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XXVIII
AL MELOGRANATO
O piropo de’ campi,
ch’emulando la rosa
nel tesor di natura ardi ed avvampi,
e con bocca focosa
par che muto ragioni, e quante belle
hai faville d’amor, tante hai favelle;
tu con vago cimiero,
ch’hai di porpora tinto,
sorgi in campo di fior molle guerriero;
e di foco dipinto
sfidi il gelido verno, e mentre t’armi,
ne le spine ch’hai tu, dimostri l’armi.
Tu, fenice de’ colli,
col natale de l’anno
rinascendo piú bello, il capo estolli
ove i rami ti fanno
glorïoso corteggio, e in bel lavoro
la spoglia hai d’ostro e la corona hai d’oro.
Sopra trono di frondi
reggi popol minuto
di vermigli granelli orbi giocondi;
a ragion t’è dovuto
il bel nome di re, ché in vari segni
ne le celle ch’hai tu dimostri i regni.
Per dar vita a’ tuoi parti,
che son molli rubini,
pellicano d’amor, t’apri in due parti,
e ’n due brevi confini,
da materna pietá venendo meno,
mostri lacero il fianco, aperto il seno.
In te schiera volante
di solleciti Amori
sugge d’aureo licor manna stillante;
in te Zefiro e Clori
scherzan placidi e belli, e intorno al viso
ch’in tal forma cangiasti, aprono un riso.
Quanti piccioli e belli,
grazïosi e stillanti,
chiudi tu globi dolci, aurei granelli;
tanti cori d’amanti,
in compendio bellissimo ristretto,
possiede Lilla mia nel bianco petto.