterrà amando, come si deve, unicamente la sua moglie, perché chi ama sarà senza dubio amato, come ben disse Dante: Amor che a nullo amato amar perdona. Dove poi è amore, se ben talora interviene alcun corruccio, il tutto in breve si compone e ne seguono poi le paci più tranquille e più dolci. Questo tanto ve n' ho io, Poggio mio onorato, voluto dire, non perché voi abbiate bisogno de le mie ammonizioni, ma per venir a la narrazione d’una novella occorsa per la poca benevoglienza che era tra marito e moglie. Voi la Dio mercé amate la consorte vostra madonna Pantesilea, sorella de! signor marchese del Monte, famiglia in Toscana nobilissima e dai reali de la Francia discesa, e da lei unicamente NOVELLA LXIV 41 séte amato, e vivete insieme una vita lieta, pacifica e tranquillissima, di maniera che di voi si può con verità dire che una sol’anima informi i vostri dui corpi. La novella fu narrata qui tra noi dal dottissimo messer Matteo Beroaldo, precettore del nostro gentilissimo signor Ettor Fregoso. Accettate dunque essa novella, al nome vostro dedicata, in minima ricompensa de le tante cortesie, che io da casa vostra in Linguadoca tante volte ho con tanta vostra umanità ricevuto. Feliciti nostro signor Iddio tutti i vostri pensieri. State sano. NOVELLA LXIV 11 marito d'una buona donna senza cagione divien geloso di lei e a caso da quella è ammazzato, a la quale è mozzo il capo. S’è molte fiate, signori miei, qui tra noi ragionato degli scandali che assai sovente accadono per la indebita gelosia che a l'uomo od a la donna s’appiglia. E dovendovi ora narrare un pietoso caso, che non è molto a Roano avvenne, non mi par esser fuor di proposito che io del pestifero morbo de la gelosia alquanto vi ragioni. Ponno forse esser più cagioni che inducono la persona ad ingelosire, ma per mio giudicio, qual egli si sia, credo che per l’ordinario siano due sorti d’uomini che diventino gelosi. Quelli che al nascer loro non ebbero il cielo molto favorevole e nacquero con debolissimo e sempre agghiacciato temperamento del corpo, non sarà gran meraviglia che siano gelosi. Altri che averanno Venere per ascendente e nascono con tutte le membra loro forti e gagliarde, ed essendo di natura libidinosi e ne la giovinezza essendo stati violatori degli altrui letti, e non contentandosi mai d’una e di due donne, ma vogliono aver con tutte commerzio; questi tali, come si maritano, sono ordinariamente gelosi. I primi per la debolezza loro s'ingannano, perché credono che, non essendo forti a l’ufficio matrimoniale, la moglie debbia ricercar chi supplisca ai diffetti ed al poco valore che essi hanno; e però questa gelosia si vede abbracciata nei petti loro con inestirpabili radici. Né in minor 42 PARTE TERZA errore sono i secondi, giudicando tutte le donne esser poco curiose de l'onore e che ciò che essi hanno con l’altrui donne fatto, che le donne loro facciano il medesimo con gli altri uomini. Ma se pensassero che per una o due che abbiano trovate arrendevoli agli appetiti loro, molto più sono state quelle che hanno pregato indarno e non si sono lasciate corrompere, io porto ferma openione che non sarebbero si facili ad aver cattiva openione de le donne ed ingelosire de le mogli. Deveriano pensare che né gli uomini né le donne sono d'un medesimo volere. Il dire che tutte le donne siano oneste e da bene, potria esser bugiardo per qualche particolare, e saria anco parola troppo presuntuosa. Non è anco lecito affermare che tutte siano disoneste, veggen- dosene per isperienza molte oneste e buone. E cosi, come tra gli uomini ce ne sono di buoni e di rei, il medesimo si può credere esser de le donne. Ma perché l'uomo è capo de la donna e gli appartiene il governo de la famiglia e de la casa, se egli per sorte s’abbatte in moglie leggera di cervello e che molto non si curi de l’onore, deve in questo caso il marito tener aperti gli occhi e levar via quelle occasioni che gli par che prestino la via a la donna d’esser meno che onesta, e mostrando di far ogni cosa eccetto ciò che ha ne l'animo, stia sempre vigilante e consideri minutamente tutti gli atti di quella. E veggendo che ella in effetto mostri qualche particolare affezione a chi si sia, non mostri né in parole né in atti a modo veruno accorgersene. Se ne sono visti di molti che, dubitando che la moglie non fosse innamorata d'uno, hanno cominciato a borbottare per casa e poi averanno garrita essa moglie e dettole: — Tu non credi che io m’avveggia che tu ami il tale o il tale. Al sangue e al corpo, io farò e dirò! — Può esser di leggero che il marito talora s'inganni e che mai la donna a coloro non pensasse. Onde segue poi che ella metterà mente agli atti che quei tali faranno, e per le parole del marito a poco a poco ella s’accenderà d’un di loro, e il marito, non sei pensando, sarà divenuto ruffiano de la moglie. Si che guardisi di non biasimare mai a la presenza di lei persona de la quale dubiti quella esser invaghita. La donna, come ode che il marito NOVELLA LXIV 43 vituperi alcuno, pensa che quel tale sia uomo di più vcrtù d’esso marito e che egli per invidia o malevoglienza ne dica male e tema di lui; il che talora è cagione che ella deliberi di provare ciò che non deve. Ci sono alcune donne di si fatta costuma e natura, che l'offesa di Dio e meno l'onore del mondo non ¡stimano e vogliono tutto quello che vien loro in capo, e ancor che avessero il coltello a la gola, punto non si smoveranno dai loro disonesti appetiti. Con queste non so io che castigo si debbia né si possa usare, conoscendosi manifestamente che non temono pena, ancora che loro si desse la morte. Per questo io consiglierei che chi in tale diavolo incarnato s’abbatte, prenda •gli occhi d’Argo e non dorma, ma con bel modo rimedi a tutte le azioni di quella. Il batter le mogli e con pugni e calci senza pettine carminarle, o buone o triste che siano, le mette in disperazione. Se son triste, vanno di mal in peggio e s’ostinano di voler fare tutto il contrario di quello che il marito vuole. Se elle sono buone, quando si veggiono a torto esser battute, è tanto e lo sdegno e il furore che entra loro in capo, che si deliberano di mandar i mariti in Cornovaglia. Q sono di quelle che, o per natura o per creanza o per elezione, subito che conoscono la costuma del marito, e a conoscerla vi mettono ogni cura, a quella in tutto si sanno accomodare e si sforzano la volontà del marito far sua e voler tutto ciò ch’egli vuole. Per questo elle non faranno cosa che al marito dispiaccia già mai. A queste non ha bisogno il marito di far molte prediche né di troppo ammonirle. Basta assai che egli le accenni il voler suo una volta sola. E chi s’abbatte in moglie di cotal ottima natura, se egli è uomo da bene e tratti quella come si conviene, si potrà veramente dire che costoro averanno la più tranquilla e la più beata vita che si possa nel matrimonio desiderare, perché beato e felice è quel letto ove non sono questioni. Ma bisogna anco che il marito pensi che la moglie non gli è mica data per fantesca né per ¡schiava, ma per consorte e per compagna. Onde le deve far buona compagnia in ogni tempo, vestirla da par sua, secondo le facultà che egli ha, e dargli quella onesta libertà che al grado suo conviene, ed avvertire di tener 44 PARTE TERZA sempre il mezzo, perché la vertù consiste nel mezzo e gli estremi ordinariamente sogliono esser viziosi. Sovra il tutto poi, e questa fia l'ultima conchiusione, avvertisca con sommissima diligenza di non ingiuriar la moglie con amar altra donna che quella. Tutte l’altre ingiurie fatte loro costumano le mogli assai con prudenza tolerare; ma veder l’acqua, che il loro giardino deveria inaffiare, stillar altrove, questa è la scure che taglia lor il capo e che non vogliono a verun patto sopportare. Egli mi sovviene aver altre volte udito ad un amico dire che, intendendo una gran gentildonna che suo marito ardentemente amava la moglie d’un altro, che fuor di misura adirata, disse: — A la croce di Dio, se mio marito cercherà altro pertugio che il mio per suo fratello, io per mia sirocchia mi procaccerò d’altra caviglia che de la sua. — Vi dico adunque, signori miei, che in Roano fu a’ nostri di una buona donna, la quale si maritò in un malvagio uomo, che era giocatore, bestemmiatore, geloso e pieno di molti altri vizi; il quale, oltra che tutto il di buttava via il suo e ciò che la donna in casa recato aveva, si dilettava più de le donne altrui che de la propria. Sopportava il tutto in pace la buona donna, la quale era da tutta la vicinanza molto amata, e ciascuno l’aveva compassione de la pessima vita che il marito le faceva fare. Il malvagio uomo, che vedeva la moglie da tutti i vicini e vicine esser amata ed accarezzata, entrò in tanto sospetto di lei e tanta gelosia, senza sospizione alcuna d'indizio vero, che cominciò a tenerla chiusa in casa e darle ogni di de le busse e carminarla senza pettine molto stranamente; di modo che la povera donna, che era da bene, venne in grandissima disperazione e l'amore, che al marito portava, converti in fierissimo odio, non potendo sofferire che egli si sconciamente a torto la battesse. Come il marito non era in casa, i vicini e le vicine la visitavano e seco a le finestre ragionavano, consolandola a la meglio che potevano. Come ho detto, tutti le volevano gran bene, perché era di buonissima natura, festevole e piacevole molto, che in compagnia sempre teneva allegra la brigata. Ora un giorno di verno, essendo venuto il marito a casa e veduta la moglie a la finestra, che NOVELLA LXIV 45 eoa una vicina parlava, entrò in casa, ed avendo forse perduto al giuoco, o in còlerà d’altro, prese la meschinella per i ca- pegli e con calci e pugni la batté fuor di modo. Non molto dopoi si misero tutti dui come cani e gatti, borbottando, al fuoco. Frugava il malvagio con un affocato tizzone nel fuoco ed anco con la paletta vi frugava ia moglie. Avvenne che un affocato carbone saltò sul petto a la donna, la quale, pensando che il marito a posta avesse quello gettatole, perduta la pazienza ed accecata da l’ira, alzò la paletta e si gran percossa diede al marito su la nuca del capo, con si gran forza, che il misero subito cadde morto. Ella di cosi inopinato caso smarrita, dolente oltra modo del commesso omicidio, poi che vide non ci esser altro rimedio, prese il corpo, ed avendo levato il suo letto dal luogo dove soleva stare, quivi fece una buca a la meglio che puoté, e dentro vi sepelli il morto marito e di terra lo ricoperse. Indi ritornò il letto al consueto luogo. E non si veg- gendo dai vicini il marito, fu domandata ove egli fosse andato. Ella a tutti diceva il marito esser andato a la guerra del Piemonte, che tra francesi e spagnuoli si faceva; il che era creduto da ciascuno, né più innanzi si cercava. Avvenne che la casa a la donna, non so come, s’abbrusciò sin ai fondamenti; onde ella deliberò da Roano partirsi e andar a casa di suo fratello, fuora di Roano tre leghe. I vicini, a cui troppo doleva perder la pratica de la donna, convennero in uno e si misero tra loro una taglia che bastasse a riedificar la casa; e cosi la ritennero. E lavorandosi dai muratori, gli impose che quivi ove era sepellito il morto, non cavassero; e questo tante volte e si efficacemente gli imponeva, che uno di loro entrò in sospetto che alcuna cosa là non fosse ascosa. Il perché, essendo la povera donna a messa, colui si mise a cavargli e poco andò sotto che trovò il corpo, che ancora a le fattezze e a’ panni fu conosciuto. Il che da la giustizia inteso, fu la donna sostenuta, la quale senza aspettar tormenti confessò il tutto come era seguito. Né le valse ad escusazione sua allegare la malignità de la vita del marito e le percosse che ogni di le dava, e provar per tutta la vicinanza ciò che diceva, ché il senato di Roano giudicò che fosse 46 I’ARTE TERZA decapitata. Ella, udita la determinata sentenza, si dispose al morire divotamente e da buona cristiana. Poi adunque che si fu al sacerdote con grandissima contrizione confessata, con generai compassione di tutti le fu publicamente mozzo il capo. Onde vedete a che malvagio fine la gelosia del marito e l’ira de la moglie l’uno e l’altra condusse.

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