< Oreste (Euripide - Romagnoli)
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Euripide - Oreste (408 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1930)
Quarto episodio
Terzo stasimo Quarto stasimo
Questo testo fa parte della raccolta I poeti greci tradotti da Ettore Romagnoli


coro

Tuo fratello, ecco, qui si trascina,
condannato dal voto alla morte,
e con lui, sopra gli uomini tutti
fedelissimo, Pilade, simile
a fratello, le inferme sue membra
sorregge, ed a paro sospinge
il piede con lui, per assisterlo.
Entrano Oreste e Pilade.

elettra

Ahimè! Piango, perché presso alla tomba
io già ti veggo, ed al funereo rogo,
fratello mio. Di nuovo ahimè! Vedendoti
l'ultimissima volta, il cuor mi manca.

oreste

Rassegnarti non vuoi, tacere, smettere
i donneschi ululati? È certo misera
la nostra sorte, ma patirla è d’uopo.


elettra

E come tacerò? Veder la luce
del sole, piú non c’è concesso, miseri.

oreste

Anche tu non uccidermi: m’uccisero
assai gli Argivi, ahimè! Cessa dal piangere.

elettra

Per la tua gioventú, pel fato acerbo,
misero te! Viver dovresti, e muori.

oreste

Non m’irretir di codardia, spingendo
il ricordo dei mal’ sino alle lagrime.

elettra

Morremo: tanto mal come non piangere?
Per tutti è triste abbandonar la vita.

oreste

Questo giorno è per noi fatale: appendere
lacci conviene, od impugnare un ferro.


elettra

Caro, uccidimi tu, ché niun Argivo
possa oltraggiar la figlia d’Agamènnone.

oreste

Io non t’ucciderò: mi basta il sangue
materno: come vuoi tu stessa ucciditi.

elettra

E sia: di te men pronta io non sarò.
Ma prima vo’ le braccia al collo cingerti.

oreste

Godi pur questa vana gioia, se
gioia è pure abbracciar chi a morte è presso.

elettra

Caro, che il nome a tua sorella piú
grato possiedi, e con lei sola un’anima!

oreste

Strugger tu mi farai. Pure, l’abbraccio
amoroso ricambio. E qual ritegno
avere io piú dovrei, misero? O seno
della sorella mia, soavi abbracci,
questi ricambi affettuosi, invece
delle nozze e dei figli, al petto stringo.


elettra

Ahimè!
Esser potrà che un sol ferro ne uccida,
sola un’arca di cedro i corpi accolga?

oreste

Caro l’avrei; ma nello stesso tumulo
chi ci porrà? Ben pochi son gli amici.

elettra

E non s’adoperò, non perorò
perché la morte tu schivassi, il tristo
Menelao, traditor del padre nostro?

oreste

Neppure si mostrò; ma, volta avendo
ogni speranza sua verso lo scettro,
si guardò bene dal salvar gli amici.
Ma via, si muoia nobilmente, e in guisa
d’Agamènnone degna. Alla città
quale io mi sono mostrerò, nel fegato
immergendomi il ferro; e tu conviene
ch’abbia coraggio al mio simile. O Pilade,
e tu presiedi al nostro eccidio, e i corpi
dei defunti componi, e presso recali
alla tomba del padre, e seppelliscili.
E salve. Io muovo, ben lo vedi, all’opera.


pilade

Fermati: io devo prima apporti un biasimo,
se vuoi, morendo tu, ch’io debba vivere.

oreste

Perché morire insiem con me dovresti?

pilade

Lo chiedi? A che vivrei senza il compagno?

oreste

Non uccidesti, al par di me, tua madre.

pilade

Ma la tua teco; e ugual castigo merito.

oreste

Torna a tuo padre, non morir con me.
Una patria ti resta, e a me non resta,
e la casa del padre, e di ricchezza
un porto grande. Delle nozze privo
tu sei di questa sventurata, ch’io
per l’amicizia nostra, a te promisi;
ed un’altra tu sposa, abbine figli,
poi che finito è il parentaggio nostro.

O caro nome d’amicizia, addio:
Tu lo puoi pronunciare, e non piú noi:
ché privi sono d’ogni gioia i morti.

pilade

Dai miei disegni erri lontano assai.
Né la fertile terra alla mia salma
ricetto dia, né l’etere lucente,
se mai ti tradirò, se pormi in salvo
e abbandonarti potrò mai. L’eccidio
compiei con te, con tua sorella insieme:
devo morir: ché sposa mia la reputo,
poi che le nozze ne accettai. Che cosa
d’onesto dir potrei, quando tornato
fossi dei Delfi alla contrada, acropoli
dei Focesi, quand’io, che amico t’ero
prima della sventura, or che colpito
t’ha la sventura, non ti fossi amico?
Esser non può: con voi debbo morire;
e se moriamo insiem, cerchiamo il modo
che Menelao debba con noi soffrire.

oreste

Oh veder tanto, o caro, e poi morire!

pilade

Credimi, attendi prima di trafiggerti.


oreste

Se vendicar mi posso, attenderò.

pilade

Taci or: ché poco a femmine mi fido.

oreste

Di queste non temer: ché sono amiche.

pilade

S’uccida Elena, e cruccio avrà lo sposo.

oreste

Come? Se far si può, pronto sono io.

pilade

Scanniamola. In tua casa essa è nascosta.

oreste

Altro! E i sigilli già su tutto appone.

pilade

Smetterà presto, andrà sposa all’Averno.


oreste

E come? Ha presso a sé famigli barbari.

pilade

Quali? Mai temerò verun dei Frigi.

oreste

Quei che agli specchi ed ai profumi attendono.

pilade

Le mollezze di Troia ha seco addotte?

oreste

Certo: e l’Ellade a lei sembra un tugurio.

pilade

Contro i non servi a nulla i servi valgono.

oreste

Vorrei, compiuto ciò, morir due volte.

pilade

Ed io con te, nel far le tue vendette.


oreste

Svelami il piano, e compi il tuo racconto.

pilade

In casa entriam, come per ivi ucciderci.

oreste

Questo l’intendo: non intendo il séguito.

pilade

Lagno con lei facciam dei nostri mali.

oreste

Sí ch’ella in cuor s’allegri, e in vista lagrimi.

pilade

Far potremo anche noi ciò ch’ella fa.

oreste

E poi, come il cimento affronteremo?

pilade

Terremo sotto i pepli ascosi i ferri.


oreste

Come potremo innanzi ai servi ucciderla?

pilade

Sparsi li chiuderemo in varie stanze.

oreste

E chi non tacerà, l’uccideremo.

pilade

L’opera, poi c’indicherà la mèta.

oreste

Il nostro motto sia: dar morte ad Elena.

pilade

Appunto. Ascolta come io ben m’avviso.
Se il ferro contro una pudica femmina
noi vibrassimo, infame atto sarebbe:
Elena invece, a tutta quanta l’Ellade
la pena sconterà, ché i padri uccise
ché i figli sterminò, privò le spose
dei loro sposi. Un ululo di gioia
si leverà. Fuochi arderanno ai Numi,
a te molti ed a me di bene augurî

leveranno, perché versammo il sangue
d’una femmina trista: il matricida
detto piú non sarai: se questa uccidi,
quel nome perderai, ne acquisterai
uno migliore: l’uccisore d’Elena
che tanta gente sterminò. Non deve,
non deve Menelao viver felice,
e tuo padre esser morto, e tua sorella,
e tu stesso, e tua madre — oh no, di questa
parlare non convien, taccio — : non deve
della tua casa esser padrone, e seco
la sposa ch’ebbe in grazia d’Agamènnone.
Viver non voglio io piú, se contro lei
non vibro il ferro. E dove poi sterminio
far non potremo d’Elena, la casa
arderemo, e morremo. O l’una o l’altra
fallire non potrà, di queste mète:
bella salvezza avere, o bella morte.

coro

Tutte odïar le donne la Tindàride
devon; l’obbrobrio ella è del nostro sesso.

oreste

Ahimè!
Nulla di meglio c’è che un vero amico:
né la ricchezza, né il potere: stolto
chi permutasse un generoso amico
per una turba! Tu con me tramasti
l’insidie contro Egisto, e a me vicino

nel pericolo fosti, e modo ancora
trovi che dei nemici ora io mi vendichi,
e lungi non mi sei. Ma non ti voglio
lodar piú oltre: ché fastidio arreca
anche l’eccesso delle lodi. Ora io,
sul punto d’esalar l’anima, intendo
ad ogni modo qualche danno infliggere
ai miei nemici, e poi morire: voglio
in rovina mandar chi mi tradí.
Chi m’ha ridotto a tal miseria, pianga.
D’Agamènnone io son figlio, che duce
fu de l’Ellade: eletto, e non tiranno,
ma tuttavia d’un Nume ebbe il potere.
Né io vergogna a lui farò, morendo
come uno schiavo, no: liberamente
la vita lascerò, di Menelao
farò vendetta. Fortunati troppo
saremmo poi, se d’esser salvi un modo
inopinato, qual pur sia, trovassimo.
Ne faccio augurio: è ciò che dico tanto
soave, che il sol dirlo impunemente,
con volanti parole, il cuore allegra.

elettra

Fratello mio, d’avere un modo io penso,
che te, che lui, che me per terza, salvi.

oreste

D’un consiglio divin parli: e qual’è?
Io so che senno alberga nel tuo spirito.


elettra

Odimi, dunque; ed anche tu, qui bada.

oreste

Parla: attendere il bene anche è un piacere.

elettra

Certo conosci, tu, la figlia d’Elena.

oreste

Sí, ch’ebbe latte da mia madre, Ermíone.

elettra

Essa di Clitemnestra è andata al tumulo.

oreste

A fare che? Quale speranza insinui?

elettra

Libàmi, invece di sua madre, a spargere.

oreste

E in che ciò giova alla salvezza nostra?


elettra

Prendetela in ostaggio al suo ritorno.

oreste

Qual vantaggio a noi tre ciò recherebbe?

elettra

Morta ch’Elena sia, se Menelao
contro me, contro te, contro costui
infierire vorrà, digli che morte
ad Ermïòn darai: dovrai la spada
alla gola tener della fanciulla.
E se, pure vedendo il corpo d’Elena
nel sangue immerso, per salvar la figlia,
salvo ti manderà, lascia che viva
essa rimanga al padre suo. Se invece
del cuor domare non saprà l’acredine,
e ucciderti vorrà, tu nella gola
la fanciulla trafiggi. E certo io sono
che, pur se in prima impetuoso ei giunga,
ben presto il suo furor mitigherà:
eh egli ardito non è, non coraggioso.
Questo è il mio schermo di salvezza. Ho detto.

oreste

O tu che d’uomo il cuor, le membra insigni
hai di bellezza femminil, deh quanto
degna di viver sei, piú che di morte!

Tal donna tu dovrai perdere, Pílade,
o, se vivi, ne avrai nozze beate.

pilade

Deh cosí fosse, e alla città giungesse
dei Focesi tra suon d’imenèi lieto!

oreste

Fra quanto Ermíone tornerà? Sappiamo
il resto già, se pur fortuna avremo,
d’un empio padre catturando il cucciolo.

elettra

Presso alla reggia esser dovrebbe già:
il tempra ormai trascorso a ciò s’accorda.

oreste

Sta bene. Or tu, sorella Elettra, innanzi
alla casa rimani, ed il ritorno
della fanciulla attendi. E osserva bene
se, pria che spenta cada Elena, in casa
qualche suo difensore entri, o il fratello
del padre tuo, che ci prevenga; e avviso
daccene tu, picchiando all’uscio, o dentro
mandando qualche messaggero; e noi,
frattanto, entrando, a questo ultimo agone,
le spade nella man’ stringiamo, o Pilade:
ché tu con me questi travagli affronti.

Volge il viso a tetra.

O padre, o tu che della Notte ombrosa
abiti la magione, il figlio tuo
ti chiama, Oreste; e tu giungi al soccorso
di chi ti prega: ch’io, misero, ingiuste
pene soffro per te: da tuo fratello
tradito sono, perché feci quanto
chiedea giustizia: io vo’ per questo uccidere
la sua consorte; e tu giungi a soccorrerci.

elettra

Padre, odi, accorri dai profondi baratri
d’Averno, ai figli tuoi che per te muoiono.

pilade

Del mio padre parente, odi, Agamènnone
anche le preci mie: salva i tuoi figli.

oreste

La madre uccisi.

pilade

                    Anch’io la spada strinsi.

elettra

Ed anch’io v’esortai, troncai l’indugio.



oreste

A tua vendetta.

elettra

                                             Ed io non ti tradii.

pilade

Queste preghiere ascolta, e salva i figli.

oreste

Lagrime su te libo.

elettra

                                                       Ed io lamenti.

pilade

Basta: ai fatti moviam: ché, se le preci
penetrano sotterra, egli bene ode.
O Giove, o tu, progenitore nostro
e di Giustizia veneranda, date
buona fortuna a Oreste, a Elettra, a me.
Solo un cimento, sola una giustizia
c’è per noi tre: morire insieme, o vivere.
Oreste e Pilade entrano nella reggia.

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