< Orlando furioso (1928)
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Canto trentesimottavo
Canto 37 Canto 39

CANTO TRENTESIMOTTAVO

1
     Cortesi donne, che benigna udienza
date a’ miei versi, io vi veggo al sembiante,
che quest’altra sí subita partenza
che fa Ruggier da la sua fida amante,
vi dá gran noia, e avete displicenza
poco minor ch’avesse Bradamante;
e fate anco argumento ch’esser poco
in lui dovesse l’amoroso fuoco.

2
     Per ogni altra cagion ch’allontanato
contra la voglia d’essa se ne fusse,
ancor ch’avesse piú tesor sperato
che Creso o Crasso insieme non ridusse,
io crederia con voi, che penetrato
non fosse al cor lo stral che lo percusse;
ch’un almo gaudio, un cosí gran contento
non potrebbe comprare oro né argento.

3
     Pur, per salvar l’onor, non solamente
d’escusa, ma di laude è degno ancora;
per salvar, dico, in caso ch’altrimente
facendo, biasmo et ignominia fôra:
e se la donna fosse renitente
et ostinata in fargli far dimora,
darebbe di sé indizio e chiaro segno
o d’amar poco o d’aver poco ingegno.


4
     Che se l’amante de l’amato deve
la vita amar piú de la propria, o tanto
(io parlo d’uno amante a cui non lieve
colpo d’Amor passò piú lá del manto);
al piacer tanto piú, ch’esso riceve,
l’onor di quello antepor deve, quanto
l’onore è di piú pregio che la vita,
ch’a tutti altri piaceri è preferita.

5
     Fece Ruggiero il debito a seguire
il suo signor, che non se ne potea,
se non con ignominia, dipartire;
che ragion di lasciarlo non avea.
E s’Almonte gli fe’ il padre morire,
tal colpa in Agramante non cadea;
ch’in molti effetti avea con Ruggier poi
emendato ogni error dei maggior suoi.

6
     Fará Ruggiero il debito a tornare
al suo signore; et ella ancor lo fece,
che sforzar non lo volse di restare,
come potea, con iterata prece.
Ruggier potrá alla donna satisfare
a un altro tempo, s’or non satisfece:
ma all’onor, chi gli manca d’un momento,
non può in cento anni satisfar né in cento.

6
     Torna Ruggiero in Arli, ove ha ritratta
Agramante la gente che gli avanza.
Bradamante e Marfisa, che contratta
col parentado avean grande amistanza,
andaro insieme ove re Carlo fatta
la maggior prova avea di sua possanza,
sperando, o per battaglia o per assedio,
levar di Francia cosí lungo tedio.


8
     Di Bradamante, poi che conosciuta
in campo fu, si fe’ letizia e festa:
ogniun la riverisce e la saluta;
et ella a questo e a quel china la testa.
Rinaldo, come udí la sua venuta,
le venne incontra; né Ricciardo resta
né Ricciardetto od altri di sua gente,
e la raccoglion tutti allegramente.

9
     Come s’intese poi che la compagna
era Marfisa, in arme sí famosa,
che dal Cataio ai termini di Spagna
di mille chiare palme iva pomposa;
non è povero o ricco che rimagna
nel padiglion: la turba disïosa
vien quinci e quindi, e s’urta, storpia e preme
sol per veder sí bella coppia insieme.

10
     A Carlo riverenti appresentârsi.
Questo fu il primo dí (scrive Turpino)
che fu vista Marfisa inginocchiarsi;
che sol le parve il figlio di Pipino
degno, a cui tanto onor dovesse farsi,
tra quanti, o mai nel popul saracino
o nel cristiano, imperatori e regi
per virtú vide o per ricchezza egregi.

11
     Carlo benignamente la raccolse,
e le uscí incontra fuor dei padiglioni;
e che sedesse a lato suo poi volse
sopra tutti re, principi e baroni.
Si diè licenzia a chi non se la tolse;
sí che tosto restaro in pochi e buoni:
restaro i paladini e i gran signori;
la vilipesa plebe andò di fuori.


12
     Marfisa cominciò con grata voce:
— Eccelso, invitto e glorïoso Augusto,
che dal mar Indo alla Tirinzia foce,
dal bianco Scita all’Etïope adusto
riverir fai la tua candida croce,
né di te regna il piú saggio o ’l piú giusto;
tua fama, ch’alcun termine non serra,
qui tratto m’ha fin da l’estrema terra.

13
     E, per narrarti il ver, sola mi mosse
invidia, e sol per farti guerra io venni,
acciò che sí possente un re non fosse,
che non tenesse la legge ch’io tenni.
Per questo ho fatto le campagne rosse
del cristian sangue; et altri fieri cenni
era per farti da crudel nimica,
se non cadea chi mi t’ha fatto amica.

14
     Quando nuocer pensai piú alle tue squadre,
io trovo (e come sia dirò piú ad agio)
che ’l bon Ruggier di Risa fu mio padre,
tradito a torto dal fratel malvagio.
Portommi in corpo mia misera madre
di lá dal mare, e nacqui in gran disagio.
Nutrimmi un mago infin al settimo anno,
a cui gli Arabi poi rubata m’hanno.

15
     E mi vendero in Persia per ischiava
a un re che poi cresciuta io posi a morte;
che mia virginitá tor mi cercava.
Uccisi lui con tutta la sua corte;
tutta cacciai la sua progenie prava,
e presi il regno; e tal fu la mia sorte,
che diciotto anni d’uno o di duo mesi
io non passai, che sette regni presi.


16
     E di tua fama invidïosa, come
io t’ho giá detto, avea fermo nel core
la grande altezza abbatter del tuo nome:
forse il faceva, o forse era in errore.
Ma ora avvien che questa voglia dome,
e faccia cader l’ale al mio furore,
l’aver inteso, poi che qui son giunta,
come io ti son d’affinitá congiunta.

17
     E come il padre mio parente e servo
ti fu, ti son parente e serva anch’io:
e quella invidia e quell’odio protervo
il qual io t’ebbi un tempo, or tutto oblio;
anzi contra Agramante io lo riservo,
e contra ogn’altro che sia al padre o al zio
di lui stato parente, che fur rei
di porre a morte i genitori miei. —

18
     E seguitò, voler cristiana farsi,
e dopo ch’avrá estinto il re Agramante,
voler, piacendo a Carlo, ritornarsi
a battezzare il suo regno in Levante;
et indi contra tutto il mondo armarsi,
ove Macon s’adori e Trivigante;
e con promissïon, ch’ogni suo acquisto
sia de l’Imperio e de la fé di Cristo.

19
     L’imperator, che non meno eloquente
era, che fosse valoroso e saggio,
molto esaltando la donna eccellente,
e molto il padre e molto il suo lignaggio,
rispose ad ogni parte umanamente,
e mostrò in fronte aperto il suo coraggio;
e conchiuse ne l’ultima parola,
per parente accettarla e per figliuola.


20
     E qui si leva, e di nuovo l’abbraccia,
e, come figlia, bacia ne la fronte.
Vengono tutti con allegra faccia
quei di Mongrana e quei di Chiaramonte.
Lungo a dir fôra, quanto onor le faccia
Rinaldo, che di lei le prove conte
vedute avea piú volte al paragone,
quando Albracca assediâr col suo girone.

21
     Lungo a dir fôra, quanto il giovinetto
Guidon s’allegri di veder costei,
Aquilante e Grifone e Sansonetto
ch’alla cittá crudel furon con lei;
Malagigi e Viviano e Ricciardetto,
ch’all’occision de’ Maganzesi rei
e di quei venditori empii di Spagna
l’aveano avuta sí fedel compagna.

22
     Apparecchiâr per lo seguente giorno,
et ebbe cura Carlo egli medesmo,
che fosse un luogo riccamente adorno,
ove prendesse Marfisa battesmo.
I vescovi e gran chierici d’intorno,
che le leggi sapean del cristianesmo,
fece raccorre, acciò da loro in tutta
la santa fé fosse Marfisa instrutta.

23
     Venne in pontificale abito sacro
l’arcivesco Turpino, e battizzolla:
Carlo dal salutifero lavacro
con cerimonie debite levolla.
Ma tempo è ormai ch’al capo vòto e macro
di senno si soccorra con l’ampolla,
con che dal ciel piú basso ne venía
il duca Astolfo sul carro d’Elia.


24
     Sceso era Astolfo dal giro lucente
alla maggiore altezza de la terra,
con la felice ampolla che la mente
dovea sanare al gran mastro di guerra.
Un’erba quivi di virtú eccellente
mostra Giovanni al duca d’Inghilterra:
con essa vuol ch’al suo ritorno tocchi
al re di Nubia e gli risani gli occhi;

25
     acciò per questi e per li primi merti
gente gli dia con che Biserta assaglia.
E come poi quei populi inesperti
armi et acconci ad uso di battaglia,
e senza danno passi pei deserti
ove l’arena gli uomini abbarbaglia,
a punto a punto l’ordine che tegna,
tutto il vecchio santissimo gl’insegna.

26
     Poi lo fe’ rimontar su quello alato
che di Ruggiero, e fu prima d’Atlante.
Il paladin lasciò, licenzïato
da San Giovanni, le contrade sante;
e secondando il Nilo a lato a lato,
tosto i Nubi apparir si vide inante;
e ne la terra che del regno è capo
scese da l’aria, e ritrovò il Senapo.

27
     Molto fu il gaudio e molta fu la gioia
che portò a quel signor nel suo ritorno;
che ben si raccordava de la noia
che gli avea tolta, de l’arpie, d’intorno.
Ma poi che la grossezza gli discuoia
di quello umor che giá gli tolse il giorno,
e che gli rende la vista di prima,
l’adora e cole, e come un Dio sublima:
     


28
     sí che non pur la gente che gli chiede
per muover guerra al regno di Biserta,
ma centomila sopra gli ne diede,
e gli fe’ ancor di sua persona offerta.
La gente a pena, ch’era tutta a piede,
potea capir ne la campagna aperta;
che di cavalli ha quel paese inopia,
ma d’elefanti e de camelli copia.

29
     La notte inanzi il dí che a suo camino
l’esercito di Nubia dovea porse,
montò su l’ippogrifo il paladino,
e verso mezzodí con fretta corse,
tanto che giunse al monte che l’austrino
vento produce, e spira contra l’Orse.
Trovò la cava, onde per stretta bocca,
quando si desta, il furïoso scocca.

30
     E come raccordògli il suo maestro,
avea seco arrecato un utre vòto,
il qual, mentre ne l’antro oscuro alpestro,
affaticato dorme il fiero Noto,
allo spiraglio pon tacito e destro:
et è l’aguato in modo al vento ignoto,
che, credendosi uscir fuor la dimane,
preso e legato in quello utre rimane.

31
     Di tanta preda il paladino allegro,
ritorna in Nubia, e la medesma luce
si pone a caminar col popul negro,
e vettovaglia dietro si conduce.
A salvamento con lo stuolo integro
verso l’Atlante il glorïoso duce
pel mezzo vien de la minuta sabbia,
senza temer che ’l vento a nuocer gli abbia.


32
     E giunto poi di qua dal giogo, in parte
onde il pian si discuopre e la marina,
Astolfo elegge la piú nobil parte
del campo, e la meglio atta a disciplina;
e qua e lá per ordine la parte
a piè d’un colle, ove nel pian confina.
Quivi la lascia, e su la cima ascende
in vista d’uom ch’a gran pensieri intende.

33
     Poi che, inchinando le ginocchia, fece
al santo suo maestro orazïone,
sicuro che sia udita la sua prece,
copia di sassi a far cader si pone.
Oh quanto a chi ben crede in Cristo, lece!
I sassi, fuor di natural ragione
crescendo, si vedean venire in giuso,
e formar ventre e gambe e collo e muso:

34
     e con chiari anitrir giú per quei calli
venian saltando, e giunti poi nel piano
scuotean le groppe, e fatti eran cavalli,
chi baio e chi leardo e chi rovano.
La turba ch’aspettando ne le valli
stava alla posta, lor dava di mano:
sí che in poche ore fur tutti montati;
che con sella e con freno erano nati.

35
     Ottantamila cento e dua in un giorno
fe’, di pedoni, Astolfo cavallieri.
Con questi tutta scórse Africa intorno,
facendo prede, incendi e prigionieri.
Posto Agramante avea fin al ritorno
il re di Fersa e ’l re degli Algazeri,
col re Branzardo a guardia del paese:
e questi si fêr contra al duca inglese;


36
     prima avendo spacciato un suttil legno
ch’a vele e a remi andò battendo l’ali,
ad Agramante aviso, come il regno
patia dal re de’ Nubi oltraggi e mali.
Giorno e notte andò quel senza ritegno,
tanto che giunse ai liti provenzali;
e trovò in Arli il suo re mezzo oppresso,
che ’l campo avea di Carlo un miglio appresso.

37
     Sentendo il re Agramante a che periglio,
per guadagnare il regno di Pipino,
lasciava il suo, chiamar fece a consiglio
principi e re del popul saracino.
E poi ch’una o due volte girò il ciglio
quinci a Marsilio e quindi al re Sobrino,
i quai d’ogni altro fur, che vi venisse,
i duo piú antiqui e saggi, cosí disse:

38
     — Quantunque io sappia come mal convegna
a un capitano dir: non mel pensai,
pur lo dirò; che quando un danno vegna
da ogni discorso uman lontano assai,
a quel fallir par che sia escusa degna:
e qui si versa il caso mio; ch’errai
a lasciar d’arme l’Africa sfornita,
se da li Nubi esser dovea assalita.

39
     Ma chi pensato avria, fuor che Dio solo,
a cui non è cosa futura ignota,
che dovesse venir con sí gran stuolo
a farne danno gente sí remota?
tra i quali e noi giace l’instabil suolo
di quella arena ognior da’ venti mota.
Pur è venuta ad assediar Biserta,
et ha in gran parte l’Africa deserta.


40
     Or sopra ciò vostro consiglio chieggio:
se partirmi di qui senza far frutto,
o pur seguir tanto l’impresa deggio,
che prigion Carlo meco abbi condutto;
o come insieme io salvi il nostro seggio,
e questo imperïal lasci distrutto.
S’alcun di voi sa dir, priego nol taccia,
acciò si trovi il meglio, e quel si faccia. —

41
     Cosí disse Agramante; e volse gli occhi
al re di Spagna, che gli sedea appresso,
come mostrando di voler che tocchi
di quel c’ha detto, la risposta ad esso.
E quel, poi che surgendo ebbe i ginocchi
per riverenzia, e cosí il capo flesso,
nel suo onorato seggio si raccolse;
indi la lingua a tai parole sciolse:

42
     — O bene o mal che la Fama ci apporti,
signor, di sempre accrescere ha in usanza.
Perciò non sará mai ch’io mi sconforti,
o mai piú del dover pigli baldanza
per casi o buoni o rei, che sieno sorti:
ma sempre avrò di par tema e speranza
ch’esser debban minori, e non del modo
ch’a noi per tante lingue venir odo.

43
     E tanto men prestar gli debbo fede,
quanto piú al verisimile s’oppone.
Or se gli è verisimile si vede,
ch’abbia con tanto numer di persone
posto ne la pugnace Africa il piede
un re di sí lontana regïone,
traversando l’arene a cui Cambise
con male augurio il popul suo commise.


44
     Crederò ben, che sian gli Arabi scesi
da le montagne, et abbian dato il guasto,
e saccheggiato, e morti uomini e presi,
ove trovato avran poco contrasto;
e che Branzardo che di quei paesi
luogotenente e viceré è rimasto,
per le decine scriva le migliaia,
acciò la scusa sua piú degna paia.

45
     Vo’ concedergli ancor che sieno i Nubi
per miracol dal ciel forse piovuti:
o forse ascosi venner ne le nubi;
poi che non fur mai per camin veduti.
Temi tu che tal gente Africa rubi,
se ben di piú soccorso non l’aiuti?
Il tuo presidio avria ben trista pelle,
quando temesse un populo sí imbelle.

46
     Ma se tu mandi ancor che poche navi,
pur che si veggan gli stendardi tuoi,
non scioglieran di qua sí tosto i cavi,
che fuggiranno nei confini suoi
questi, o sien Nubi o sieno Arabi ignavi,
ai quali il ritrovarti qui con noi,
separato pel mar da la tua terra,
ha dato ardir di romperti la guerra.

47
     Or piglia il tempo che, per esser senza
il suo nipote Carlo, hai di vendetta:
poi ch’Orlando non c’è, far resistenza
non ti può alcun de la nimica setta.
Se per non veder lasci, o negligenza,
l’onorata vittoria che t’aspetta,
volterá il calvo, ove ora il crin ne mostra,
con molto danno e lunga infamia nostra. —


48
     Con questo et altri detti accortamente
l’Ispano persuader vuol nel concilio
che non esca di Francia questa gente,
fin che Carlo non sia spinto in esilio.
Ma il re Sobrin, che vide apertamente
il camino a che andava il re Marsilio,
che piú per l’util proprio queste cose,
che pel commun dicea, cosí rispose:

49
     — Quando io ti confortava a stare in pace,
fosse io stato, signor, falso indovino;
o tu, se io dovea pure esser verace,
creduto avessi al tuo fedel Sobrino,
e non piú tosto a Rodomonte audace,
a Marbalusto, a Alzirdo e a Martasino,
li quali ora vorrei qui avere a fronte:
ma vorrei piú degli altri Rodomonte,

50
     per rinfacciargli che volea di Francia
far quel che si faria d’un fragil vetro,
e in cielo e ne lo ’nferno la tua lancia
seguire, anzi lasciarsela di dietro;
poi nel bisogno si gratta la pancia
ne l’ozio immerso abominoso e tetro:
et io, che per predirti il vero allora
codardo detto fui, son teco ancora;

51
     e sarò sempremai, fin ch’io finisca
questa vita ch’ancor che d’anni grave,
porsi incontra ogni dí per te s’arrisca
a qualunque di Francia piú nome have.
Né sará alcun, sia chi si vuol, ch’ardisca
di dir che l’opre mie mai fosser prave:
e non han piú di me fatto, né tanto,
molti che si donâr di me piú vanto.


52
     Dico cosí, per dimostrar che quello
ch’io dissi allora, e che ti voglio or dire,
né da viltade vien né da cor fello,
ma d’amor vero e da fedel servire.
Io ti conforto ch’al paterno ostello,
piú tosto che tu pòi, vogli redire;
che poco saggio si può dir colui
che perde il suo per acquistar l’altrui.

53
     S’acquisto c’è, tu ’l sai. Trentadui fummo
re tuoi vassalli a uscir teco del porto:
or, se di nuovo il conto ne rassummo,
c’è a pena il terzo, e tutto ’l resto è morto.
Che non ne cadan piú, piaccia a Dio summo:
ma se tu vuoi seguir, temo di corto,
che non ne rimarrá quarto né quinto;
e ’l miser popul tuo fia tutto estinto.

54
     Ch’Orlando non ci sia, ne aiuta; ch’ove
sián pochi, forse alcun non ci saria.
Ma per questo il periglio non rimuove,
se ben prolunga nostra sorte ria.
Ecci Rinaldo, che per molte prove
mostra che non minor d’Orlando sia:
c’è il suo lignaggio e tutti i paladini,
timore eterno a’ nostri Saracini.

55
     Et hanno appresso quel secondo Marte
(ben che i nimici al mio dispetto lodo),
io dico il valoroso Brandimarte,
non men d’Orlando ad ogni prova sodo;
del qual provata ho la virtude in parte,
parte ne veggo all’altrui spese et odo.
Poi son piú dí che non c’è Orlando stato;
e piú perduto abbián che guadagnato.


56
     Se per adietro abbián perduto, io temo
che da qui inanzi perderen piú in grosso.
Del nostro campo Mandricardo è scemo:
Gradasso il suo soccorso n’ha rimosso:
Marfisa n’ha lasciata al punto estremo,
e cosí il re d’Algier, di cui dir posso
che, se fosse fedel come gagliardo,
poco uopo era Gradasso o Mandricardo.

57
     Ove sono a noi tolti questi aiuti,
e tante mila son dei nostri morti;
e quei ch’a venir han, son giá venuti,
né s’aspetta altro legno che n’apporti:
quattro son giunti a Carlo, non tenuti
manco d’Orlando o di Rinaldo forti;
e con ragion; che da qui sino a Battro
potresti mal trovar tali altri quattro.

58
     Non so se sai chi sia Guidon Selvaggio
e Sansonetto e i figli d’Oliviero.
Di questi fo piú stima e piú tema aggio,
che d’ogni altro lor duca e cavalliero
che di Lamagna o d’altro stran linguaggio
sia contra noi per aiutar l’Impero:
ben ch’importa anco assai la gente nuova
ch’a’ nostri danni in campo si ritrova.

59
     Quante volte uscirai alla campagna,
tanto avrai la peggiore, o sarai rotto.
Se spesso perdé il campo Africa e Spagna,
quando sián stati sedici per otto,
che sará poi ch’Italia e che Lamagna
con Francia è unita, e ’l populo anglo e scotto,
e che sei contra dodici saranno?
Ch’altro si può sperar, che biasmo e danno?


60
     La gente qui, lá perdi a un tempo il regno,
s’in questa impresa piú duri ostinato;
ove, s’al ritornar muti disegno,
l’avanzo di noi servi con lo stato.
Lasciar Marsilio è di te caso indegno,
ch’ognun te ne terrebbe molto ingrato;
ma c’è rimedio, far con Carlo pace;
ch’a lui deve piacer, se a te pur piace.

61
     Pur se ti par che non ci sia il tuo onore,
se tu, che prima offeso sei, la chiedi;
e la battaglia piú ti sta nel core,
che, come sia fin qui successa, vedi;
studia almen di restarne vincitore;
il che forse averrá, se tu mi credi;
se d’ogni tua querela a un cavalliero
darai l’assunto, e se quel fia Ruggiero.

62
     Io ’l so, e tu ’l sai che Ruggier nostro è tale,
che giá da solo a sol con l’arme in mano
non men d’Orlando o di Rinaldo vale,
né d’alcun altro cavallier cristiano.
Ma se tu vuoi far guerra universale,
ancor che ’l valor suo sia sopraumano,
egli però non sará piú ch’un solo,
et avrá di par suoi contra uno stuolo.

63
     A me par, s’a te par, ch’a dir si mandi
al re cristian, che per finir le liti,
e perché cessi il sangue che tu spandi
ognior de’ suoi, egli de’ tuo’ infiniti;
che contra un tuo guerrier tu gli domandi
che metta in campo uno dei suoi piú arditi;
e faccian questi duo tutta la guerra,
fin che l’un vinca, e l’altro resti in terra:


64
     con patto, che qual d’essi perde, faccia
che ’l suo re all’altro re tributo dia.
Questa condizïon non credo spiaccia
a Carlo, ancor che sul vantaggio sia.
Mi fido sí ne le robuste braccia
poi di Ruggier, che vincitor ne fia;
e ragion tanta è da la nostra parte,
che vincerá, s’avesse incontra Marte. —

65
     Con questi et altri piú efficaci detti
fece Sobrin sí che ’l partito ottenne;
e gl’interpreti fur quel giorno eletti,
e quel dí a Carlo l’imbasciata venne.
Carlo ch’avea tanti guerrier perfetti,
vinta per sé quella battaglia tenne,
di cui l’impresa al buon Rinaldo diede,
in ch’avea, dopo Orlando, maggior fede.

66
     Di questo accordo lieto parimente
l’uno esercito e l’altro si godea;
che ’l travaglio del corpo e de la mente
tutti avea stanchi e a tutti rincrescea.
Ognun di riposare il rimanente
de la sua vita disegnato avea;
ogniun maledicea l’ire e i furori
ch’a risse e a gare avean lor desti i cori.

67
     Rinaldo che esaltar molto si vede,
che Carlo in lui di quel che tanto pesa,
via piú ch’in tutti gli altri, ha avuto fede,
lieto si mette all’onorata impresa.
Ruggier non stima; e veramente crede
che contra sé non potrá far difesa:
che suo pari esser possa non gli è aviso,
se ben in campo ha Mandricardo ucciso.


68
     Ruggier da l’altra parte, ancor che molto
onor gli sia che ’l suo re l’abbia eletto,
e pel miglior di tutti i buoni tolto,
a cui commetta un sí importante effetto;
pur mostra affanno e gran mestizia in volto,
non per paura che gli turbi il petto;
che non ch’un sol Rinaldo, ma non teme
se fosse con Rinaldo Orlando insieme:

69
     ma perché vede esser di lui sorella
la sua cara e fidissima consorte
ch’ognior scrivendo stimula e martella,
come colei ch’è ingiurïata forte.
Or s’alle vecchie offese aggiunge quella
d’entrare in campo a porle il frate a morte,
se la fará, d’amante, cosí odiosa,
ch’a placarla mai piú fia dura cosa.

70
     Se tacito Ruggier s’affligge et ange
de la battaglia che mal grado prende,
la sua cara moglier lacrima e piange,
come la nuova indi a poche ore intende.
Batte il bel petto, e l’auree chiome frange,
e le guancie innocenti irriga e offende;
e chiama con ramarichi e querele
Ruggiero ingrato, e il suo destin crudele.

71
     D’ogni fin che sortisca la contesa,
a lei non può venirne altro che doglia.
Ch’abbia a morir Ruggiero in questa impresa,
pensar non vuol; che par che ’l cor le toglia.
Quando anco, per punir piú d’una offesa,
la ruina di Francia Cristo voglia,
oltre che sará morto il suo fratello,
seguirá un danno a lei piú acerbo e fello:


72
     che non potrá, se non con biasmo e scorno,
e nimicizia di tutta sua gente,
fare al marito suo mai piú ritorno,
sí che lo sappia ognun publicamente,
come s’avea, pensando notte e giorno,
piú volte disegnato ne la mente:
e tra lor era la promessa tale,
che ’l ritrarsi e il pentir piú poco vale.

73
     Ma quella usata ne le cose avverse
di non mancarle di soccorsi fidi,
dico Melissa maga, non sofferse
udirne il pianto e i dolorosi gridi;
e venne a consolarla, e le proferse,
quando ne fosse il tempo, alti sussidi,
e disturbar quella pugna futura
di ch’ella piange e si pon tanta cura.

74
     Rinaldo intanto e l’inclito Ruggiero
apparechiavan l’arme alla tenzone,
di cui dovea l’eletta al cavalliero
che del romano Imperio era campione:
e come quel, che poi che ’l buon destriero
perdé Baiardo, andò sempre pedone,
si elesse a piè, coperto a piastra e a maglia,
con l’azza e col pugnal far la battaglia.

75
     O fosse caso, o fosse pur ricordo
di Malagigi suo provido e saggio,
che sapea quanto Balisarda ingordo
il taglio avea di fare all’arme oltraggio;
combatter senza spada fur d’accordo
l’uno e l’altro guerrier, come detto aggio.
Del luogo s’accordâr presso alle mura
de l’antiquo Arli, in una gran pianura.


76
     A pena avea la vigilante Aurora
da l’ostel di Titon fuor messo il capo,
per dare al giorno terminato, e all’ora
ch’era prefissa alla battaglia, capo;
quando di qua e di lá vennero fuora
i deputati; e questi in ciascun capo
degli steccati i padiglion tiraro,
appresso ai quali ambi un altar fermaro.

77
     Non molto dopo, instrutto a schiera a schiera,
si vide uscir l’esercito pagano.
In mezzo armato e suntuoso v’era
di barbarica pompa il re africano;
e s’un baio corsier di chioma nera,
di fronte bianca, e di duo piè balzano,
a par a par con lui venía Ruggiero,
a cui servir non è Marsilio altiero.

78
     L’elmo, che dianzi con travaglio tanto
trasse di testa al re di Tartaria,
l’elmo, che celebrato in maggior canto
portò il troiano Ettòr mill’anni pria,
gli porta il re Marsilio a canto a canto:
altri principi et altra baronia
s’hanno partite l’altr’arme fra loro,
ricche di gioie e ben fregiate d’oro.

79
     Da l’altra parte fuor dei gran ripari
re Carlo usci con la sua gente d’arme,
con gli ordini medesmi e modi pari
che terria se venisse al fatto d’arme.
Cingonlo intorno i suoi famosi pari;
e Rinaldo è con lui con tutte l’arme,
fuor che l’elmo che fu del re Mambrino,
che porta Ugier Danese paladino.


80
     E di due azze ha il duca Namo l’una,
e l’altra Salamon re di Bretagna.
Carlo da un lato i suoi tutti raguna;
da l’altro son quei d’Africa e di Spagna.
Nel mezzo non appar persona alcuna:
vòto riman gran spazio di campagna,
che per bando commune a chi vi sale,
eccetto ai duo guerrieri, è capitale.

81
     Poi che de l’arme la seconda eletta
si diè al campion del populo pagano,
duo sacerdoti, l’un de l’una setta,
l’altro de l’altra, uscîr coi libri in mano.
In quel del nostro è la vita perfetta
scritta di Cristo; e l’altro è l’Alcorano.
Con quel de l’Evangelio si fe’ inante
l’imperator, con l’altro il re Agramante.

82
     Giunto Carlo all’altar che statuito
i suoi gli aveano, al ciel levò le palme,
e disse: — O Dio, c’hai di morir patito
per redimer da morte le nostr’alme;
o Donna, il cui valor fu sí gradito,
che Dio prese da te l’umane salme,
e nove mesi fu nel tuo santo alvo,
sempre serbando il fior virgineo salvo:

83
     siatemi testimoni, ch’io prometto
per me e per ogni mia successïone
al re Agramante, et a chi dopo eletto
sará al governo di sua regione,
dar venti some ogni anno d’oro schietto,
s’oggi qui riman vinto il mio campione;
e ch’io prometto subito la triegua
incominciar, che poi perpetua segua:


84
     e se ’n ciò manco, subito s’accenda
la formidabil ira d’ambidui,
la qual me solo e i miei figliuoli offenda,
non alcun altro che sia qui con nui;
sí che in brevissima ora si comprenda
che sia il mancar de la promessa a vui. —
Cosí dicendo, Carlo sul Vangelo
tenea la mano, e gli occhi fissi al cielo.

85
     Si levan quindi, e poi vanno all’altare
che riccamente avean pagani adorno;
ove giurò Agramante, ch’oltre al mare
con l’esercito suo faria ritorno,
et a Carlo daria tributo pare,
se restasse Ruggier vinto quel giorno;
e perpetua tra lor triegua saria,
coi patti ch’avea Carlo detti pria.

86
     E similmente con parlar non basso,
chiamando in testimonio il gran Maumette,
sul libro ch’in man tiene il suo papasso,
ciò che detto ha, tutto osservar promette.
Poi del campo si partono a gran passo,
e tra i suoi l’uno e l’altro si rimette:
poi quel par di campioni a giurar venne;
e ’l giuramento lor questo contenne:

87
     Ruggier promette, se de la tenzone
il suo re viene o manda a disturbarlo,
che né suo guerrier piú, né suo barone
esser mai vuol, ma darsi tutto a Carlo.
Giura Rinaldo ancor, che se cagione
sará del suo signor quindi levarlo,
fin che non resti vinto egli o Ruggiero,
si fará d’Agramante cavalliero.


88
     Poi che le cerimonie finite hanno,
si ritorna ciascun da la sua parte;
né v’indugiano molto, che lor danno
le chiare trombe segno al fiero marte.
Or gli animosi a ritrovar si vanno,
con senno i passi dispensando et arte.
Ecco si vede incominciar l’assalto,
sonar il ferro, or girar basso, or alto.

89
     Or inanzi col calce, or col martello
accennan quando al capo e quando al piede,
con tal destrezza e con modo sí snello,
ch’ogni credenza il raccontarlo eccede.
Ruggier che combattea contra il fratello
di chi la misera alma gli possiede,
a ferir lo venía con tal riguardo,
che stimato ne fu manco gagliardo.

90
     Era a parar, piú ch’a ferire, intento,
e non sapea egli stesso il suo desire:
spegner Rinaldo saria malcontento,
né vorria volentieri egli morire.
Ma ecco giunto al termine mi sento,
ove convien l’istoria diferire.
Ne l’altro canto il resto intenderete,
s’udir ne l’altro canto mi vorrete.

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