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Novella XXIV - Il Gonnella fa una piacevole beffa al marchese Niccolo da Este signor di Ferrara e suo padrone
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IL BANDELLO

al magnifico e strenuo soldato

messer

tomaso ronco da modena

luogotenente del colonnello del valoroso signor conte

Annibale Gonzaga di Nuvolara

salute


Sono alcuni uomini in diversi paesi, che per Io piú di loro hanno certe nature molto differenti dagli altri; e dove vi corre il guadagno di uno quattrino, non conosceno amico né parente, attendendo solamente al profitto loro particolare. Altri, se bisogna che vivano a le proprie spese, se si metteno per caminare da luoco a luoco, non ti credere che vadano troppo a l’osteria, ma compreranno uno pane e uno bicchiero di vino, e la menano piú stretta che sia possibile. Di questa sorte sono communemente bergamaschi e spagnuoli, dico gente del contado, perché ho conosciuti molti gentiluomini de l’una e l’altra nazione che viveno splendidamente e invitano questi e quelli a mangiare con loro. Vanno bergamaschi per tutte le parti del mondo, ina non faranno spesa di piú di quattro quattrini il giorno, né troppo si corcano in letto e se ne vanno a dormire su la paglia. Che dirò io di que’ spagnuoli plebei che chiamano «bisogni », che vengono in Italia con le scarpe di corda? Molti di loro non hanno in Ispagna né casa né possessione, e se hanno pane e ravanelli con acqua, trionfano; ma come sono in Italia, tutti sono signori, e vogliono cibi eletti e del migliore vino che trovar si possa. Li tedeschi sono molto facili da contentare: dá loro buono vino, e il tutto stará bene. Francesi, ancora che siano contadini, tutto ciò che guadagnano lo mangiano a l’osteria, e sono cortesi e largamente invitano ciascuno a ber e. 2Ó4 PARTE QUARTA Li gentiluomini tutti il di sono su il banchettare e onorare gli stranieri. Ragionandosi questi in Pinaruolo di simili materie in una buona compagnia, e particolarmente dicendosi di certo soldato bergamasco che era la idea de la miseria, narrò Angelo Travagliato a cotesto proposito una piacevole novella. Questo Angelo Travagliato sono più di quaranta anni che in arme bianche serve la illustrissima casa Fregosa, prima sotto l’illustrissimo signor Gian Fregoso, poi sotto il signor Cesare suo figliuolo, che al presente è luogotenente generale in Italia del re cristianissimo. Avendo dunque la novella descritta, al nome vostro la ho intitolata in testimonio de la nostra commune benevolenza. State sano. NOVELLA XXIV (XXV) Ridicola e vituperosa beflà falla da uno bergamasco a Fracasso da Bergamo, che, credendo profumarsi la barba e capelli di odorata composizione, si impastricciò di fetente sterco. Tutti che qui, valorosi soldati, séte, di che materia ragionato si sia, avete udito. E volendovi io parlare di certi strani costumi di uno contadino bergamasco, vi dico che il signore Cesare Fregoso, essendo ancora molto giovanetto, che ora luogotenente vedete del re cristianissimo in Italia, era capitano de la serenissima Signoria di Venezia di uomini d’arme. Egli fu sempre molto prode e valente de la persona sua, e di ottimo governo cerca li soldati. Il che in molti luochi, ne lo stato di Milano, su quello di Urbino, quando aiutò a ricuperare lo stato al signor Francesco Maria da la Rovere, e in Toscana, sempre ha dimostrato. Ora, avendo egli le stanze su quello di Verona, teneva una casa in Cittadella e, perché era giovane e innamorato, si dilettava mirabilemente di vari odori e vi spendeva assai, facendone in gran copia venire da Genoa. E quando in casa vi venivano cittadini di Verona o soldati buoni compagni, tutti li profumava. Ora egli, tra la numerosa famiglia che teneva, aveva uno che Io serviva di cancelliero, ben che pessimamente scrivesse e non sapesse mettere insieme diece righe, che non NOVELLA XXIV (XXV) ci fossero venti manifesti errori, cosi ne la lingua come ne la ortografia, de le quali nulla sapeva. Cotestui era chiamato Gioan Antonio Dolce, bergamasco; ma essendo cuoco del capitano Scanderbecco di albanesi cavalli liggieri, si acquistò il nome, non so come, di Fracasso da Bergamo. De le segnalate condizioni di costui chi volesse a pieno ragionare, non si perve- neria mai a la fine. Pure, perché io l’ho conosciuto e praticato molti anni, non posso fare che alcuna de le sue sgarbate condizioni non vi dica. Prima, egli è più temerario e presontuoso che persona che io mi conoscessi già mai. Discrezione in lui non alberga né civilità che si sia. E tra le molte sue gherminelle e vegliaccherie che ha, questa ne è una: che quando serve uno padrone, se da quello fosse mandato per quale si voglia importantissima cosa ove bisogni usare celerità, o vero che vi andasse la vita di uno uomo e bisognasse non che andare ma volare a parlar a’ giudici o altri per aiutarlo, e trovasse egli in via da poter guadagnare uno o dui marchetti, non pensate che si movesse di passo: e’ si fermeria tre o quattro ore e più anco assai, perciò che tiene più conto di uno bagattino, che de la vita di colui per lo quale è mandato. Più e più volte bisogna che vada per gli affari del signore a Vinegia, e sempre il signore Cesare li fa dare denari per andare e tornare. Non crediate che egli mai entri in osteria né che spenda uno soldo, perché non va per la strada corrente e dritta, ma camina per traversi, a trovare questi e quelli amici del signore e alloggia con loro, acciò che possa civanzare tutti i danari che ha per fare il viaggio avuti. Ma io ora non vuo’ intrare nel pecoreccio di cotestui, perciò che non ne potrei cosi di liggiero venire a capo, essendo le sue pecoraggini tali e tante che non si espli- carebbero in molti giorni. Vi dico adunque clic quando il signore Cesare o sé o altri profumava, se il bergamascone poteva dar de le mani su uno di quelli vasi di zibetto o composizione, che tutta la barba largamente e senza discrezione insieme con li capelli si profumava, di maniera che assai spesso votava quelli vasi. Bartolomeo bergamasco, che al presente in Pina- ruolo vedete maestro di casa di esso signor Cesare, attendeva 266 PARTE QUARTA allora a la camera e persona del detto signore. Accortosi egli che Fracasso era il dissipatore degli odori, tra sé deliberò fargli una berta, acciò si profumasse di tale odore, quale a si indiscreto villano si conveniva, e trattarlo come meritava. Onde empi uno vaso di sterco umano e lo coperse con uno poco di composizione odoratissima. E dopo che il signore fu uscito di camera per andare a palazzo per far compagnia a li signori rettori di Verona quando vanno a messa, Bartolomeo, riposti i veri vasi del buono odore, lasciò a posta su la tavola il vaso acconcio di altro che muschio e zibetto; e usci di camera, mostrando avere altre faccende da fare. Fracasso, che a quella ora soleva profumarsi, non essendo ancora partito il signore di casa, intrò in camera; e veduto il vaso in tavola, vi si avventò come l’avoltore a la carogna. E scopertolo, vi ficcò dentro frettolosamente le dita e cominciò a impastricciarsi la barba e li capegli. E per l’odore de la perfetta composizione non sentendo il tristo odore del tributo culatario, ci tornò due e tre volte e quasi votò tutto il vaso. Fu si grande il piacere di essersi a suo piacere profumato, che nulla senti del tributo che si rende a la contessa di Civillari. E cosi, bene profumato, andò dietro al signore Cesare. Ora, andando in fretta e riscaldandosi, cominciò pure a sentire non so che di fiera puzza, come di una fetente carogna che per la strada putisse; e non si avedeva che egli aveva la carogna seco ne la barba e negli capelli, perché era stato concio come uno simile mascalzone e facchino meritava. Bartolomeo per una altra via, abbreviando il camino, andò a palazzo, e trovò che il signor Cesare parlava con li signori rettori, che erano insieme, ove anco li camerlinghi vi si trovavano; onde a li soldati del signore Cesare, che quello a palazzo aveano accompagnato, narrò la profumeria che fatta si era. Né guari stette a giungere Fracasso, che in quello arrivò che il signor Cesare, uscendo di camera, intrò in sala. Pud va Fracasso da ogni canto come fanno li solferini. Del che subito si accorse il signor Cesare e disse: — Che trenta para di puzzore è cotesto che io sento? — Li soldati, avertiti da Bartolomeo, risposero che veramente quella si cattiva puzza procedeva da Fracasso, con NOVELLA XXIV (XXV) 267 ciò sia cosa che prima che egli venisse in sala non ci era cosa che spirasse pessimo odore. Il signore Cesare, che de la beffa ron sapeva cosa veruna, accostatosi a Fracasso, non solamente egli subito senti il noioso e pessimo odore, ma si accorse anco come la barba e capelli di quello erano tutti brutti e impastati di una fetida lordura. E disse: — Che cosa è questa, Fracasso, che io sento? Ove mala ventura sei tu stato? Chi ti ha cosi stranamente profumato? — Dispiaceva anco a se medesimo l’impaniato Fracasso per la fiera puzza che a lui di lui veniva, e non sapeva che cosa imaginarsi, non possendo credere che quella mistura che logorata avea fosse quella che ammorbato l’avesse. Per questo egli se ne stava trasognato e mutolo e non sapeva che dirsi ; di maniera che da tutti era miseramente schernito. Bartolomeo, per far l’opera compita, mostrandosi del male di Fracasso dolente, disse al signore Cesare: — Io anderò, signore mio, a farlo nettare. — Poi rivolto a Fracasso: — Andiamo — disse — a farvi lavare, ché io vi farò levare via questa puzza d’addosso. — Come furono partiti di sala, dissero li soldati al signore Cesare come il fatto stava, secondo che Bartolomeo loro aveva narrato. Allora soggiunse il signore Cesare: — Lasciagli andare, poi che la va da bergamasco a bergamasco. Ma 10 dubito che Bartolomeo di questa non si contenterà, ché gliene vorrà fare una altra. Stiamo pure a vedere a che fine la comedia riuscirà, pur che non riesca in tragedia. — Andarono dunque 11 gabbato Fracasso e Bartolomeo a casa, ove in una camera, fatto accendere il fuoco, fu posta de l’acqua a scaldarsi. Avea Bartolomeo del sapone nero e tenero, col quale cominciò a lavare il capo e la barba a Fracasso. Quello sapone mischio con l’acqua e con quella brutta lordura faceva una grandissima e fora di modo puzzolente schiuma, che pareva proprio che uno chiasso pieno fosse aperto; di modo che Bartolomeo diceva tra sé: — Certo, se io ho fatto il peccato, ora faccio la penitenzia. — Tuttavia deliberatosi di finir l’opera, non si curando di puzza, attendeva a stropicciare i capegli e barba di Fracasso, e tale volta gliene faceva inghiottire, di quella fetida schiuma, parecchie dramme. Quando poi Fracasso, astretto da l'amaritudine di 268 PAKTE QUARTA quella stomacaggine di quella lordura, volea sputare, Bartolomeo, mostrando per carità ben fregarlo, con le mani gliene empiva a larga derrata la bocca, e si bene lo trattava che il povero uomo a se stesso veniva in fastidio, e amava meglio sofferire quella quasi insupportabile pena, che sentirsi quella puzza attorno. Onde tanto quanto poteva, solTeriva ogni cosa per lasciarsi nettare. A la fine tanto fu lavato che la barba e capelli si nettarono, ancora che uno poco del cencio li venisse sotto il naso. Non mancarono però dopoi le beffe e il truffarsi di lui, perché tutto il di da molti gli era detto, quando il vedevano: — Ecco il ladro de li preziosi odori. — Ma egli, come cane da pagliaro si scuote, e come cornacchia da campanile niente si cura di cosa che se li dica, e attende a fare il fatto suo, e lascia dire ciò che si vuole. E tante e tante ingiurie, scherni e beffe ha supportate e tuttavia sofferisce, che è miracolo come ardisca comparire tra gli uomini di conto. E con questo, sotto l'ombra di questi signori Fregosi, di buf e di raf si è fatto ricco.

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