< Opere di Raimondo Montecuccoli
Questo testo è incompleto.
Considerazione su gli scritti inediti di Raimondo Montecuccoli
ConsiderazioneV ConsiderazioneVII

NOTE E OSSERVAZIONI

NOTE ALL'ELOGIO DEL PARADISI

Aggiungeremo a questa nota ciò che i tempi forse non concedeano di dire all'autore dell'elogio. Odoardo duca di Parma non osò, come scrive il Paradisi, ma fu forzato ad invadere le terre pontificie. Questa guerra fra i principi italiani ebbe origine come mille altre dalla fraudolente avidità de' papi. I due cardinali Barberini nipoti di Urbano VIII pretendevano che il duca Farnese vendesse alla loro famiglia alcune terre di Castro. Negò il duca; e papa Urbano per compiacere alla vendetta de' nipoti abrogò le prerogative e i diritti conceduti a' Farnesi dagli altri pontefici. Il duca ricorse al giudizio delle armi, poichè vide santificata l'ingiustizia; ed ebbe alleati la repubblica Veneta e i duchi di Modena e di Toscana. Vedi la Storia del Visconte di Turenna, scritta dal Ramsay, lib. 2. (pag. xxiv).

Sembra a noi troppo sommariamente toccata questa ritirata celebratissima anche dagli scrittori avversari, e principio della fama guerriera del Montecuccoli. Il conte d'Holtzapel, conosciuto dagli storici di quel secolo sotto il nome di Pietro Melandro, perì nell'assalto datogli dal Turenna. Gl'imperiali fuggivano: il duca Ulrico di Wirtemberg, maggior generale dell'esercito, si trincierò su la sponda del fiumicello Schmult a Zusmarhausen presso Ausburgo con sette squadroni e tre battaglioni: sostenne per un giorno intero le artiglierie del Turenna; vide intrepidamente perire mezze le sue schiere, e cangiò cinque cavalli uccisi sotto di lui. Per tanta costanza d'Ulrico, il Montecuccoli ebbe campo di riordinare le schiere sbaragliate e fuggiasche, e combattendo sempre con la sua retroguardia contro i francesi e gli svedesi vittoriosi, si ritirò con pochissimo danno sotto il cannone d'Ausbourgo. L'eroismo del duca e la sapienza del Montecuccoli sono consegnati nella storia del Turenna, e nelle memorie che questo eroe lasciò, ove parlando del capitano italiano scrisse: On ne peut pas se mieux comporter qu'il faisoit dans cette rétraite ( Mem. lib. 1, an. 1648). E un ufficiale francese testimonio oculare aggiunge: On loua beaucoup l'intrépidité de Montecuccoli et du duc de Wirtemberg qui essayerent trois combats dans un même jour, et perdirent leur général, sans être effrayés ni par la difficulté de la rétraite, ni par le nombre de leurs morts, ni par la perte de leur artillerie et de leur bagage (Memorie inedite citate dal caval. Ramsay, nella Storia del Turenna, lib. 2). A torto l'oratore asserisce essere stati in quell'anno al Montecuccoli confidati gli affari di Cesare; perchè, dopo la morte di Pietro Melandro, fu inviato comandante supremo a quell'esercito il principe Piccolomini sanese: nè so che il Montecuccoli abbia comandato superiormente prima della guerra di Transilvania l'anno 1657. (pag. xxvii )

Raimondo non volle e per l’onor suo e per l’onore delle armi cesaree sottostare all'elettore di Brandeburgo che presumeva di capitanare tutti gli alleati. Però senza sciogliersi palesemente dalla confederazione, comandava i proprii eserciti emancipandoli dal consiglio de' principi alemanni. Ma il principe Lobkowitz, ministro di Leopoldo I, vinto o da maneggi di Brandeburgo o dalla propria invidia, tentò di calunniarlo presso l'imperadore: non riuscendo, foggiò una lettera col sigillo imperiale ordinando al conte di non combattere. Però il Montecuccoli si finse infermo e dimorò a Paderbona, finchè dagli alleati e da' nemici che si meravigliavano di quell'ozio fu costretto ad andare a Vienna. Si scoprì la frode del Lobkowitz; fu da prima punita e poco dopo perdonata. Ecco le ragioni vere, memorate in tutte le storie delle guerre di Luigi XIV, per cui il Montecuccoli lasciò gli eserciti confederati; ragioni non ignote al Paradisi uomo erudito, ma dissimulate forse perchè offendevano e la corte d'Austria potente in Italia a que' tempi, e l'avo di Federigo di Prussia a cui l'elogio presente fu dedicato, e a cui l'autore dà nell'altra pagina molte lodi smentite dalla posterità, la quale nè teme nè spera. Federigo fu grande capitano, astuto politico, ingiusto principe, scrittore mediocre e filosofo ipocrita. Frattanto, mentre Raimondo stava lontano dagli eserciti, gli eserciti, comandati dal duca di Lorena e dal conte Caprara, furono dal Turenna sconfitti a Sintzheim nel Palatinato; poi comandati dal duca di Bernounville, furono dal Turenna battuti a Ensheim presso Strasburgo. Opposero finalmente al Turenna i principi alemanni 60000 uomini; e il Turenna con un esercito di 30000 li costrinse a perdere il campo nelle pianure di Colmar ed a ripassare il Reno. Dopo queste calamità dell'impero germanico molti principi si sciolsero dalla lega, e la salute dell’Austria fu riposta in un piccolo esercito comandato dal Montecuccoli che tornò dall'esilio come Camillo. (pag. xxxviii )

Da un'altra lettera di Madama de Sévigné appare quanto il Turenna reputasse il Montecuccoli: « Quand Turenne eut fait passer à loisir ses troupes, il se trouva content, et dit à Mr. de Royes: “Tout de bon; il me semble que cela n'est pas trop mal, et je crois que Mr. de Montecuccoli trouveroit assez bien ce que l'on vient de faire”. Il est vrai que c'etoit un chef-d'oeuvre d'habileté ». (Lettera 206, su la fine). (pag. xliii )

NOTE AGLI AFORISMI DELL'ARTE BELLICA

«La guerra è uno stato d'eserciti offendentisi in ogni guisa, il cui fine è la vittoria ».

Tutte le versioni e le edizioni da noi vedute hanno azione; solo la latina in margine di mano antica status: e questa definizione del Montecuccoli è tratta dal Grozio: Bellum est status per vim certantium (lib. I cap. I). L'Autore non dà qui se non la guerra in azione incominciata e finita dalla milizia, onde per non oltrepassare i limiti dell'arte omette il fine politico della guerra, che è la vittoria pe' capitani, la conquista pe' principi e la pace pe' popoli. (cap. I, 1)

«Si assoldino gli uomini non già della feccia del volgo, né a caso; ma si vogliono scegliere (1) tra' migliori che sieno sani, arditi, robusti, sul fiore dell'età, induriti a' disagi de' campi e delle arti faticose, non infingardi, non effeminati, non viziosi (2). Gli arrolati fanno lor mostra e prestano il giuramento, ove principalmente promettono fedeltà, ubbidienza e valore»(3).

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