Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Prologo | Primo episodio | ► |
Entra il Coro.
corifea
Strofe I
Cheta sta, cheta, non fare strepito,
del tuo calzare lievi sian l’orme.
elettra
alle sue compagne
Lungi dal luogo state ov’ei dorme.
corifea
Ecco, ai tuoi detti ottémpero.
elettra
Sia come l’alito di giunco tenue
su la sampogna tua voce lene.
corifea
Odimi, come di canna fievole
levo la voce.
elettra
Cosí va bene.
Avanza, avanza senza rumore, senza rumore.
E dite perché qui veniste: il misero
alfine giace, immerso è nel sopore.
corifea
Antistrofe I
Qual’è il suo stato, mia cara? Diccelo.
elettra
Che mal, che bene dir posso? Poco
respira, esala gemito fioco.
corifea
Che mai, che dici, o misera?
elettra
Tu gli dài morte, se dal suo ciglio
scuoti il dolcissimo del sonno oblio.
corifea
Deh, sventurato, che fato orribile,
che sorte orribile t’inflisse un Dio!
elettra
Ingiusto ingiusto parlò il fatidico Dio dell’ambage,
allor che a noi dal tripode di Tèmide1
impose la materna orrida strage.
corifea
Strofe II
Vedi? Sotto il suo manto il corpo s’agita.
elettra
Con le tue grida, l’hai
tu risvegliato, o misera!
corifea
Che dormisse io pensai.
elettra
Questo frastuono smettere
non vuoi, da questo tetto
lontano il tuo pie’ volgere?
corifea
Se dorme!
elettra
Il vero hai detto. —
O sacra, o sacra notte,
che il sonno doni ai miseri mortali,
dalle tartaree grotte
ai tetti d’Agamènnone
volgi, deh, volgi l’ali.
Ché noi, fra le sciagure e fra gli spasimi
perduti siam, perduti. — Oh, quale strepito?
Cara, vuoi far silenzio?
Della tua bocca il murmure canoro
rattieni, ch’ei del sonno goda il dolce ristoro.
coro
Antistrofe II
Dí: qual sarà di sue sciagure il termine?
elettra
Quale esser può? La morte:
ché cibo ei non desidera.
coro
Ben chiara è la sua sorte.
elettra
Ci sterminava Apòlline,
Oreste e me spingendo
il matricidio a compiere.
coro
Fu giusto atto, ed orrendo.
elettra
Uccidesti, ed uccisa
fosti, o mia madre: il tuo consorte, e questi
tuoi figli, ch’ora, a guisa
di cadaveri giacciono, a sterminio adducesti.
Ché tu sei fra i defunti; e del mio vivere
passa la piú gran parte in grida, in gemiti,
ed in notturne lagrime.
Viver, misera me, dovrò in eterno
senza nozze conoscere, senza affetto materno.
- ↑ [p. 282 modifica]Dal tripode di Tèmide, è il tripode già posseduto dalla dea Tèmide, dal quale Apollo emanava in Delfo gli oracoli.