< Oreste (Euripide - Romagnoli)
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Euripide - Oreste (408 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1930)
Parodo
Prologo Primo episodio
Questo testo fa parte della raccolta I poeti greci tradotti da Ettore Romagnoli

Entra il Coro.

corifea

Strofe I
Cheta sta, cheta, non fare strepito,
del tuo calzare lievi sian l’orme.

elettra
alle sue compagne

Lungi dal luogo state ov’ei dorme.

corifea

Ecco, ai tuoi detti ottémpero.

elettra

Sia come l’alito di giunco tenue
su la sampogna tua voce lene.


corifea

Odimi, come di canna fievole
levo la voce.

elettra

                                   Cosí va bene.
Avanza, avanza senza rumore, senza rumore.
E dite perché qui veniste: il misero
alfine giace, immerso è nel sopore.

corifea

Antistrofe I
Qual’è il suo stato, mia cara? Diccelo.

elettra

Che mal, che bene dir posso? Poco
respira, esala gemito fioco.

corifea

Che mai, che dici, o misera?

elettra

Tu gli dài morte, se dal suo ciglio
scuoti il dolcissimo del sonno oblio.


corifea

Deh, sventurato, che fato orribile,
che sorte orribile t’inflisse un Dio!

elettra

Ingiusto ingiusto parlò il fatidico Dio dell’ambage,
allor che a noi dal tripode di Tèmide1
impose la materna orrida strage.

corifea

Strofe II
Vedi? Sotto il suo manto il corpo s’agita.

elettra

Con le tue grida, l’hai
tu risvegliato, o misera!

corifea

Che dormisse io pensai.

elettra

Questo frastuono smettere
non vuoi, da questo tetto
lontano il tuo pie’ volgere?


corifea

Se dorme!

elettra

                                   Il vero hai detto. —
O sacra, o sacra notte,
che il sonno doni ai miseri mortali,
dalle tartaree grotte
ai tetti d’Agamènnone
volgi, deh, volgi l’ali.
Ché noi, fra le sciagure e fra gli spasimi
perduti siam, perduti. — Oh, quale strepito?
Cara, vuoi far silenzio?
Della tua bocca il murmure canoro
rattieni, ch’ei del sonno goda il dolce ristoro.

coro

Antistrofe II
Dí: qual sarà di sue sciagure il termine?

elettra

Quale esser può? La morte:
ché cibo ei non desidera.

coro

Ben chiara è la sua sorte.


elettra

Ci sterminava Apòlline,
Oreste e me spingendo
il matricidio a compiere.

coro

Fu giusto atto, ed orrendo.

elettra

Uccidesti, ed uccisa
fosti, o mia madre: il tuo consorte, e questi
tuoi figli, ch’ora, a guisa
di cadaveri giacciono, a sterminio adducesti.
Ché tu sei fra i defunti; e del mio vivere
passa la piú gran parte in grida, in gemiti,
ed in notturne lagrime.
Viver, misera me, dovrò in eterno
senza nozze conoscere, senza affetto materno.

  1. [p. 282 modifica]Dal tripode di Tèmide, è il tripode già posseduto dalla dea Tèmide, dal quale Apollo emanava in Delfo gli oracoli.

Note

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