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L’onorevole Cenè Tanti
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L’onorevole Cenè Tanti




Lo conoscete di persona l’onorevole Cenè Tanti, deputato al Parlamento italiano?

Figuratevi un uomo che può avere tutte le età; dai trent’anni fino ai settanta inclusive, e anche qualcheduno di più. Oggi è alto di statura, domani è piccolo: oggi è grasso, domani è magro: oggi ha i capelli o neri, o biondi, o castagni: domani può averli benissimo o bianchi o brizzolati, o dipinti con tutti i colori della più brillante tavolozza veneziana. Qualche volta si infischia perfino d’ogni capigliatura autentica e naturale, e ostenta pubblicamente il coraggio della propria parrucca.

La parrucca, in molti casi, e un’opinione come un’altra, e quando è pettinata bene, bisogna rispettarla.

L’onorevole Cenè Tanti e io ci conosciamo fin da ragazzi. Siamo stati insieme scolari di università: lui studiava legge, matematiche, medicina, teologia e biliardo: e io stavo a vederlo studiare. A corso finito, prese gli esami di biliardo e fu laureato in utroque, cioè, in birilli e in carambolo francese.

Nemico dell’ozio, di quel dolce far niente che è una delle grandi piaghe del popolo italiano, si ammogliò giovanissimo, e, nel volgere di pochi anni, la diletta compagna dei suoi giorni e specialmente delle sue notti, gli fece tre maschi, due femmine e mille altre inezie, che non entrano nella cornice di questo quadro biografico.

I suoi concittadini, o ingrati o spensierati, non avevano mai pensato a lui; finchè un bel giorno si sparse la notizia che il signor Cenè Tanti, per aver male amministrato i proprj interessi, aveva finito col dar fondo alla piccola eredità lasciatagli dai suoi proavi.

A questa notizia strepitosa, tutti gli elettori politici del suo collegio si adunarono per urgenza, e con quel tatto elettorale, che non s’insegna e non s’impara.... mai, dissero subito a una voce:

— Ecco il deputato che ci vuole per noi! Ecco l’uomo che, per la sua esperienza, potrà, meglio d’ogni altro, tutelare e difendere i nostri interessi. —

E da quel momento in poi, lo covarono in petto come si covano i buoni candidati.

Venuto il tempo delle ultime elezioni generali, accadde che una sera il mio onorevole amico andò a letto, che stava benissimo: ma la mattina dopo, fosse effetto d’indigestione o altro, fatto sta che si svegliò trasformista.

— Pùrgati subito e ti passerà — gli disse la moglie, credendo nella sua ingenuità che il trasformismo fosse una malattia intestinale.

Il marito voleva sorridere, ma si riprese a tempo.

Dopo un’ora si leggeva su tutte le cantonate della città un programma elettorale concepito in questi termini concisi, ma vibrati e leali:

«Elettori!

«Io mi presento a voi per dirvi francamente: non mi eleggete.

«Eleggendomi, sarebbe lo stesso che costringermi ad accettare. Non potrei rifiutare questo sacrifizio al mio paese e all’Amministrazione delle strade ferrate del Regno.

«Voi, lo so, cercate per vostro rappresentante una persona onesta. In questo caso c’è poco da scegliere: gli onesti in Italia non siamo che due: io e un altro di cui non ricordo il nome.

«Se finora non mi sono presentato come candidato del mio collegio, l’ho fatto per una malintesa modestia. La modestia, pur troppo, è una tara che gli uomini di spirito fanno a se medesimi, e il Vangelo ha ragione là dove dice: — beati i poveri di spirito che avranno il regno de’ cieli, ma non saranno mai deputati sulla terra.

«Ricordatevi, elettori, che l’Italia in questo momento ha bisogno di uomini serj: — e io non rido mai.

«I miei principj li conoscete.

«Ho succhiato col latte la monarchia costituzionale: ma il colpo di Stato non mi spaventa e guardo la Repubblica con l’occhio sereno del filosofo, che non soffre di pregiudizj nè di convinzioni ostinate.

«Nemico delle piccole chiesuole, ammiro i grandi uomini politici d’ogni partito. I nostri Ministri non li capisco, ma li venero: l’ignoto mi ha sempre destato un senso di profondo rispetto.

«Elettori! Scegliendo me a vostro deputato, farete il bene del paese e provvederete ai vitali interessi del collegio.

«Cenè Tanti».


Questo programma, che aveva sopra tutti gli altri il gran vantaggio di essere limpido e genuino, gli procacciò moltissime simpatie: tant’è vero che il giorno della votazione, il suo nome con maraviglia universale uscì vittorioso dall’urna.

E bisogna rendergli questa giustizia: il più maravigliato di tutti fu lui.

Oggi l’onorevole Cenè Tanti siede, o per dir meglio, dovrebbe sedere a Monte Citorio fra i rappresentanti dal paese.

Non è un grande oratore, non è un forte ingegno, non è un bravo amministratore, non è un uomo politico, non è un carattere fermo, non è un lavoratore assiduo e di buona volontà, ma in compenso è un gran galantuomo, d’un’onestà senza pari, un uomo che va per la sua strada, che bada ai suoi interessi e non si mischia punto negli interessi degli altri: nemmeno di quelli del suo paese e del suo collegio. È, insomma, uno di quei deputati, come ce n’è tanti nel nostro Parlamento.

Andò a Roma il giorno dell’apertura solenne della sessione e prestò il suo bravo giuramento con molte disinvoltura; perchè il mio onorevole amico, quando si tratta di prestare, presta più volentieri cento giuramenti, che cento lire (per intendere questa squisita delicatezza d’animo, bisogna aver prestato cento lire, senza la speranza di riaverle).

Ma la sera stessa di quel giorno, ripartì colla strada ferrata per tornarsene subito a casa sua, perchè egli crede e ha creduto sempre che il primo dovere di un buon rappresentante della nazione sia quello di dormire ogni sera nel proprio letto.

Probabilmente ritornerà a Roma una seconda volta verso la metà d’agosto; e se in quel tempo la Camera sarà in vacanza, tanto peggio per lei. Basta al mio onorevole amico di poter dire agli elettori: — Il mio dovere l’ho fatto, e la mia coscienza è tranquilla! —

Del resto, nulla di più naturale.

Se lo domandate a me, «il Deputato che non va alla Camera» m’è parso sempre il vero tipo del Deputato indigeno, nostrale, prettamente italiano.

Perchè è bene ricordarselo: l’Italia è la Terra promessa della fiaccona. Qui non germogliano le salde energie, le volontà tenaci e le coscienze duramente temperate all’adempimento del proprio dovere.

In questa terra benedetta da Dio fioriscono più che altro le piccole vanità, le buone intenzioni e le arance di Palermo: e se queste tre cose bastassero da sè sole a fare la grandezza di un paese, l’Italia, lo dico con nobile orgoglio, sarebbe da molti anni il primo paese del mondo.



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