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Odi - Al Serchio
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AL SERCHIO


O Serchio nostro, fiume del popolo!
tu vai sereno, come un gran popolo,
          lasciate le placide cune,
          4muove all’officina comune;

le molte cune, tremule e garrule
come sorgenti sotto i lor alberi,
          lasciate alle floride donne,
          8cammina al lavoro in colonne:

cammina, ed empie d’un lungo murmure
le vie, per mano tenendo i piccoli
          che vanno garrendo alle scuole,
          12com’anche le lodole, al sole:

al sole! al sole! come le lodole
che, avanti ancora l’alba, lo cercano,
          che dalla purezza sublime
          16dei cieli lo vedono prime.

Tu vai; man mano giungi, e con ilare
frastuono inondi l’arduo vestibolo;
          poi, ecco, tu frangi le messi,
          20tu fili, qua torci, là tessi;


là picchi il maglio sopra l’incudine
fornendo il bruno ferro dei vomeri,
          sante armi alla sola pia guerra
          24dei ruvidi eroi della terra;

là crei l’ardente soffio che illumina
qualche castello lungi sul vertice
          del monte, per l’acqua che adduce
          28dall’alto, rendendogli luce.

Lavoratore lieto, coi giovani
figli, Ania, Lima, Fraga, le Turriti,
          gigante con figli giganti,
          32tra il lungo lavoro tu canti.

Sei l’avvenire. Tra le casipole
bianche, con vive siepi, col proprio
          suo caldo ciascuna e suo rezzo,
          36tu sei la gran vita di mezzo.

Va! In vano, o eterno fiume dei secoli,
l’Oggi, il pigro Oggi, ti dice: — I muscoli
          che zappino il nostro, il tuo bene,
          40per te! ma per me le tue vene! —

Va, va, Domani certo e ceruleo!
Te vidi, quando sceso, negli umili
          tuoi giorni di magra, dal monte,
          44parevi arrossire del ponte:


del ponte grande, tu sottil rivolo,
roseo per una nuvola rosea,
          cui chiesero, il giorno, le polle,
          48che le ravvenasse, e non volle:

tonò su Tiglio, tonò su Perpoli,
velò il meriggio tinnulo all’aride
          cicale che tacquero, nera
          52passò: sorrideva, la sera:

la sera, o Serchio, mentre sul candido
tuo greto fitte squittian le rondini,
          dicevi: «Oh! in quest’afa d’estate
          56le mie spumeggianti cascate!

Nè bacio il piede bianco dei gattici,
ma su le ghiaie lucide scivolo,
          scansando mulini e gualchiere,
          60chè ad opra m’ha preso il podere.

Vo mogio mogio: povero a povere
genti discendo, piccolo a piccoli
          poderi che sembrano aiuole,
          64ma che ora inaspriscono al sole.

Son donne e vecchi soli, e mi chiamano
ne’ solchi nuovi, perchè v’abbeveri
          quel lor sessantino che muore
          68prim’anco di mettere il fiore.


Ora, un po’ d’acqua chiesi alla Pania,
alle mie buone polle di Gangheri,
          per que’ poveretti, che, uguanno
          72non mesco, non desineranno.... »

Chi mai può dirti, fiume che palpiti
come il buon cuore per la buon’opera:
          — Perchè tu non operi il bene,
          76mi prendo per me le tue vene — ?

O Serchio nostro, fiume del popolo,
io t’udii, forte come un gran popolo
          che sopra il conteso avvenire
          80va, l’ora che volle, ruggire.

Torbido, rapido, irresistibile,
correvi all’ombra di nere nuvole,
          portandoti in cima del flutto
          84le livide folgori e tutto:

tutto! anche quello ch’è tuo, ch’è opera
tua! Ma di tutto, fiume, eri immemore
          tu! fuor che di precipitare
          88laggiù nell’abisso del mare.

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