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Novella XXII - La moglie di un gentiluomo amorosamente si da buon tempo con il compagno del marito, e di modo abbaglia esso marito, che non può credere mal di lei
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IL BANDELLO

al nobile e cortesissimo

messer

gioanni comino

salute


Veramente il nostro molto festevole e gentilissimo Boccaccio deveva ottimamente sapere ciò che diceva quando egli ci lasciò, ne la novella di Rinieri lo scolare e di monna Elena, scritto che la cattivella non sapeva che cosa fosse mettere in aia con gli scolari. Ci sono alcune donne che piú del devere presumeno del fatto loro e poco conto tengono degli scolari, perché, veggendogli andar in abito quasi da prete, si pensano che siano uomini fatti a l’antica, e di loro si beffano, perché vorrebbero di que’ giovani bravi che portano sovra la berretta il cervello e la spada in traverso, che con la punta menaccia a la stella di Marte, e spesso bravano in credenza. Ma se elleno conoscessero ciò che vagliono gli scolari e quello che sanno fare, giovami di credere che non scherzarebbero con esso loro. Sono per l’ordinario gli scolari buoni compagni, aveduti, scaltriti, e sanno vie piú di quello che la brigata non pensa, e hanno piú malizie sotto la coda che non ha fiori primavera. Ma chi con loro amichevolemente prattica li trova sempre cortesi, umani e gentilissimi. E per dire il vero, in una cosa non bisogna fidarsi di loro, che è cerca la prattica de le donne, onde l’appiccherebbero a chi si sia, pur che le possano godere. E in quelle case ove dimorano, se donne ci sono, guardale quanto tu vuoi, ché se tu avessi piú occhi che Argo, te la accoccheranno. Sono poi liberali, dico in pagare quelli che a lor fanno alcuna ingiuria, perché li pagano a buona derrata, dando cento per uno, come PARTE QUARTA il buono Rinieri fece a monna Elena. Di queste cose me ne parlò assai lungamente uno nobilissimo giovane mio compagno, scolare in Pavia. Ma io porto acqua al mare a dire queste cose a voi, che meglio di me le sapete, e già lungo tempo in Parigi in quella grande università séte stato scolare. Però, avendo questi giorni in Parigi scritto una novella, che in una onorata compagnia, ove io mi ritrovai, narrò il gentilissimo scultore di gemme Matteo dal Nansaro, cosi caro e dimestico del cristianissimo di questo nome re Francesco primo, quando madama Fregosa era in Parigi, e pensando cui donare la devesse, voi mi occorreste; onde, al nome vostro avendola dedicata, resterà testimonio al mondo de la amicizia nostra. Vi pregherei molto volentieri che fussi contento mostrar questa novella al nostro da me amato e riverito filosofo eccellentissimo, il magnifico messer Francesco Vicomercato; ma non ardisco quello rivocare da le altissime e profonde speculazioni filosofiche a queste basse e triviali lezioni. Tuttavia giova molto spesso mescolare tra le cose gravi, per allegrare l’animo, alcuna cosa piacevole e bassa. State sano. NOVELLA XXII (XXIII) Subita astuzia di uno scolare in nascondersi, essendo con l’innamorata e volendo il marito intrar in camera. Parigi, come tutti avete potuto vedere, è molto grande e populosa città, ne la quale da tutti si afferma trovarvisi per l’ordinario più di trenta millia scolari, mettendovi i fanciulli piccioli che imparano la grammatica con gli artisti, e quelli che dànno opera a la teologia. Sapete bene come gli studenti sogliono menar le mani con le donne, acciò che quando si hanno per lungo spazio lambiccato il cervello sovra i libri, possano poi con le donne destillare li mali umori. Non è dunque molto che uno giovane italiano venne a studio a Parigi, e una camera prese a pigione in casa di uno stampatore, il quale aveva per moglie una franciosina di ventitré anni, che era molta bella e gentilesca e lieta oltra modo, la quale sempre averia voluto NOVELLA XXII (XXIIl) scherzare e dare il giambo altrui e anco pigliarlo. Molte fiate il marito di lei disinava la mattina a la stampa, di modo che lo scolare solo disinava con la donna; onde fecero insieme una gran dimestichezza, la quale a poco a poco cominciò convertirsi in amore. Lo scolare, conoscendosi essere mezzo innamorato de la donna e veggendola assai bella, deliberò tentare la fortuna e vedere se il suo disegno li reusciva. E perché aveva gran commodità di parlar con lei senza interpreti, seppe cosi ben dire il caso suo e fare l’appassionato, che la donna, che non era di pietra né di bronzo, cominciò a dargli orecchie e parlare con quello più che volontieri, parendole il giovane piacevole e discreto; nondimeno stava alquanto ritrosetta. A la fine, pure consigliatasi con la sua fante, che era quella che faceva il mangiare per loro, non ci essendo altre persone in casa, essendo adunque uno voler di tutti dui di venire a le strette e godere de l’amore l’uno de l’altro, non tardarono molto a dare compimento ai loro appetiti amorosi. Alloggiava l’innamorato scolare in una camera che era sovra quella ove lo stampatore con la moglie dormiva. Esso stampatore soleva ogni mattina a l’alba levarsi e andare a la stamparia e lasciar la moglie sola nel letto. Onde, acciò che la buona donna, restando sola, non avesse paura de la fantasma,’ lo scolare soleva andare a tenerle compagnia e bene coprirla, perché ella non si raffreddasse. Come il marito era uscito di casa, la donna, con la pertica che al capo del letto teneva, solea percuotere nel solare due e tre percosse. Il che come lo scolare sentiva, si levava e, a basso disceso, andava a corcarsi con lei ; e calcava molto bene la faccenda de la donna, acciò che ella non avesse invidia al marito, che in quella, forse, ora calcava quella de la stampa. E cosi insieme si trastullavano buona pezza, perché il marito non solea venire a casa sino a ora di desinare. Avenne il giorno dedicato a santo Gioanni innanzi a la porta Latina, che è la festa degli stampatori parigini, che essendo levato il marito secondo il consueto e ito fore, che la donna diede il solito segno a lo scolare, il quale a basso discese e a lato a quella si mise, e amorosamente con lei giocava a le braccia. Aveva quella mattina PARTE QUARTA smenticatosi il marito la borsa sotto il capezzale del letto, ed essendo ito a la stampa ove erano gli altri compagni, volendo dar ordine di fare una grossa e grassa collazione insieme, accortosi il buono uomo che non aveva seco la borsa, disse a li compagni: — Oimè, io mi ho scordata la borsa in casa, onde egli mi convien gire per essa, e subito sarò di ritorno. — Ritornò adunque, e arrivato in casa, andò di lungo a la camera e, trovatala chiusa perché lo scolare fermata l’aveva, cominciò picchiare a l’uscio. La donna, che in braccio avea il suo amante e stretto teneva, disse, mostrando essere mezza sonnacchiosa: — Chi è là? olà! — 11 marito rispose: — Apri, apri, ché io sono tuo marito. — La donna allora disse pian piano a lo scolare: — Oimè, vita mia, come faremo noi, che mio marito vuole intrare? — Non era luoco in camera ove lo scolare nascondere si potesse. E tardando ella ad aprire l’uscio, il marito tuttavia gridava che ella aprisse. Ella teneva pur detto che egli aveva la chiave e che poteva da stesso aprire; e ben che dicesse cosi, sapeva perciò ella come la chiave era in camera. — Io non ho la chiave —rispose il marito, e disse: — Apri tu, se vuoi, e non mi far più tardare. — Lo scolare, da subito consiglio aiutato, disse a la donna: —Anima mia, mettimi dentro la arca che è qui dirimpetto. — E cosi dentro con li suoi panni vi intrò, e vi si distese, acconciando il coperchio acciò potesse respirare. Teneva pur replicato il marito che ella aprisse, ed ella diceva : — Aspettate uno poco che io prenda una camiscia di bucato, — e presa una camiscia di bucato, senza altrimenti vestirsela, con una mano se la pose dinanzi a la fontana di Merlino, e poi aperse l’uscio. Era già levato il sole e per le ve- triate de la finestra allumava tutta la camera. Il perché il buon marito, che vedeva la sua moglie nuda, che era come una nieve bianca e le carni aveva morbidissime e di nativo ostro maestrevolmente colorite, si senti movere la conscienza, e cominciò baciare la moglie e abbracciare per cacciar il diavolo in inferno, che si era fieramente destato. Ma la donna, che era stata assai bene pasciuta dal suo amante, da sé con le mani lo re- spigneva, dicendogli: — Oh bella cosa, che oggi, che è la vostra NOVELLA XXII (XXIIl) 253 festa, voi non possiate contenervi! so bene che non devete ancora essere stato a messa. — Insomma tanto disse e fece che il buon castrone si parti. E come egli fu partito, lo scolare usci da l’arca e fece a la donna, intrati in letto, ciò che il marito fare voleva. Commandò dapoi la 'donna a la fante che ogni volta che il marito usciva di casa, che ella chiavasse la porta de la casa. La sera, essendo il marito con la moglie e lo scolare a tavola a cena, esso marito narrò a lo scolare quanto con la moglie gli era la matina accaduto. Del che ridendo, il giovane disse: — Voi mi devevate chiamare, perché io con la sferza la averei bene gastigata e costretta a compiacervi. — Spesso poi di questo accidente risero tra loro dui e attesero lungo tempo con gran piacere a godere li loro amo

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