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LXXVIII. Sul prender vendetta
LXXVII. L'Incostanza LXXIX. Osservazione sull'alterazione cagionata negli uomini dalle ricchezze

LXXVIII.


Sul prender vendetta.


Jamque irae pature.
Luc., Lib. II.          

Finalmente scoppiarono aperti gli sdegni.


Io vorrei, quando uno ha a fare vendetta per qualche torto che gli paja di avere, o che in effetto abbia ricevuto, ch’egli pensasse con qualche atto magnanimo, improvviso, notabile fra gli uomini, di far vergognare il suo nemico, e forse pentire del male da lui commesso. Ho veduti molti con la prontezza dello spirito e con una sola parola vendicarsi di una gravissima offesa, per la quale un altro sarebbe venuto alle bestemmie e all’armi; e se non avesse per allora potuto far altro, sarebbesi serbata in cuore una ruggine di parecchi anni, per cogliere un giorno e abbattere il suo avversario. Il qual modo di procedere ha piuttosto del bestiale che dell’umano, vedendo io che le bestie di rado coprono il rancore, e almeno se odiano, avvisano altrui coll’arricciare il pelo quando lo veggono, e dirugginando i denti e con certe vociacce dimostrano la conceputa ira; là dove gli uomini ricoprono la stizza con le guardature elementi, con le parole melate, e si mostrano sviscerati amanti di colui che vorrebbero avvelenare col fiato, fino a tanto che giunge quel dì in cui par loro di tirare la rete, coglierlo e schiacciargli il capo. Di tutti gli uomini tristi sono in superlativo grado tali coloro che non hanno forza, e per isfogarsi sono obbligati a far le maschere, e a coprire la loro viltà sotto il velame della malizia; imperciocchè temendo questi tali o la possanza dell’avversario, o le sante leggi dalla Giustizia, vanno lungamente mulinando in qual guisa possano scoccare l’archetto, senza che sia veduto il tiratore, per nascondersi dall’altrui vigore, o dal gastigo. Un caso avvenuto poco lunge di qua in una villa, mi ha dato materia a questa breve meditazione. Ora narrerò il fatto, acciocchè sappia ognuno donde io trassi questo argomento di morale.

Antonia e Menicuccio erano un pajo di amanti, i quali viveano in due villette alquanto discoste l’una dall’altra, giovani, ben fatti, e, secondo gente di loro condizione, anche molto agiati de’ beni di fortuna. Parea a Menicuccio di toccare il cielo col dito quando egli potea giungere a dir due parole agli orecchi dell’Antonia da solo a sola, e donarle un fiorellino, o due braccia di cordellina vermiglia, presentandogliela col miglior garbo che potea; ed ella, dall’altro lato accettandola con una certa fiammolina di verecondia che le copriva le guance, e con un alzare una spalla e chinare il capo in vece di altre parole, si tenea fortunata più di ogni altra fanciulla de’ suoi contorni, di avere un galante amatore e così liberale. Ma perchè l’Antonia era in effetto una bella fanciulla, e sapea vestirsi le feste molto meglio che le altre figlie del contado, e nel giuocare a mosca cieca o alla fava l’avea non so che di vivace e dello spiritoso, avveniva che alcuni giovani del paese la guardavano con occhio volpino, ed ella, non perchè non amasse Menicuccio, ma per una certa superbiuzza del vedersi ben voluta da molti, parea che l’avesse caro. Menicuccio ch’era una bestia, e non avea pratica di leggere nel cuore delle femmine, come hanno gli uomini periti nel mondo, i quali dividono il cuore di quelle in testo e annotazioni, e nell’uno leggono una cosa, e nelle altre un’altra, prendea tutto per testo, e non sapendo che fosse comento, si struggeva di rabbia; tanto che più volte fece lo ingrognato, e quando l’Antonia gli domandava il perchè, non volea prima rispondere, e poi diceva due o tre parole che non si sapea dove volessero cogliere (benchè dicono i maliziosi che l’Antonia l’intendesse benissimo, ma facea la goffa per non capire), e finalmente, non potendo più sofferire, le diceva ogni cosa tanto chiara, che non potendo più l’Antonia fingere ignoranza, l’entrava in tanta maladetta collera, che gli diceva un carro di villanie; tanto che in fine ella avea ragione. Menicuccio non si partiva da lei se non la vedea pacificata, e le domandava perdono, e conosceva in effetto che avea il torto; ma non sì tosto si era partito da lei, che di nuovo il tarlo della gelosia cominciava a rodergli il cuore, e indispettivasi da sè solo come se la fosse quivi stata presente, e parlava da sè a sè parendogli di parlare a lei. Di che la povera giovane avea la peggior vita del mondo, perch’egli ogni dì si querelava ora ch’ella avesse graziosamente trattato Ciapo, ora Meo, ora un altro; e comechè non fosse vero quanto gli parea di vedere, entrò in tanta frenesia ed in tanto dispetto, che rimproverandola sempre, le fece venir voglia di farsi sgridare a ragione. E adocchiato un certo Maso, ch’era un giovanone tant’alto, senza cervello e scimunito, perché ella intendea di fingere per fare una sua vendetta, e poi piantarlo a un vedere non vedere come un bufolo, e finalmente darsi al suo Menicuccio, la cominciò a ragionare spesso con lui, e a dargli parecchie buone parole, tanto ch’egli non sapea più spiccarsi da lei; e Menicuccio, che ogni cosa vedea, era per iscoppiar di dolore. Di giorno in giorno cresceva il sue dispetto; e non sapendo che farsi, pensò nell’animo suo di fare una memorabile vendetta, e di privar di vita l’Antonia; essendosi a poco a poco scambiato il suo grande amore in odio, e non potendo egli più patire di vederla. Ma volendo egli giungere alla fine del suo perverso desiderio, che altri non se ne avvedesse, fingeva più che mai fosse di esserne cordialmente innamorato, e querelavasi tuttavia, come era usato di fare, ch’ella avesse nuovi amanti; e si mostrava così appassionato, che l’Antonia ne pianse un giorno ella medesima, e gli giurò che la era innocente e pura come l’acqua di un rigagnolo che correva quivi appresso. Ma l’indurato Menicuccio avea già risoluto, e tanto potevano nell’animo suo le parole di lei, quanto un fischio.

Pensando egli dunque a condurre la trama al suo fine, si resse a questo modo. Essendo egli stato una e più volte alla città, e avendo veduto commedie e mascherate, gli venne in animo di comperare un vestito da Truffaldino; e mascheratosi con esso la notte, tanto che potesse esser veduto da alcuno, aggiravasi qua e colà, quasi fuggendo e nascondendosi dalla veduta altrui. Passati pochi giorni incominciò a vociferare che sotto a quel vestito andava occulto uno de’ rivali suoi, con intenzione di ucciderlo; e di tempo in tempo correva tutto trambasciato e quasi fuori di sè all’uscio dell’Antonia, dicendo ch’egli era stato inseguito dal nemico suo, e fingeva di tremare, ed era pallido come bossolo. Finalmente accrescendo la malizia, si sparò un giorno da sè solo una pistola ardendosi una parte del vestito, e mandò pel cerusico, acciocchè vedesse se gli erano state intaccate le carni: indi celatosi in un campo di granturco, o in qualche fosso, si rivestiva di nuovo de’ panni della maschera, e facea crescere intorno i sospetti; andando tuttavia alla casa dell’Antonia a significarle qualche nuovo spavento. Una notte fra le altre prese il malizioso e cattivo Menicuccio non so quali ossa di morto, e conficcatele a modo di croce all’uscio di lei, vi lasciò sotto una scritta, nella quale dicea alla fanciulla che la si guardasse molto bene da quel Truffaldino, il quale, vedendo che non potea uccidere Menicuccio, avea deliberato di uccidere lei, e già stava apparecchiato a darle la morte. Intanto non tralasciava egli mai di visitare l’Antonia, e sempre più si mostrava perdutamente innamorato di lei, giurandole che non si curava punto dell’essere ammazzato, purchè potesse pervenire ad averla per isposa.

Ma la mattina che succedette allo scartabello appiccato all’uscio con le ossa, trovandosi verso le tredici ore la villanella in un bruolo a cogliere non so quali frutte, la si vede a venire incontro il Truffaldino con un archibuso in atto di spararglielo addosso. Di che la povera giovane tutta spaventata, e quasi mancandole il fiato in corpo, volse le spalle, e si diede a fuggire gridando: Accorr’uomo; e molto più alzando le voci, quando si udì dietro alle spalle lo scoppio dell’archibusata, scaricata contro di lei dalla maschera, benchè per sua buona ventura il colpo riuscisse vano. La madre dell’Antonia, ch’era femmina di gran cuore, udito lo strepito dell’archibuso, e le strida della figliuola che andavano al cielo, dato mano a due pistole, ed uscendo in furia, chiamò anch’ella genti, prendendo maggiore animo quando vide che da un osteria quindi poco lontana molti concorrevano in soccorso dell’Antonia e di lei. In questo tempo il pessimo Menicuccio, vedendosi mal parato, e comprendendo ch’era venuto il punto che la sua ribalderia sarebbe stata conosciuta da ogni uomo, si calò incontanente in un fosso, e quivi dentro lasciato il vestito e l’archibuso, pensava al modo di salvarsi. Ma la madre che l’avea veduto a discendere, accennando ad ognuno il luogo, e tutti invitando ad accorrere dove si era calato il traditore, lo fece per modo sbigottire con le sue voci, che salendo quatto quatto di là, si nascose in un campo folto di biade, sperando, finito il romore, di poter quindi trarsi in salvo. Ma non giovò, perchè in quel modo appunto che i cacciatori e i cani assediano un luogo dove sanno che sia accovacciata una lepre, fu accerchiato il campo intorno intorno; e tanto fecero que’ villani, che finalmente lo presero, e venne in carcere condotto, dove confessò di subito la sua reità, e ch’egli avea voluto con tante finzioni fare vendetta, per gelosia, dell’Antonia, e privarla di vita.

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