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II
Si lamenta della durezza della donna sua, che un tempo lo aveva fatto
sperar bene: ha fiducia però ch'ella un giorno muti pensiero.
Oi, amadori, intendete l’affanno
doglioso, che m’avene,
che mi convene — una donna servire
ed ubidire — sovente;
5però ch’io l’ho’n talento
e penaci la mente
e ’l cor ne sta in tormento;
e li tormenti e li gravosi dogli,
ch’io per suo amor patisco.
10Non mi faria Tom tanta guisa noia,
s’io da lei gioia — avesse
in vista od in sembiante;
ma mostrami duresse
quando le son davante.
15Davante che ’l meo core s’aprendesse
del suo dolze piagere,
mostravami di darmi intendimento.
Or m’ha messo ’n arsura,
si ch’io non ho possanza;
20di me non mette cura.
Vede se fa fallanza!
Ma non falla tanto
quella per cui canto,
ca s’io fosse santo,
25sanza il suo volire,
ch’io no lasasse
per ella non pecasse,
s’ella m’amasse
o mostrasse — piacire.
30E messire — Ivano
e ’l dolze Tristano
ciascun fue solano
ver’me di languire.
S’io languisco,
35non perisco,
ma nodrisco — in disianza;
vo penando
e pensando
e chiamando — pietanza:
40come nave,
che, soave,
che sta in grave — tempestanza.
Cotanto amo,
che pur bramo
45d’incarnare infra l’amore:
sto ne’ ramo
più ch’Adamo
per lo pome de l’erore.
Né non dico,
50né disdico,
né non faccio dimostranza
né amico,
né nemico
per la mia dolze speranza.
55S’eo la sguardo,
’ncendo ed ardo,
tanto temo no le spiaccia;
si ne ’mbardo
ca tuto ardo,
60par che tuto mi disfaccia.
Muovi, dansa,
per amansa
di quella gentil donzella:
di’ che cansa
65la speransa,
se da me più si rubella;
che mi tiene
’n tante pene
ch’io non posso più durare;
70ma la spene
mi mantiene,
per ch’io spero di cantare.