< Oreste (Euripide - Romagnoli)
Questo testo è stato riletto e controllato.
Euripide - Oreste (408 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1930)
Secondo episodio
Primo stasimo Secondo stasimo
Questo testo fa parte della raccolta I poeti greci tradotti da Ettore Romagnoli

Si avanza Menelao magnificamente vestito.

corifea

Or vedi che a noi s’avvicina
il re Menelao: dall’incesso
magnifico, chiaro si vede
ch’ei proviene dal sangue di Tàntalo.
Si rivolge a Menelao.

O tu che alla terra asïana
mille e mille navigli adducesti,
a te salve. Tu quanto bramavi
compiesti: lo vollero
gli Dei: tua compagna è fortuna.

menelao

Volentieri, da un lato, io ti rivedo,
or che da Troia torno, o casa mia;
dall’altra, al pianto son commosso, ch’io
nessuna casa vidi mai, dai mali
cosí percossa tutta in giro. Io seppi,
quando al Malèa la prora avvicinavo,

le sciagure e la morte d’Agamènnone,
come finí per man della sua sposa.
A me dai flutti Glauco l’annunciò,
dei nocchieri indovino, Iddio veridico,
che l’arte apprese da Nerèo. M’apparve
questo Nume, e mi disse: «O Menelao,
il fratel tuo, nell’ultimo lavacro
caduto giace, che la sua consorte
gli preparava». E assai lagrime fece
a me versare, ai miei nocchieri. Or, quando
giunsi di Nauplia al suol, mentre la sposa
mia qui veniva, ed io credevo al seno
stringere Oreste, il figlio d’Agamènnone,
e la sua madre, avventurati entrambi,
della figlia di Tíndaro l’empissima
morte narrar da un pescatore udii.
Ed or, fanciulle, ditemi dov’è
l’uom che compieva questo scempio orribile,
d’Agamènnone il figlio. Era fanciullo,
di Clitemnestra al seno ancor, quando io
lasciai la casa per andare a Troia:
pur lo vedessi, non potrei conoscerlo.

oreste

Quell’Oreste sono io di cui tu chiedi,
o Menelao: ben volentieri a te
svelo i miei danni, e prima ai tuoi ginocchi,
senza supplici rami, io preci volgo.
In punto sei giunto opportuno. Salvami.

menelao

O Dei che vedo! Qual dei morti è questo?


oreste

Ben, dici: io vivo son, ma pei guai morto.

menelao

Come squallido sei, che crine irsuto!

oreste

Ciò che feci mi brutta, e non l’aspetto.

menelao

Aride hai le pupille, il guardo truce.

oreste

Di me sol resta il nome: il corpo è sfatto.

menelao

O sembiante deforme oltre ogni attesa!

oreste

Io son quei che svenò la madre misera.

menelao

Lo so; ma schiva il sovvenir dei mali.


oreste

E sia; ma il Dio con me di mali è prodigo.

menelao

Che soffri tu? Qual morbo ti distrugge?

oreste

La coscïenza: io so che orror compiei.

menelao

Che dici? Il chiaro è chiaro, e non l’oscuro.

oreste

Piú d’ogni cosa mi strugge il rimorso.

menelao

Terribil Dio: però non invincibile.

oreste

E la follia, del matricidio vindice.

menelao

Come? in che giorno cominciò il delirio?


oreste

Quel dí che alzavo della madre il tumulo.

menelao

In casa, oppur mentre attendevi al rogo?

oreste

Di notte, mentre io raccoglievo l'ossa.

menelao

E niuno era con te, quivi, ad assisterti?

oreste

Pílade, che con me compiea la strage.

menelao

E quali spettri cosí ti tormentano?

oreste

Tre fanciulle io vedevo, a notte simili.

menelao

So chi dici; ma il nome io non vo’ dirne.


oreste

Sacre sono esse; e il tuo riserbo è giusto.

menelao

Deliro te pel matricidio rendono?

oreste

Misero me, m’inseguono, m’incalzano!

menelao

Chi fece il mal, non è strano che il soffra.

oreste

Pure, un sollievo c’è dei miei tormenti.

menelao

Non dir la morte, ché non è da saggio.

oreste

Febo, che impose a me la madre uccidere.

menelao

Certo. L’onesto e il giusto il Nume ignora.


oreste

Servi dei Numi siam, quali ch’ei siano.

menelao

E come mai l’Ambiguo or non t’assiste?

oreste

Indugia: è tal per sua natura il Nume.

menelao

E da quando esalò tua madre l’anima?

oreste

Son già sei giorni: ancor la pira è calda.

menelao

A punirti le Dee giunser sollecite!

oreste

Non sottilizzo, io: sono amico vero.

menelao

E il padre vendicato, a che ti giova?


oreste

A nulla: indugia; e val quanto non fare.

menelao

Come pel tuo misfatto Argo ti giudica?

oreste

M’aborriscono sí, che niun mi parla.

menelao

Le man’ pure non hai rese del sangue?

oreste

No: perché ovunque appressi, indi mi scacciano.

menelao

E chi scacciar ti vuol da questa terra?

oreste

Eace: d’Ilio uno scempio a mio padre imputa.

menelao

Quello di Palamede; e in te si vendica.


oreste

Parte io non v’ebbi: eppur distrutto io sono.

menelao

E chi altri? D’Egisto un qualche amico?

oreste

M’investon tutti; e ad essi Argo obbedisce.

menelao

E lascia a te lo scettro d’Agamènnone?

oreste

Come, se neppur vivo piú mi vogliono?

menelao

Quale preciso loro atto puoi dirmi?

oreste

Pronunceranno un voto oggi a me contro.

menelao

D’esilio? O che morir tu debba? O vivere?


oreste

Che i cittadini lapidar mi debbano.

menelao

E non fuggi? E i confini allor non valichi?

oreste

Siamo d’armati tutto in giro cinti.

menelao

Dai tuoi nemici, o dalle forze d’Argo?

oreste

Da tutti, e perché muoia: eccola in breve.

menelao

Al colmo sei delle sciagure, o misero.

oreste

La mia speranza solo in te riparo
trova dai mali. Poiché tu fra i miseri
avventurato giunto sei, partecipi
rendi gli amici della tua fortuna,
e per te solo non tenerla; e assumi
anche una parte dei travagli miei,

mostrando al padre mio la gratitudine
che tu gli devi. Ché d’amici il nome
hanno soltanto, ma non sono, quanti
nelle sciagure l’amistà non serbano.

corifea

Tíndaro, lo spartano, affretta a noi
l’antico piede: indossa un negro peplo,
le chiome per la figlia ha rase a lutto.

oreste

O Menelao, perduto io sono: Tíndaro
verso di noi s’avanza; e di trovarmi
dinanzi a lui, troppa vergogna io provo,
per ciò che ho fatto: ch’ei mi nutricò
quando ero bimbo, e mi copria di baci,
portando in giro il figlio d’Agamènnone
fra le sue braccia, e Leda insiem con lui,
ch’ero diletto a lor quanto i Dïoscuri.
Un ben tristo compenso ad essi diedi,
misera anima mia, misero cuore.
Qual tenebra addensare ora potrò
sopra il mio viso, quale nube stendervi
per isfuggir del vecchio alle pupille?
Entra il vecchio Tindaro.

tindaro

Dove potrò, dove potrò vedere
Menelao, sposo della figlia mia?
Di Clitemnestra su la tomba stavo,

effondendo libami, e udii che a Nauplia,
dopo lunghi anni, con la sposa giunto
egli era, salvo: a lui siatemi guida:
stando alla destra sua vo’ salutarlo:
ché da tanto nol vedo, e amico m’era.

menelao

Salve, o di Giove al talamo partecipe.

tindaro

O Menelao, salve anche a te, mio genero.
Si accorge di Oreste.

Ahi! Che mal non conoscere il futuro!
Questo dragone matricida sta
alla reggia dinanzi, e vibra i folgori,
questo abominio mio, dagli occhi infetti.
E tu parli a quest’empio, o Menelao?

menelao

Che far? Figlio è d’un padre a me diletto.

tindaro

Esso, un tal figlio, da tal padre nacque?

menelao

Certo: e, misero ancor, riguardo merita.


tindaro

Reso barbaro t’ha lo star fra i barbari.

menelao

I parenti onorare uso è fra gli Èlleni.

tindaro

E non volere soverchiar le leggi.

menelao

Tutto a necessità cede, pei saggi.

tindaro

Tu questa fede assumi, io non l’assumo.

menelao

Saggio non è nei vecchi anni adirarsi.

tindaro

E qual contrasto di saggezza sorgere
potrebbe su costui? Se tutti han pure
di pietà, d’empietà, chiaro il concetto,
chi di costui piú dissennato? Al giusto
ei non ebbe rispetto, anzi degli Èlleni
non osservò la consueta legge:

ch’esso dovea, poiché spento Agamènnone
fu dalla figlia mia, colpito al capo —
turpissimo delitto, io non lo nego —
alla madre dovea la giusta pena
dell’omicidio infliggere, chiamandola
ai giudici dinanzi, e discacciandola
via dalla casa: allor nella sventura
saggio sarebbe stato, allora pio,
ossequente alle leggi: or colla stessa
fatale sorte della madre cadde.
Fu giusto ch’ei la reputasse trista,
ma piú tristo egli fu quando l'uccise.
Questa domanda, o Menelao, ti faccio:
se a costui la sua sposa or desse morte,
e il suo figlio alla madre, a vendicarlo,
ed il figlio del figlio ancor punisse
sangue con sangue: e dove allora un limite
dei mali esisterebbe? I prodi antichi
ben saggiamente questa legge posero,
che chi le mani lorde abbia di sangue,
al cospetto degli uomini non venga,
né commercio con loro abbia, o il misfatto
andando esule espii: non che s’uccida.
Se no, sempre sarebbe uno rimasto
di morte reo: quei che le mani avesse
ultimo insanguinate. Ed io detesto
l’empie femmine, e prima la mia figlia,
che die’ morte allo sposo: e la tua sposa
Elena non approvo, e non vorrei
volgerle la parola; e non t'invidio
che andato sei per una trista femmina
al pian di Troia; ma per quanto io posso,
quella legge difendo onde tale uso

omicida e ferino ebbe pur tregua,
che le città distrugge sempre e i regni.
Dimmi, qual cuore, o sciagurato, avesti,
quando tua madre il seno ti mostrò,
scongiurandoti? Io sento, eppur non vidi,
l’antico ciglio mio stemprarsi in lagrime.
E un punto almeno i detti miei conferma:
che in odio ai Numi sei, che della madre
sconti la strage, delirando in preda
a terrori, a follie: bisogno c’è
di testimoni? Gli occhi miei lo vedono.
Ora, apri gli occhi, Menelao, non muovere,
per aiutar costui, contro i Celesti:
dai cittadini lapidare lascialo,
o non premer piú mai di Sparta il suolo.
Per la mia figlia, giusto era, che morte
le fosse inflitta; ma morir per mano
di costui non doveva. In tutto il resto
io fui felice, e nelle figlie no.

coro

Felice chi fortuna ebbe nei figli,
né gravi guai patí per loro causa.

oreste

Parlare a te dinanzi io n’ho vergogna,
vecchio, se contristar debbo il tuo cuore.
Empio io fui, ché la madre uccisi; e pio
esser detto potrei, quando vendetta
feci del padre. Or la vecchiezza tua
non si frapponga al mio discorso: ch’essa

dal parlar mi sgomenta; e allor procedere
potrò: la tua canizie or mi sgomenta.
Che cosa far dovuto avrei? Due punti
devi a due punti contrapporre: il padre
mi generò, mi partorí tua figlia,
la maggese che d'altri il seme accolse:
ché non può figlio senza padre nascere.
Ed io pensai che piú dovessi aiuto
a colui che depose il germe mio,
che non a quella che lo nutricò.
E la tua figlia — m’è vergogna dire
la madre mia — , con imenéo furtivo
non lecito, d’un uomo ascese il talamo.
Se di lei dico male, io di me stesso
dico male; ma pur parlo: era Egisto
il suo sposo furtivo entro la reggia.
Io l’uccisi, e con lui svenai la madre,
compiendo un’empietà, ma vendicando
il padre mio. Quanto alla tua minaccia
ch’essere io devo lapidato, ascolta
quanto vantaggio io reco a tutta l'Ellade;
ché se le donne a tanto ardir venissero
da uccidere gli sposi, e poi rifugio
presso i figli cercar, mostrando il seno
per guadagnarne la pietà, per esse
nulla sarebbe uccidere gli sposi,
un pretesto accampando qual che siasi.
Impossibile io resi un tal costume,
compiendo l’empia strage onde tu meni
tanto scalpore. D’odïar mia madre
ragione ebbi, e l’uccisi: essa lo sposo
che con le schiere a prò’ di tutta l'Ellade
duce alla guerra mosso era, tradí,

né gli serbò da macchia illeso il talamo;
e poi che conscia fu del proprio fallo,
sé stessa non puni, ma, per non renderne
conto allo sposo, puní lui, die’ morte
al padre mio. Pei Numi — in triste punto,
in un piato di sangue, invoco i Numi — ,
se della madre l’opere approvate
col mio silenzio avessi, il padre ucciso
non m’avrebbe punito? e non m'avrebbe
spinto all’Erinni in preda? Ha la mia madre
alleate le Dive; e non l’avrà
il padre mio, ch’ebbe piú grave oltraggio?
Mettendo al mondo una malvagia figlia,
tu fosti, o vecchio, la rovina mia,
ch’io, per l’audacia sua privo del padre,
fui matricida. Vedi se Telèmaco
d’Ulisse uccise la consorte; ma
non ebbe quella insieme con l’antico
un nuovo sposo, ed incorrotta sposa
si mantien nella casa. E bada, Apollo
che della terra al centro sta, partendo
ai mortali i responsi veracissimi,
e in tutto lo crediamo, egli m’impose
d’uccidere mia madre, io l'ubbidii.
Empio lui dichiarate, ed uccidetelo:
egli fallí, non io. Che far potrei
io? Né potrà la macchia mia lavare
il Nume, a cui quello ch’io feci addebito?
Dove scampare piú, se, quei che l'ordine
mi die’, non mi darà scampo da morte?
Non dir che mal ciò ch'io feci fu fatto,
e che tristo successo ebbe per me.
Avventurata vita hanno quegli uomini

ch’ebber fortuna colle nozze: gli altri
sempre sono infelici, in casa e fuori.

coro

Nate le donne son per inframmettersi
nei casi dei mariti, e al peggio volgerli.

tindaro

Quando hai tanta baldanza, e non ammaini
le vele del tuo dire, e tal risposta
mi dài, che attrista il cuore mio, mi provochi
la tua morte a voler: bella un’aggiunta
sarà questo all’ufficio ond’io qui venni,
d’ornar la tomba alla mia figlia. Al popolo
d’Argo adunato andrò, convincerò
la città, non contraria, anzi concorde,
che tu sotto le pietre espii la colpa,
con tua sorella insieme: ella di morte
è più degna di te, ché t’inasprí
contro la madre, che alle orecchie sempre
giungere ti facea nuove infestissime,
Agamènnone apparso a lei nel sogno,
e le nozze d’Egisto — in odio l’abbiano
i Numi inferni, come odio riscossero
anche quassù — finché fu, senza vampa
d’Efesto, arsa la casa. E questo inoltre
dico a te, Menelao: se conto alcuno
del parentaggio mio fai, del mio sdegno,
non difender costui del suo misfatto
contro il volere dei Celesti: lascia
che lapidato sia dai cittadini,

o mai piú non calcare il suol di Sparla.
Or che udisti, che sai, gli amici pii
non discacciar per gli empî. E voi, famigli,
da. questa casa lungi conducetemi.
Si allontana.

oreste

Va: ché quanto a costui dire ancor debbo
lo potrò dir tranquillamente, libero
dalla vecchiaia tua. Dove, in pensieri
assorto, Menelao, volgi il tuo passo,
d’una duplice idea pel doppio tramite?

menelao

Lasciami: vo’ tra me e me pensando,
e a qual partito appigliarmi non so.

oreste

Non risolvere ancora, i miei discorsi
ascolta prima, e poi prendi un partito.

menelao

Parla: tu dici ben: c’è quando meglio
vale il silenzio, e quando la parola.

oreste

Parlerò dunque: ché i discorsi lunghi
valgon meglio dei brevi, e son piú chiari.

O Menelao, del tuo nulla ti chiedo:
quello che avesti da mio padre rendimi:
non dico i beni: i beni miei son questi:
che mi salvi la vita, ond’io non ho
cosa piú cara. Ingiusto il mio delitto
fu; ma tu devi di tal male darmi
un ingiusto soccorso. Anche Agamènnone,
il padre mio, non giustamente l’Èllade
a raccolta chiamò, contro Ilio mosse,
ché colpa non aveva egli, e la colpa
della consorte tua mosse a punire.
Or favore a favor tu devi rendere:
ch’ei veramente la sua vita espose,
come gli amici per gli amici debbono,
sempre pugnando a te presso, perché
tu riavessi la tua sposa. Adesso,
quello che in Troia ricevesti rendimi,
presèntati a salvarmi, un giorno solo
travagliando, e non dieci anni compiuti.
La strage poi che della mia sorella
in Aulide si fe’ te la condono:
ad Ermïóne non dar morte: quando
a tal frangente io son ridotto, è giusto
che vantaggio tu abbia, e ch’io lo tolleri.
Per grazia al padre mio misero, salva
la vita mia, della sorella mia,
che nubile è da tanto: ov’io pur muoia,
del padre lascerò la casa estinta.
«Impossibil» — dirai; ma questo è il punto:
nelle sciagure devono gli amici
dar soccorso agli amici: allor che il Dèmone
largisce il bene, a che servon gli amici?
Quando aiutar ti vuole, il Nume basta.

Gli Elleni tutti sanno che tu ami
la sposa tua. Non per piaggiarti or parlo,
né per volermi insinuare: in nome
suo ti scongiuro. — Ahimè, quanto m’abbasso,
eppur mi debbo umilïar: ch’io prego
per la mia casa tutta. O di mio padre
fratello, o zio, sovra il tuo capo immagina
che svolazzi la morta anima, e dica
ciò ch’io dico: fra strazi ululi e lagrime
parlai, ti chiesi la salvezza: cerco
quello che tutti e non io solo cercano.

corifea

E anch’io, sebbene son donna, ti prego
che i miseri soccorra; e tu lo puoi.

menelao

La tua persona, Oreste, onoro, e voglio
teco soffrire i mali tuoi: ché quando
ci dà la forza un Nume, allor conviene
partecipare i guai dei consanguinei,
morendo, e morte ai lor nemici dando.
Ma la forza i Celesti or non m’accordano:
ch’io son qui senza compagnia d’armati,
poscia ch’errai fra mille pene e mille,
con poca scorta d’amici superstiti.
Argo Pelasgo sopraffar pugnando,
non lo potremmo: se possibil fosse
con le blande parole... a tale speme
voglio appigliarmi: ché con forze piccole
le grandi sopraffar, chi mai potrebbe?

insipïenza è pur bramarlo. Quando
troppo, salito in ira, ferve il popolo,
se spengere lo vuoi, d’un fuoco ha l’impeto.
Ma se mentre piú infuria, alcuno coglie
il punto giusto, e da una parte cede,
soavemente, forse a calma torna;
e quando l’ire sue calmate siano,
ciò che brami ottener ti sarà facile.
Capace di pietà, capace è il popolo
di furor grande: è questa dote ambigua,
se giovar te ne sai, prezïosissima.
Adesso vado; e tenterò convincere
Tíndaro e la città, che freno pongano
allo sdegno soverchio. Anche la nave,
quando troppo la scotta a forza è tesa,
nel mar s’immerge; ma se tu l’allenti,
si raddirizza: poiché il Nume aborre
la troppa audacia. I cittadini t’odiano,
e salvare io ti devo, e non lo nego;
ma con l’abilità, non già facendo
forza ai piú forti: mai, per quanto forse
tu lo credi, potrei salvarti a forza.
Ché facile non è con una lancia
sola i mali sconfigger che t’opprimono.
Guadagnar con blandizie il popol d’Argo
mai non cercai. Ma ora è necessario
che servi della sorte i saggi siano.
Parte.

oreste

O tranne che a guidar per una femmina
eserciti alla pugna, a nulla valido,

o a difender gli amici incapacissimo,
tu mi volgi le spalle, e fuggi, e nulla
per te sono, i favori d’Agamènnone?
Nella sventura non avesti amici,
o padre. Ahimè, tradito sono, e speme
piú non mi resta: ove potrò rivolgermi,
per fuggire la morte onde minaccia
Argo mi fa? Ma Pílade qui veggo
giunger di corsa, a me fra tutti gli uomini
il piú diletto: viene dalla Fòcide.
O dolce vista! Un uom fido nei mali
meglio val che pei nauti la bonaccia.
Entra in fretta, agitatissimo, Pilade.

pilade

Traversata ho la città presto piú ch’io non dovessi,
perché udito ho ch’era il popolo radunato; e coi miei stessi
occhi pur l’ho visto, E a morte posto súbito sarai,
tu con la sorella. Or donde questo avviene? Come mai,
dilettissimo fra quanti son compagni agli anni miei,
degli amici e dei parenti? Ché parente e amico sei.

oreste

Son perduto: tutti i mali miei cosí t’ho detto in breve.

pilade

Anche me struggi: l’amico con l’amico morir deve.


oreste

Menelao con me da tristo, con Elettra si comporta.

pilade

Ben s’intende, poi che sposo d'una sposa di tal sorta.

oreste

Egli è qui come non fosse qui: mi dà lo stesso aiuto.

pilade

Cosí, dunque, è proprio vero ch'egli in Argo sia venuto?

oreste

Tardi: eppur quant’egli è tristo coi suoi, presto fe’ palese.

pilade

E la perfida consorte sulla nave seco prese?

oreste

Ella fu che a questa terra lo guidò, non egli lei.

pilade

Dov’è quella che da sola strage fe’ di tanti Achei?


oreste

In mia casa, se pur dire posso ancor mio questo tetto.

pilade

Al fratello di tuo padre che discorso hai tu diretto?

oreste

Che a lasciarci da quei d’Argo lapidar non consentisse.

pilade

Per gli Dèi, son curioso di saper ciò ch’egli disse.

oreste

Si schermí, come fan sempre con gli amici i tristi amici.

pilade

Qual pretesto mise innanzi? Tutto so, se ciò mi dici.

oreste

Giunse qui colui, quel padre d’integerrime figliuole....

pilade

Dici Tíndaro? La figlia vendicare su te vuole?


oreste

Certo; e quei non di mio padre, ma del suocero si cura.

pilade

E per ciò partecipare rifiutò la tua sciagura?

oreste

Non è d’indole guerresca: con le donne solo è forte.

pilade

Fra gran mali tu ti trovi, non potrai sfuggire a morte.

oreste

Del materno scempio deve dar giudizio la città.

pilade

Di terror tremo; e il giudizio stabilir che mai dovrà?

oreste

Se morir dobbiamo, o vivere: gravi i fatti, e breve il detto.

pilade

Fuggi allor con tua sorella, abbandona questo tetto.


oreste

Non lo vedi? Tutto intorno sono scolte per guardarmi.

pilade

Tutte quante infatti vidi le vie d’Argo piene d’armi.

oreste

Quasi rocca, assediato da nemici è il corpo mio.

pilade

Di me pur notizie or chiedi: ché perduto sono anch’io.

oreste

Come e donde? Ecco ai miei mali dunque aggiunto un male nuovo.

pilade

Mi cacciò mio padre Strofio dalla casa: esule muovo.

oreste

E d’un pubblico delitto, d’un privato ei ti dà taccia?

pilade

Perché parte al matricidio presi, come empio mi scaccia.


oreste

O meschino! Anche tu devi dei miei mali essere afflitto!

pilade

Menelao non son; ch’io teco patir debba, è ben diritto.

oreste

E non temi che ad ucciderti meco insieme Argo s’appresti?

pilade

Ai Focesi sta punire le mie colpe, e non a questi.

oreste

Un gran male, se li guidano tristi duci, sono i molti.

pilade

Ma se buoni poi li trovano, sempre al bene son rivolti.

oreste

Sia. Conviene or consultarci.

pilade

                                           Pensi tu ch’utile sia?


oreste

Se movessi ai cittadini, se dicessi.....

pilade

                                                  Che fu pia
l’opra tua?

oreste

                    Certo, ché il padre vendicai.

pilade

                                                  Preda gradita
tu per lor saresti, immagino.

oreste

                                        Perderò dunque la vita
in silenzio, tremebondo?

pilade

                                             No, sarebbe una viltà.

oreste

Che farò dunque?

pilade

                              Hai speranza di salvarti, a restar qua?


oreste

Niuna!

pilade

               E invece, se vai, scorgi di salvezza qualche strada?

oreste

Sí, se pur vuole il destino.

pilade

                                        Dunque, meglio è che tu vada.

oreste

Vado allor.

pilade

                    Meglio, se muovi, tu morrai.

oreste

                                                            Certo. E cosí
fuggirò di vile il nome.

pilade

                              Piú che fermo stando qui.



oreste

La mia causa è giusta.

pilade

                                        Voto fa’ che tal sembri.

oreste

                                                                           A pietà
si potrebbe alcun commuovere.

pilade

                                             Grande aiuto ti darà
l'esser nobile.

oreste

                         E la morte di mio padre, ond’io m’accoro.

pilade

Tutti il sanno.

oreste

                         E dunque vado: ché morir senza decoro,
è da vile.

pilade

                              Dici bene.


oreste

                                        Dir dobbiamo tutto quanto
ad Elettra?

pilade

                                   No, pei Numi!

oreste

                                        Scoppierebbe certo in pianto.

pilade

E sarebbe un tristo augurio.

oreste

                                        Già, tacere è meglio assai.

pilade

E guadagni tempo.

oreste

                               Un dubbio sol mi resta.

pilade

                                                            E quale mai?


oreste

Che le Dee di nuovo invadermi debbano.

pilade

                                                                           Io ti curerò.

oreste

Un malato a chi lo cura dà gran peso.

pilade

                                                       A me tu no.

oreste

E se poi le Furie invadono anche te?

pilade

                                                  M'invaderanno.

oreste

Tu non esiti?

pilade

                              Esitare con gli amici, è gran malanno.

oreste

Sii timone dei miei passi.


pilade

                                             Tale ufficio è caro a me.

oreste

Accompagnami del padre presso al tumulo.

pilade

                                                                           Perché?

oreste

Vò pregarlo ch’ei mi salvi.

pilade

                                             Giusta brama mi par questa.

oreste

E la tomba ch’io non vegga di mia madre.

pilade

                                                                 T’era infesta.
Or t’affretta, pria che il voto dian gli Argivi, e del mio fianco
al tuo fianco fa’ sostegno, ch’è pel morbo inerte e stanco,
ch’io per mezzo ad Argo, senza della turba darmi cura,
ti sarò guida, senz’onta. Se nell’orrida sciagura
non t’aiuto, dimostrarti quando mai potrò l’affetto?


oreste

Abbi amici, e non parenti soli: è ben saggio quel detto.
Poi che un uom, sia pure estraneo, se d’umor con lui consenti,
ti conviene averlo amico piú di mille tuoi parenti.
Escono, Oreste appoggiandosi a Pilade.

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