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XIV.
L'Avaro punito
XIII. Ladro scoperto in una chiesa XV. Nuovo modo di educazione

XIV.


L’Avaro punito.


Ora dirò una vera novelletta accaduta a’ passati dì ad un uomo, il quale ebbe una giusta vergogna della sua spilorceria. Non bastando a cotesto uomo ristretto l’avere molti danari e facoltà, ma volendo metterne insieme di nuovi, e non potendo, com’egli vorrebbe, vivere di rugiada come le cicale, pensa ogni giorno in qual modo possa fare ad essere invitato a pranzo da’ suoi conoscenti, e sempre ha la mente a qualche bella inventiva per guidare il ragionamento a questo fine. Avvenne dunque che, riscontratosi egli ad un uomo dabbene più volte, e non sapendo come stessero i fatti suoi, o non curandosi di saperli, ogni volta gli ritoccava ch’egli avrebbe mangiato volentieri seco, e che la sua compagnia gli andava molto a sangue, e altre siffatte magre barzellette, perchè ne lo invitasse. Ma l’uomo dabbene che aveva il cuore largo e le forze ristrette, ora con una scusa ora con un’altra cercava di togliersi questa seccaggine dattorno. Stanco finalmente un dì, e voglioso dall’altra parte di correggere l’amico del suo difetto, gli disse ch’egli era pronto a riceverlo seco a pranzo tal dì purch’egli si fosse appagato di stare a mensa con la sua numerosa famiglia. Di che si mostrò l’altro contentissimo, e ne lo ringraziò caramente, attendendolo stabilito giorno, come un innamorato quello delle nozze. Ed ecco già giunto il beato dì, ed eccolo a casa dell’amico, ove fattaglisi incontro la padrona, gli fece subito togliere giù delle spalle un buon mantello di scarlatto, e scambiare la parrucca in una berretta, perchè fosse più agiato, e fecelo entrare in una stanza dove ardeva un buon fuoco. Di là a poco si posero a sedere a mensa, e furono undici. Bello fu l’ordine e squisite le vivande, e soprattutto si fecero molti brindisi lietamente, chè vi era abbondanza di buon vino di diverse qualità. Immagini ognuno se il novello ospite trionfava e s’egli mettea nel sacco del corpo ogni cosa, pensando che nulla gli costava; anzi dice qualche malizioso ch’egli cercò di trarsi la fame e la sete anche per quella sera e pel giorno avvenire. Ma comunque si andasse la cosa, venne l’ora della partenza, e molti erano i ringraziamenti, perchè non vagliono danari, quando il padrone della casa gli presentò la polizza dello speso. Presela prima il cattivello per uno scherzo e leggevala per ridere; ma dicendogli pure il padrone con viso fermo che dovea pagare, imbiancò nell’aspetto come uomo morto, e gli tremavano le mani come ad un paralitico; massime quando intese che per fargli quel trattamento eragli stato posto in pegno il mantello di scarlatto. Non morì e non rimase vivo; ma pur finalmente mettendo le mani alla borsa, come se l’avesse messe sopra un aspide, con le lagrime agli occhi noverò i quattrini. Presegli il padrone, e sorridendo veltosi a lui, glieli restituì, e baciandolo in fronte gli disse: In casa mia io non sono ostiere; eccovi il mantel vostro e i danari; ma ciò siavi per farvi avvedere che avendo voi di che vivere per voi e per altrui, siete beffato da ognuno, chè come un accattapane andate limosinando un pranzo. Lo spilorcio lo ringraziò, non so se dell’avviso del pranzo e de’ restituiti danari, ma credo di questi ultimi, perchè andò procacciandosi un nuovo pranzo pel vegnente giorno.

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