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L’amico del quieto vivere
È un uomo come tutti gli altri.
Ha la solita età, la solita statura, gli occhi soliti, la solita bocca, i capelli del solito colore.
Un solo segno particolare: vuoi trovarsi d’accordo con tutti e non compromettersi con nessuno.
Da scapolo aveva nome Tito Livio; ma poi si ammogliò, e dopo due anni di matrimonio i suoi concittadini, adunatisi per urgenza, gli cambiarono il nome di Tito Livio in quello di Cornelio Tacito, e così fu accomodata ogni cosa.
Cornelio ha paura dei litigj e delle questioni, come le persone sudate hanno paura delle correnti d’aria.
Se qualcuno, nella folla, gli pesta un piede, o, senza volerlo, gli dà una gomitata nello stomaco, Cornelio si volta subito e dice tutto mortificato:
— «Scusi tanto, per carità: le ho fatto male?».
Ogni volta che egli ha da fare con persone, delle quali non conosce a fondo l’umore politico o religioso, il suo primo espediente è quello di ricorrere alle cinque vocali.
Per esempio:
— Ha veduto, signor Cornelio, i giornali di stamani?
Cornelio — Mi pare, ma, non oserei giurarlo.
— C’è una notizia molto brutta!
Cornelio — Ah!... (sull’aria dello sbadiglio).
— Si dice nientemeno che il direttore di un giornale cattolico sia scappato per aver convertito alla fede la nipote di un parroco.
Cornelio — Eh!... (soffiandosi il naso con enfasi).
— E questo giornalista è un prete!
Cornelio — Ih!...
— Che ci erede lei?
Cornelio — Oh!...
— Sarebbe uno scandalo!
Cornelio — Uh! —
E così, con queste cinque vocali foderate di un’acca e di un punto ammirativo e modulate in vario modo e con varia intonazione, Cornelio si tira fuori dal pericolo di una imboscata.
Anche in arte, anche in letteratura, anche in ragionamenti accademici, Cornelio serba sempre lo stesso metro e se ne trova bene.
Oggi, per dirne una, c’è una questione vivacissima sul merito di un quadro. Chi lo mette alle stelle chi alle stalle.
— E lei, signor Cornelio, che cosa ne pensa di quel quadro?
Cornelio — A proposito di quadri, vorrei sapere perchè si chiamino quadri anche quando sono tondi o bislunghi.
— È stato al teatro! Le piace la musica dell’Opera nuova?
Cornelio — Non la temo!
— Lei che può saperlo, è vero o non è vero che il cassiere della banca è fuggito in Egitto?
Cornelio (con l’accento dell’uomo erudito) — La prima Fuga in Egitto, di cui parla la storia, è quella di San Giuseppe: ma San Giuseppe, almeno per quanto ne dice Rénan, non era cassiere.
— Ha saputo, signor Cornelio, le voci che corrono?
— Lasciamole correre; alla fine si fermeranno.
— Il conte Dagrifoglio avrebbe tentato di uccidersi.
Cornelio — Ah! se il suicidio non fosse una viltà!... (sull’aria dell’Ah! «se tu dormi svegliati». Disgraziatamente io sono un uomo di coraggio, e se domani mi bruciassi il cervello, me ne vergognerei per tutta la vita!
— E i motivi di questo tentato suicidio li conosce?
Cornelio — Senza motivi, diceva il gran Rossini, la musica sarebbe un trattato d’Algebra cadenzata.
— Ma lasciamo questi argomenti malinconici e parliamo un po’ di politica interna; che cosa c’è di nuovo?
Cornelio — Ho sentito dire che i Fiorentini hanno cacciato il Duca d’Atene.
— La notizia un po’ vecchia. Vorrei qualche cosa di più recente. Che cosa dice lei di questa ricomparsa dell’oro sulle nostre piazze?
Cornelio — Io dico che l’oro è un metallo, e mi par d’aver detto anche troppo! A buon intenditor poche parole!...
— Non ci facciamo illusioni! L’oro verrà: ma dopo qualche mese ritornerà di dove è venuto: lo crede lei?
Cornelio — Si può sempre tornare in quei luoghi, dove non si son fatte cattive azioni!
— Scusi, signor Cornelio: ma qui si scherza o si parla sul serio?
— Per me è indifferente; io duro la stessa fatica. —