< Novelle (Bandello, 1910) < Parte III
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Novella XIII - Leonzio da Castrignano ama la Neera, e poi l’abbandona; ed ella in un pozzo s’affoga
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IL BANDELLO

al signor

ELIA SARTIRANA

salute


Meravigliosa cosa esser suole lo stimolo de la vergogna, quando egli s’abbatte a trafiggere persona che il disonore tema, perciò che assai sovente si sono visti degli uomini che, caduti in qualche vituperoso errore, non hanno potuto sofferire la luce degli altri uomini e, da estrema doglia vinti, hanno per minor male eletta la morte. E questo assai piú di leggero avviene a le donne, per esser il sesso loro piú del nostro debole, e temendo elle ordinariamente piú la vergogna che gli uomini non fanno. Erano molti uomini da bene ne l’amenissimo giardino di messer Ambrogio... (■), patrizio milanese, uomo per lettere ed integritá di vita famoso; e ragionavano d’un povero giovine che in quei di s’era, non so perché, in Porta orientale impiccato. E di tal materia ragionandosi, il nostro dottissimo messer Antonio Tanzio disse una novelletta nel regno di Napoli accaduta, la quale io ho scritta e a voi donata, a ciò che possiate conoscere che di voi mi sovviene. Essendo poi stata detta nel giardino bellissimo di messer Ambrogio vostro cognato, non essendo egli alora in casa, vi piacerá essa novella communicarli, si perché molto m’ama, come anco che per esser uomo di buone lettere e tanto umano quanto altro che in Milano io conosca, so che averá piacere di vederla, non perché ci sia cosa del suo bell’ingegno, ma perché è da me scritta. State sano. (i) I puntini sospensivi si riferiscono al cognome di questo messer Ambrogio, dal Bandello o dal suo tipografo saltato via. Non ho ancora potuto identificare con sicurezza chi egli sia: spero di riempire la lacuna nella Nota [Ed.]. 202 PARTE TERZA NOVELLA XIII Leonzio da Castrignano ama la Neera e poi l’abbandona ed ella in un pozzo s’affoga. Ne la provincia d’Otranto, in un castello chiamato dai paesani Castrignano, non molto dopo che Alfonso duca di Calabria con gloriosa vittoria cacciò dal Regno i turchi che Otranto gli avevano rubato, fu una giovane assai bella ed avvenente, ma di mezzani parenti discesa, il cui nome era Neera. Di lei un giovine de la contrada assai nobile e ricco, vinto da le bellezze di quella, s’innamorò. E perché era nobile e dei beni de la fortuna ben provisto, ed essendo senza padre spendeva largamente, ebbe grandissima commodità di farle parlare e manifestarle il suo amore. Ella, che pur avveduta e di grande animo era, conoscendo il giovine, che Leonzio si chiamava, esser dei primi del luogo e sé di basso legnaggio nasciuta e a lui non uguale, non dava troppo Orecchie a l’ambasciate e messi di quello. Leonzio, che ardeva e averebbe voluto venire a la conchiusione d’amore, non cessava di continovo con messi ed ambasciate di tentarla e tutto ’1 di ricercarla che volesse di lui aver compassione, promettendole che sempre l’amerebbe e mai non l’ab- bandoneria. Ella, quantunque Leonzio le paresse degno d’esser amato, nondimeno, conoscendolo ricco, dubitava forte che come egli avesse avuto l’intento suo, non l'abbandonasse ed altrove rivolgesse il suo amore. E per questo mai non mandò buona risposta a l’amante, anzi si mostrò sempre più dura e più rigida. Il che fu cagione che il giovine più s’accese e deliberò di fare o per una via o per un’altra tanto che venisse a fine del suo desiderio. E trovata una ribalda vecchia, quella mandò a Neera; la quale tanto seppe dire e far con lei, che ella s’indusse a volger l’animo a Leonzio e a poco a poco ad amarlo. A lungo andare col mezzo de la scaltrita vecchia si trovò Leonzio a parlamento con Neera, la quale, ancora che a lui volesse gran bene, nondimeno mai non gli volle di sé far copia, fin che egli in presenza de la vecchia non le promise di prenderla per moglie. NOVELLA XIII 203 Ma ella fu male avvista, perciò che prima deveva farsi sposare e non credere a semplici promesse de l'astuto amante, il quale per conseguire l'intento suo le fece mille promesse. Ma noi veg- giamo tutto il di infinite povere donne — povere, dico, di con- seglio e di prudenza — rimaner ingannate, perciò che gli amanti largamente promettono, pur che abbiano quello che cercano. Ora essendosi Leonzio con Neera molte fiate amorosamente giacciuto e si domesticamente seco praticato che per tutto il castello si teneva che fossero marito e moglie, Leonzio d’un’altra giovane s’innamorò e, piacendogli più questa seconda che la prima, cominciò a lasciar Neera da parte. Di che ella si ritrovò senza fine mal contenta, non sapendo che modo tenere a reconciliar il suo amante. Egli a poco a poco, scordatasi del tutto Neera e la promessa a lei fatta, di maniera de l’altra s’accese che publicamente la sposò e a casa condusse. 11 che a Neera fu per tutta la terra grandissimo scorno, sapendosi da ciascuno che di lei Leonzio aveva preso amorosamente piacere. La povera giovane assai la disgrazia sua pianse e assai senza fine se ne rammaricò, e quasi disperata molti di in casa se ne stette. Essendo poi passati alcuni giorni, avvenne che essendo Neera un giorno di festa dinanzi la casa a sedere in compagnia di molte donne de la vicinanza, come è di costume, e parlandosi di varie cose, parve che una donna di non so che a Neera contradicesse; di che ella, rispondendole con la voce un poco alta, entrò alquanto in còlerà. E l’una parola tirando l’altra, vennero a dirsi ingiuria insieme. Quell’altra, che non portava di groppa, levatasi in piedi e mettendosi le mani sui fianchi, a Neera con grandissima còlerà disse: — Va’, va’, putta sfacciata, in chiazzo, ché tu sei bene stata concia da Leonzio come meriti. Non sai che tutto questo castello sa che tu sei stata sua femina? e non ti vergogni comparire fra le donne da bene? — A questa voce l’infelice Neera, senza rispondere un motto solo, si levò fuor de la brigata e in un pozzo profondissimo che quivi era si gettò col capo innanzi e subito vi s’affogò. E volendo i vicini corsi al romore darle aita, dopo gran fatica, del pozzo fuori morta la cavarono.

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