Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Terzo stasimo | Quarto stasimo | ► |
coro
Tuo fratello, ecco, qui si trascina,
condannato dal voto alla morte,
e con lui, sopra gli uomini tutti
fedelissimo, Pilade, simile
a fratello, le inferme sue membra
sorregge, ed a paro sospinge
il piede con lui, per assisterlo.
Entrano Oreste e Pilade.
elettra
Ahimè! Piango, perché presso alla tomba
io già ti veggo, ed al funereo rogo,
fratello mio. Di nuovo ahimè! Vedendoti
l'ultimissima volta, il cuor mi manca.
oreste
Rassegnarti non vuoi, tacere, smettere
i donneschi ululati? È certo misera
la nostra sorte, ma patirla è d’uopo.
elettra
E come tacerò? Veder la luce
del sole, piú non c’è concesso, miseri.
oreste
Anche tu non uccidermi: m’uccisero
assai gli Argivi, ahimè! Cessa dal piangere.
elettra
Per la tua gioventú, pel fato acerbo,
misero te! Viver dovresti, e muori.
oreste
Non m’irretir di codardia, spingendo
il ricordo dei mal’ sino alle lagrime.
elettra
Morremo: tanto mal come non piangere?
Per tutti è triste abbandonar la vita.
oreste
Questo giorno è per noi fatale: appendere
lacci conviene, od impugnare un ferro.
elettra
Caro, uccidimi tu, ché niun Argivo
possa oltraggiar la figlia d’Agamènnone.
oreste
Io non t’ucciderò: mi basta il sangue
materno: come vuoi tu stessa ucciditi.
elettra
E sia: di te men pronta io non sarò.
Ma prima vo’ le braccia al collo cingerti.
oreste
Godi pur questa vana gioia, se
gioia è pure abbracciar chi a morte è presso.
elettra
Caro, che il nome a tua sorella piú
grato possiedi, e con lei sola un’anima!
oreste
Strugger tu mi farai. Pure, l’abbraccio
amoroso ricambio. E qual ritegno
avere io piú dovrei, misero? O seno
della sorella mia, soavi abbracci,
questi ricambi affettuosi, invece
delle nozze e dei figli, al petto stringo.
elettra
Ahimè!
Esser potrà che un sol ferro ne uccida,
sola un’arca di cedro i corpi accolga?
oreste
Caro l’avrei; ma nello stesso tumulo
chi ci porrà? Ben pochi son gli amici.
elettra
E non s’adoperò, non perorò
perché la morte tu schivassi, il tristo
Menelao, traditor del padre nostro?
oreste
Neppure si mostrò; ma, volta avendo
ogni speranza sua verso lo scettro,
si guardò bene dal salvar gli amici.
Ma via, si muoia nobilmente, e in guisa
d’Agamènnone degna. Alla città
quale io mi sono mostrerò, nel fegato
immergendomi il ferro; e tu conviene
ch’abbia coraggio al mio simile. O Pilade,
e tu presiedi al nostro eccidio, e i corpi
dei defunti componi, e presso recali
alla tomba del padre, e seppelliscili.
E salve. Io muovo, ben lo vedi, all’opera.
pilade
Fermati: io devo prima apporti un biasimo,
se vuoi, morendo tu, ch’io debba vivere.
oreste
Perché morire insiem con me dovresti?
pilade
Lo chiedi? A che vivrei senza il compagno?
oreste
Non uccidesti, al par di me, tua madre.
pilade
Ma la tua teco; e ugual castigo merito.
oreste
Torna a tuo padre, non morir con me.
Una patria ti resta, e a me non resta,
e la casa del padre, e di ricchezza
un porto grande. Delle nozze privo
tu sei di questa sventurata, ch’io
per l’amicizia nostra, a te promisi;
ed un’altra tu sposa, abbine figli,
poi che finito è il parentaggio nostro.
O caro nome d’amicizia, addio:
Tu lo puoi pronunciare, e non piú noi:
ché privi sono d’ogni gioia i morti.
pilade
Dai miei disegni erri lontano assai.
Né la fertile terra alla mia salma
ricetto dia, né l’etere lucente,
se mai ti tradirò, se pormi in salvo
e abbandonarti potrò mai. L’eccidio
compiei con te, con tua sorella insieme:
devo morir: ché sposa mia la reputo,
poi che le nozze ne accettai. Che cosa
d’onesto dir potrei, quando tornato
fossi dei Delfi alla contrada, acropoli
dei Focesi, quand’io, che amico t’ero
prima della sventura, or che colpito
t’ha la sventura, non ti fossi amico?
Esser non può: con voi debbo morire;
e se moriamo insiem, cerchiamo il modo
che Menelao debba con noi soffrire.
oreste
Oh veder tanto, o caro, e poi morire!
pilade
Credimi, attendi prima di trafiggerti.
oreste
Se vendicar mi posso, attenderò.
pilade
Taci or: ché poco a femmine mi fido.
oreste
Di queste non temer: ché sono amiche.
pilade
S’uccida Elena, e cruccio avrà lo sposo.
oreste
Come? Se far si può, pronto sono io.
pilade
Scanniamola. In tua casa essa è nascosta.
oreste
Altro! E i sigilli già su tutto appone.
pilade
Smetterà presto, andrà sposa all’Averno.
oreste
E come? Ha presso a sé famigli barbari.
pilade
Quali? Mai temerò verun dei Frigi.
oreste
Quei che agli specchi ed ai profumi attendono.
pilade
Le mollezze di Troia ha seco addotte?
oreste
Certo: e l’Ellade a lei sembra un tugurio.
pilade
Contro i non servi a nulla i servi valgono.
oreste
Vorrei, compiuto ciò, morir due volte.
pilade
Ed io con te, nel far le tue vendette.
oreste
Svelami il piano, e compi il tuo racconto.
pilade
In casa entriam, come per ivi ucciderci.
oreste
Questo l’intendo: non intendo il séguito.
pilade
Lagno con lei facciam dei nostri mali.
oreste
Sí ch’ella in cuor s’allegri, e in vista lagrimi.
pilade
Far potremo anche noi ciò ch’ella fa.
oreste
E poi, come il cimento affronteremo?
pilade
Terremo sotto i pepli ascosi i ferri.
oreste
Come potremo innanzi ai servi ucciderla?
pilade
Sparsi li chiuderemo in varie stanze.
oreste
E chi non tacerà, l’uccideremo.
pilade
L’opera, poi c’indicherà la mèta.
oreste
Il nostro motto sia: dar morte ad Elena.
pilade
Appunto. Ascolta come io ben m’avviso.
Se il ferro contro una pudica femmina
noi vibrassimo, infame atto sarebbe:
Elena invece, a tutta quanta l’Ellade
la pena sconterà, ché i padri uccise
ché i figli sterminò, privò le spose
dei loro sposi. Un ululo di gioia
si leverà. Fuochi arderanno ai Numi,
a te molti ed a me di bene augurî
leveranno, perché versammo il sangue
d’una femmina trista: il matricida
detto piú non sarai: se questa uccidi,
quel nome perderai, ne acquisterai
uno migliore: l’uccisore d’Elena
che tanta gente sterminò. Non deve,
non deve Menelao viver felice,
e tuo padre esser morto, e tua sorella,
e tu stesso, e tua madre — oh no, di questa
parlare non convien, taccio — : non deve
della tua casa esser padrone, e seco
la sposa ch’ebbe in grazia d’Agamènnone.
Viver non voglio io piú, se contro lei
non vibro il ferro. E dove poi sterminio
far non potremo d’Elena, la casa
arderemo, e morremo. O l’una o l’altra
fallire non potrà, di queste mète:
bella salvezza avere, o bella morte.
coro
Tutte odïar le donne la Tindàride
devon; l’obbrobrio ella è del nostro sesso.
oreste
Ahimè!
Nulla di meglio c’è che un vero amico:
né la ricchezza, né il potere: stolto
chi permutasse un generoso amico
per una turba! Tu con me tramasti
l’insidie contro Egisto, e a me vicino
nel pericolo fosti, e modo ancora
trovi che dei nemici ora io mi vendichi,
e lungi non mi sei. Ma non ti voglio
lodar piú oltre: ché fastidio arreca
anche l’eccesso delle lodi. Ora io,
sul punto d’esalar l’anima, intendo
ad ogni modo qualche danno infliggere
ai miei nemici, e poi morire: voglio
in rovina mandar chi mi tradí.
Chi m’ha ridotto a tal miseria, pianga.
D’Agamènnone io son figlio, che duce
fu de l’Ellade: eletto, e non tiranno,
ma tuttavia d’un Nume ebbe il potere.
Né io vergogna a lui farò, morendo
come uno schiavo, no: liberamente
la vita lascerò, di Menelao
farò vendetta. Fortunati troppo
saremmo poi, se d’esser salvi un modo
inopinato, qual pur sia, trovassimo.
Ne faccio augurio: è ciò che dico tanto
soave, che il sol dirlo impunemente,
con volanti parole, il cuore allegra.
elettra
Fratello mio, d’avere un modo io penso,
che te, che lui, che me per terza, salvi.
oreste
D’un consiglio divin parli: e qual’è?
Io so che senno alberga nel tuo spirito.
elettra
Odimi, dunque; ed anche tu, qui bada.
oreste
Parla: attendere il bene anche è un piacere.
elettra
Certo conosci, tu, la figlia d’Elena.
oreste
Sí, ch’ebbe latte da mia madre, Ermíone.
elettra
Essa di Clitemnestra è andata al tumulo.
oreste
A fare che? Quale speranza insinui?
elettra
Libàmi, invece di sua madre, a spargere.
oreste
E in che ciò giova alla salvezza nostra?
elettra
Prendetela in ostaggio al suo ritorno.
oreste
Qual vantaggio a noi tre ciò recherebbe?
elettra
Morta ch’Elena sia, se Menelao
contro me, contro te, contro costui
infierire vorrà, digli che morte
ad Ermïòn darai: dovrai la spada
alla gola tener della fanciulla.
E se, pure vedendo il corpo d’Elena
nel sangue immerso, per salvar la figlia,
salvo ti manderà, lascia che viva
essa rimanga al padre suo. Se invece
del cuor domare non saprà l’acredine,
e ucciderti vorrà, tu nella gola
la fanciulla trafiggi. E certo io sono
che, pur se in prima impetuoso ei giunga,
ben presto il suo furor mitigherà:
eh egli ardito non è, non coraggioso.
Questo è il mio schermo di salvezza. Ho detto.
oreste
O tu che d’uomo il cuor, le membra insigni
hai di bellezza femminil, deh quanto
degna di viver sei, piú che di morte!
Tal donna tu dovrai perdere, Pílade,
o, se vivi, ne avrai nozze beate.
pilade
Deh cosí fosse, e alla città giungesse
dei Focesi tra suon d’imenèi lieto!
oreste
Fra quanto Ermíone tornerà? Sappiamo
il resto già, se pur fortuna avremo,
d’un empio padre catturando il cucciolo.
elettra
Presso alla reggia esser dovrebbe già:
il tempra ormai trascorso a ciò s’accorda.
oreste
Sta bene. Or tu, sorella Elettra, innanzi
alla casa rimani, ed il ritorno
della fanciulla attendi. E osserva bene
se, pria che spenta cada Elena, in casa
qualche suo difensore entri, o il fratello
del padre tuo, che ci prevenga; e avviso
daccene tu, picchiando all’uscio, o dentro
mandando qualche messaggero; e noi,
frattanto, entrando, a questo ultimo agone,
le spade nella man’ stringiamo, o Pilade:
ché tu con me questi travagli affronti.
Volge il viso a tetra.
O padre, o tu che della Notte ombrosa
abiti la magione, il figlio tuo
ti chiama, Oreste; e tu giungi al soccorso
di chi ti prega: ch’io, misero, ingiuste
pene soffro per te: da tuo fratello
tradito sono, perché feci quanto
chiedea giustizia: io vo’ per questo uccidere
la sua consorte; e tu giungi a soccorrerci.
elettra
Padre, odi, accorri dai profondi baratri
d’Averno, ai figli tuoi che per te muoiono.
pilade
Del mio padre parente, odi, Agamènnone
anche le preci mie: salva i tuoi figli.
oreste
La madre uccisi.
pilade
Anch’io la spada strinsi.
elettra
Ed anch’io v’esortai, troncai l’indugio.
|