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OSSERVAZIONI
SULL’ARCHITETTURA
DELL’ANTICO TEMPIO DI GIRGENTI IN SICILIA.
Queste Osservazioni non sembreranno certamente inutili a quelli, cui è nota la grand’opera del P. Pancrazi sulle Antichità della Sicilia; giacchè quello scrittore non entra, per così dire, in alcun dettaglio sull’Architettura di quel tempio, e degli altri edifizj, de’ quali ha date le Tavole. Gli uomini dotti non amano di allontanarti da quella strada, che sonosi prefissa. Quindi è che il signor canonico Mazochi, uomo dei più dotti de’ nostri tempi, nella sua erudita dissertazione sulla città di Pesto, che trovasi unita alla di lui spiegazione delle Tavole Eracleensi1, passa del tutto sotto silenzio, come se non vi fosse mai stato, il tempio di Pesto, del quale parlerò io qui di passaggio2.
§. 1. Il P. Pancrazi dell’ordine de’ Teatini vive ancora attualmente (nel 1759.) in Cortona sua patria, fuori del suo ordine, e ritirato dal mondo a motivo di essere quasi rimbambito per non aver potuto arrivare a far le spese, che richiedeva la sua opera; essendosi trovato deluso delle speranze, che avea sondate principalmente sulla generosità degl’Inglesi, a’ quali avea dedicate le Tavole; perchè non ben conoscendo la nazione Britannica, egli avea creduta una cosa stessa l’idea, che se ne era formata, e la liberalità, che ne aspettava3.
$. 2. Siccome il suo progetto era di fare un’opera considerabile, fece stampare intiere le lettere di Falaride, ch’ei prese per fondamento della storia della città di Akragas, detta dai Romani Agrigento, e oggidì Girgenti. Si appoggia sull’autorità di Dodwello, il quale, contro ogni verosimiglianza, sostiene quelle lettere per autentiche. E’ credibile che l’autore non abbia letta l’ultima dissertazione, che su di esse ha scritta Bentley in lingua inglese, rara assai nell’Italia; non potendo io pensare, che dopo ricerche sì dotte, vi resti che dire a quel proposito4.
§. 3. Non è mia intenzione di fare delle osservazioni critiche sulle Antichità della Sicilia; ma soltanto di mettere insieme qualche osservazione sull’Architettura dorica dei più antichi tempi, intorno allo stile della quale nè Vitruvio, nè quei, che sono venuti dopo di lui, ci hanno fatta parola. Coloro, che sin ad ora hanno voluto scrivere la storia della greca Architettura, sono stati costretti a saltare con Vitruvio dal tempo, in cui la necessità di premunirsi dalle intemperie dell’aria insegnò l’arte di fabbricare le capanne, ed inalzar le case5, a quello, in cui l’Architettura fu portata alla maggior perfezione. Cercherò pertanto di riempire il lasso di tempo, che è trascorso fra quelli due periodi dell’arte6; limitandomi peraltro a delle ricerche, per cui non faccia mestieri di Tavole in rame. Le mie circostanze non mi hanno ancora permesso di vedere le antichità di Girgenti; onde non istabilirò ciò, che io sono per dirne, se non che sulle osservazioni comunicatemi dal sig. Roberto Mylne scozzese, grande amatore dell’Architettura, il quale ha veduto, ed esaminato con molta diligenza gli avanzi degli antichi edifizj della Sicilia, e da poco tempo è ritornato alla sua patria.
$. 4. Le misure, delle quali mi servirò, sono prese sul piede d’Inghilterra, che il lettore potrà facilmente paragonare, e ridurre alle altre misure. Il piede inglese è più piccolo dell’antico piede greco; ma questa differenza si riduce a pochissimo. Esso è composto di dodici pollici, ed è di un 875/100000 di pollice più piccolo dell’altro. Quello di Parigi è più grande del piede inglese, e contiene un 8160/10000 de’ suoi pollici di più. Se si divide il piede parigino in dieci mila parti, il piede greco ne avrà soltanto 9431. Questo ragguaglio esatto mi è stato dato dal signor Henry, scudiere scozzese, che si è renduto celebre pei suoi viaggi, e lo ha ricavato dalle osservazioni, che ha fatte sul confronto delle misure per rettificare le Tavole d’Arbuthnot. Il signor Henry dimora da qualche tempo a Firenze.
§. 5. Il tempio della Concordia a Girgenti è senza dubbio uno de’ più antichi edifizj greci, che v’abbiano al mondo; e la parte sua citeriore è tutta conservata. L’autore delle spiegazioni delle Antichità della Sicilia ne ha data la pianta, e l’alzata7, senza entrare in alcuna descrizione, perchè la persona, ch’egli aveva impiegata per fame il disegno, si era riservata per sè questa parte. Ma è cosa difficile il trattare di questa materia quando non si ha cognizione veruna dell’Architettura.
§. 6. Quello tempio è di ordine dorico, ed esastico-perittero, vale a dire, che il suo peristilio è sostenuto da una ferie di colonne isolate, e che ne ha sei avanti, e sei dietro, le quali formano il pronao, e l’opistodomo8, ossiano due portici liberi all’ingresso, e alla parte opposta. Da ciascun lato ha undici colonne, oppure tredici, contandovi per due volte quelle degli angoli. A Pesto, sul golfo di Salerno, vi sono due tempi, l’esterno de’ quali rassomiglia perfettamente a questo di Girgenti, e che dimostrano un’eguale antichità9. Si aveva di già la descrizione del tempio di Girgenti da qualche tempo; ma non sono più che dieci anni da che si è cominciato a parlare di quei di Pesto10, sebbene questi non abbiano sofferto verun danno, e sieno stati sempre liberamente esposti alla vista di tutti in una gran pianura deserta sulla riva del mare. La mancanza di notizie intorno a quelle fabbriche è stata cagione di non essersi conosciuta sin al presente alcun’altra opera dell’ordine dorico dei Greci fuor che le colonne del prim’ordine nel teatro di Marcello, dell’anfiteatro di Vespasiano11, e quelle di un portico a Verona12.
§. 7. Le colonne del tempio di Girgenti non hanno, compresivi anche i capitelli, cinque diametri d’altezza, misurati dalla parte inferiore, come quelle di Pesto13. Vitruvio sissa l’altezza delle colonne doriche a sette diametri14, o quattordici moduli, che è lo stesso; perchè il modulo fa la metà del diametro. Ciò non ostante, siccome quello scrittore15 ha voluto determinare le sue misure dell’Architettura secondo le proporzioni del corpo umano, parte sul mistero di certi numeri, e in parte sull’armonia; non ha potuto dare altre ragioni di quelli sette diametri, che il suo numero misterioso di sette: il che dee mettersi coi sogni dei moderni rispetto al numero sette nella musica. Si potrebbe trovare qualche fondamento di sei diametri delle colonne nella proporzione del piede umano, che i più antichi statuarj hanno riguardato come la sesta parte dell’altezza d’una figura16. Quanto all’altezza delle colonne, di cui trattiamo, deesene cercar la ragione nella pianta del tempio, non già nelle colonne stesse; perocchè la loro proporzione non può essere determinata dal diametro intiero, mancando un piede, e un pollice a quel che è di più dei quattro diametri. Io trovo che l’altezza delle colonne è uguale alla larghezza del tempio, la quale nei tempj dorici era sempre la metà della lunghezza di tutto il tempio, o della cella solamente. Non bisognava dunque ricercar qui la giusta proporzione in qualche cosa fuori dell’edifizio, perchè dessa ritrovasi nello stesso tempio.
§. 8. Se potesse spiegarsi letteralmente un passo di Plinio, ove dice che ne’ più antichi tempi l’altezza delle colonne era il terzo della larghezza del tempio17, le colonne doveano essere anche più basse di quelle, che esaminiamo: perciocchè se noi fissiamo a cinquanta piedi la lunghezza di un tempio, e per conseguenza la larghezza a venticinque, le colonne avranno circa gli otto piedi d’altezza. Ora se noi prendiamo due piedi per il diametro delle colonne, quelle non avranno che quattro diametri d’altezza.
§. 9. Queste colonne sono di forma conica, della quale dobbiamo attribuirne la ragione alle ville dell’architetto, anzichè alla loro proporzione. Una forma cilindrica con diametri uguali in cima, e in fondo, avrebbe esporre le pietre, di cui son fatte le colonne, a fendersi, e screpolarsi; perchè il peso dell’intavolato non avrebbe principalmente gravitato sull’asse del cilindro, come avviene della forma conica, la di cui diminuzione accosta di più il punto d’appoggio. Hanno queste colonne delle scanalature doriche, vale a dire, che i due canali si uniscono in angolo acuto; all’opposto delle scanalature joniche, e delle corintie, che hanno il pianetto.
§. 10. L’intavolato di quello tempio, come quello degli altri, è composto di tre parti: dell’architrave, che posa immediatamente sul capitello delle colonne, del fregio, e della cornice. Insegna Vitruvio18 che l’altezza delle parti dell’intavolato sia proporzionata all’altezza delle colonne; e qualche moderno architetto pretende, che l’architrave non debba superare di molto la metà del fregio. Ciò non pertanto non si ha che l’una, e l’altra di quelle regole siano state note da una remota antichità; vedendosi al tempio di Girgenti, e a quelli di Pesto, l’intavolato grandioso, e magnifico oltre ciò che potea richiedere l’altezza delle colonne19. A colpo d’occhio l’architrave, e il fregio sembrano avere la stessa altezza; e che sia stato così veramente, come pare, porrà dedursi dalla misura dell’intavolato del tempio di Giove Olimpico. La cornice ha presso a poco tre quarti dell’altezza del fregio.
§. 11. La proporzione dei triglifi, e delle metope, o dell’intervallo quadrato fra quelli triglifi, è la stessa, che agli altri edifizj d’ordine dorico, a noi cogniti. Ma siccome in Roma non c’è alcun edifizio intiero di quell’ordine, non può vedersi se non se in quelli tempj la distribuzione degli antichi nella simmetria relativamente ai triglifi sulle colonne del!’ angolo, li quali non poggiano sul mezzo di esse, ma bensì più in fuori all’angolo del fregio, per non lasciar quest’angolo nudo20. I triglifi di quelli tempj non sono lavorati sul fregio stesso, ma vi sono incastrati; e ad uno dei tempj di Pesto uno solo ve n’è rimasto, essendone stati senza dubbio tolti gli altri ne’ tempi barbari21.
§. 12. Siccome i triglifi sulle quattro colonne degli angoli sono polli allo spigolo del fregio, le loro metope devono essere un poco più larghe di quelle degli altri: il che non si cono Ice alla semplice vista, perchè le colonne degli angoli sono più vicine che quelle di mezzo, in maniera che l’intercolonnio delle tre colonne di ciascun angolo è più piccolo di quelli, che vengono appresso; con questa differenza però, che il primo intervallo è più piccolo del secondo, e quello più del terzo: differenza, che non può avvertirli colf occhio, ma solo col compasso. Queste colonne più strette negli angoli non hanno altro oggetto che la maggior solidità della fabbrica, come può facilmente rilevarsi22.
§. 13. Le cinque grandi aperture rotonde in alto, che servono di finestre al tempio di Girgenti, sono state fatte, come si conosce visibilmente, in tempi posteriori, e probabilmente dai Saraceni, i quali si sono serviti di questo tempio, come è noto; imperocchè i tempj quadrati degli antichi generalmente non aveano altra luce che dalla porta23.
§. 14. Gli stipiti delle porte del tempio di Girgenti ne sono stati tolti, come anche a quelle di Pesto; ma è credibile che siano stati più stretti in cima, che al basso a modo delle porte doriche descritte da Vitruvio, quali si vedono a un altro piccolo tempio di Girgenti, al quale gli abitanti hanno dato il nome di Oratorio di Falari. Il disegnatore del P. Pancrazi ha nascosta, non so perchè, questa porta nella sua Tavola, ponendole avanti un albero24; cosicchè non può vedersene la forma. E’ stata murata dai monaci, che ne hanno fatta aprire un’altra dalla parte opposta ove non era, per poter collocare l’altare verso quel punto del cielo25.
§. 15. Questa specie di porte non era propria dell’ordine dorico solamente, come potrebbe credersi leggendo Vitruvio26; ma pare che nella più remota antichità sovente loro si sia data quella forma: almeno è certo, che esse erano in uso presso gli Egiziani, e se ne hanno esempj nelle porte, che veggono nella Tavola Isiaca, e in molte pietre egiziane intagliate27. La solidità era la sola ragione, per cui si desse alle porte quella forma; imperciocchè il peso, e la mole dell’edifizio non gravita solamente sull’architrave della porta; ma anche sugli stipiti, che sono inclinati.
§. 16. Gli ornati del tempio di Girgenti, e di quei di Pesto sono, come lo erano generalmente quei de’ più antichi tempi, semplici, e massicci. Si ricercava dagli antichi piuttosto la grandiosità, nella quale consiste la vera magnificenza. Quindi è che i membri di quello tempio hanno una grande projezione, e molto più che al tempo di Vitruvio, o di quello che insegni quello architetto. Un gusto diametralmente opposio a quello degli antichi si osserva agli edifizj di Firenze, e di Napoli, alzati poco dopo il rinascimento dell’arte; perocchè essendosi in Italia sempre mantenuta più che altrove l’idea dell’Architettura antica, si formò di questa specie di reminiscenza, e di gusto di quel tempo una certa pratica mista. Si lasciarono appena vedere le cornici, e grondaje, perchè si cercò la bellezza nelle piccole cose. La semplicità consiste fra le altre cose, in un piccolo risalto, o incurvamento delle parti; e perciò non hanno i nostri tempj nè gusci, nè cimasa convessa; ma tutto vi è fatto in linea quali retta, eccettuato il capitello, che è generalmente ornato di ovoli, e ai tempj di Pesto forma una tazza molto soppressa, ma senza gli ovoli. Sullo stesso gusto sono fatte le più antiche are, e cenotafj28; e da questo possiamo provare la loro remota antichità.
§. 17. Le principali ricerche del P. Pancrazi sono state limitate a ritrovare fra le ruine dell’antica città d’Agrigento il tempio di Giove Olimpico, di cui gli fecero trovare il sito gli ammassi di pietre, e la tradizione del nome conservatasi presso gli abitanti di quei contorni29. Non vi si scorge altro, dic’egli, e non è possibile di formarsi la minima idea della pianta, o dell’area, che occupava quello tempio. Tutto ciò, che potè rinvenire fu un solo triglifo, il quale servì a provare, che era d’ordine dorico; e degli intacchi a modo di ferro di cavallo in qualche pietra, i quali secondo la sua opinione, hanno servito per alzare queste pietre con maggior facilità. Egli cita il passo di Diodoro di Sicilia, che riguarda questo tempio, senza aggiugnervi riflessione alcuna. Neppur Fazelli ne ha detto di più.
§. 18. Secondo Diodoro30 questo tempio di Giove era il più grande di tutti quelli della Sicilia, e poteva essere paragonato per quella parte ai più belli tempj, che si trovassero al mondo. Egli dà la misura della sua lunghezza, larghezza, ed altezza, siccome del diametro delle colonne.
§. 19. Si vede ancora oggidì l’intiero piano dei fondamenti di quello tempio, che sta esposto agli occhi di tutto il mondo; ma per vero dire circondato da ruine ammontonate le une sulle altre, sopra le quali né l’autore delle Antichità della Sicilia, né il suo compagno hanno badato di osservare. Tali ruine occupano uno spazio di terreno coperto d’erba, il quale fa sì ben conoscere il piano del tempio, che in qualche parte si vedono gli scalini, ond’era circondato. Si osserva anche un luogo, ove è stato scavato alla profondità di cinque braccia nei fondamenti.
§. 20. L’estensione di questo sito si accorda alle misure, che Diodoro ha date del tempio, e arriva per lunghezza a trecento quaranta piedi. Secondo la misura inglese è di trecento quarantacinque piedi, perchè il piede inglese è un poco più piccolo del piede greco, come ho detto innanzi. La larghezza dello stesso piano è di cento sessantacinque piedi; il che differisce molto dalla misura di sessanta piedi, che gli assegna Diodoro.
§. 21. Ma se la larghezza di un tempio esser dee la metà della sua lunghezza, e cento settanta essendo la metà di trecento quaranta, la misura della sua larghezza attuale, che non può prenderli tanto esatta sotto le ruine, s’avvicinerebbe di molto a quella dimensione. In conseguenza la misura di sessanta piedi data da Diodoro non può esser giusta, e vi manca sicuramente un centinajo prima del numero sessanta31. La menoma riflessione, che fosse stata fatta sulle dimensioni date dagli antichi ai loro tempj, avrebbe dovuto far dubitare della esattezza del testo greco di quello scrittore32: eppure niuno v’ha pensato sinora. I manoscritti di Diodoro, che ho veduti in Roma, e a Firenze, come quelli eziandio della biblioteca Chigi in Roma, i quali sono i più antichi, si accordano tutti colla lezione stampata. Non dobbiamo figurarci che i Greci abbiano fabbricati i loro tempj a norma del piano di una certa cattedrale protestante, costrutta non ha molto in Germania, dando loro una facciata della sesta parte della loro lunghezza.
§. 22. L’altezza di quello tempio, senza comprendervi gli scalini d’intorno (χωρὶς τοῦ κρηπιδῶματος) era di cento venti piedi. La parola κρηπιδῶμα non è stata intesa dai traduttori, i quali hanno creduto che significhi li fondamenti. Il nuovo traduttor francese ha voluto fare il critico su questo passo; ma non ha fatto che provare la sua ignoranza33. Crede che debba intendersi per la cornice. E perchè? perchè δῶμα significa anche la parte superiore di una casa; il che avrebbe almeno dovuto provare34. Altronde non v’è chi ignori che la cornice non serve a coprire la volta.
§. 23. Le colonne al di fuori erano rotonde, e quadrate dentro, giusta l’espressone di Diodoro, che il traduttor latino passa colla stessa brevità. Per quadrate in dentro può intendersi, che quelle colonne fossero tagliate in quadro nel muro. A Bolsena si trova un pezzo d’una colonna di porfido da una parte semicircolare, e dall’altra parte quadrata. Nondimeno io credo che Diodoro abbia voluto dire, che quello tempio aveva nell’esterno delle colonne semicircolari, e che nell’interno fosse ornato di pilastri35.
§. 24. Quelle colonne semicircolari aveano venti piedi di circonferenza. L’interno (parola, che neppur ha capita il traduttore), l’interno dico di quelle colonne, era di dodici piedi36. Se il diametro d’una colonna preso tre volte ne fa tutta la circonferenza, che farebbe qui di trentasei piedi, la metà di quella circonferenza farebbe stata di diciotto piedi: ma siccome era di venti piedi, convien dire che le colonne avessero descritto di più di un semicircolo. Qualche pezzo di esse ci ha provato, che quella misura era esatta; perocchè il diametro era poco più di undici piedi inglesi, che si sono potuti determinare sopra molti pezzi troncati. Il diametro delle otto colonne semicircolari della facciata della chiesa di s. Pietro in Vaticano, che sono le colonne più grandi fatte dai moderni, deve essere a un di presso di nove piedi inglesi; donde possiamo farci un’idea della grandezza delle colonne del tempio di Giove.
§. 25. Vitruvio, parlando delle differenti specie di tempj, non fa menzione alcuna di quelle con colonne semicircolari37. Neppure si trova presso alcun antico scrittore la menoma cosa d’un edifizio greco sì antico. Il tempio della Fortuna Virile in Roma, oggidì convertito nella chiesa di s. Maria Egiziaca38, il più cattivo di tutti gli antichi edifizj, è ornato di simili colonne; come ve n’ha pure al teatro di Marcello, e all’anfiteatro di Vespasiano39.
§. 26. Diodoro ci dà un’idea sensibile della grandezza delle colonne del tempio di Giove, col dire che un uomo poteva mettersi dentro una sola scanalatura di esse (διάξυσμα), delle quali una colonna dorica aver ne dee venti40. La larghezza delle scanalature dei pezzi, che restano, è di due palmi romani, ossia due palmi, e tre once e mezza da un angolo all’altro: spazio sufficiente da capirvi un uomo. Il Padre Pancrazi si lagna di non aver potuto ritrovare alcun frammento delle colonne di quello tempio. Le più antiche colonne scanalate, che veggansi a Roma, sono tre colonne isolate, col loro intavolato, in Campo Vaccino. Esse hanno quarantun piede, e cinque pollici romani di altezza; il loro diametro è di quattro piedi, e quattordici pollici; ma le loro scanalature non hanno che la metà della larghezza di quelle del tempio di Giove, non essendo se non che di un palmo. Le più grandi colonne dei tempj greci, dopo quello d’Agrigento, erano quelle d’un tempio di Cizico, la circonferenza delle quali era di quattro ὀργυιαί, o braccia (la ὀργυιά conteneva sei piedi greci ); e si pretende che fossero ciascuna di un sol pezzo41.
§. 27. Le colonne del tempio di Agrigento non erano fatte tutto d’un pezzo, ma bensì di piccoli pezzi ineguali, disposti secondo la dimensione del tutto: dal che avviene che non se ne possano riconoscere gli avanzi a prima vista42.
§. 28. L’intavolato sopra le colonne consisteva in tre grandi massi di pietre collocate le une sopra le altre, e che componevano un tutto insieme. Gli architravi, e i fregi erano d’un’altezza uguale, come quelle del tempio, di cui abbiamo parlato; vale a dire, che ciascuna di quelle parti avea dieci piedi inglesi di altezza. Le cornici, delle quali nulla si è conservato43, aver doveano intorno agli otto piedi d’altezza. I triglifi, come già feci osservare, erano incastrati nel fregio, e ciascuno era di un sol pezzo alto dieci piedi. Un solo capitello v’è restato intiero, che era d’una sola pietra, e per misurarlo vi bisognava una scala.
§. 29. Queste misure, che abbiamo indicate, possono accordarli coli’ altezza del tempio segnata da Diodoro; e il diametro delle colonne, siccome anche le dimensioni dell’intavolato paragonate coli’ altezza di cento venti piedi (altezza del tempio), ci danno le proporzioni per conoscere l’altezza delle colonne. Esse non devono essere state così tozze come quelle del tempio della Concordia, e dei tempj di Pesto. Neppur dovrebbero aver avuta l’altezza, che dà Vitruvio alle colonne doriche, vale a dire di sette diametri44; giacchè per far accordare la misura indicata coll’altezza del tempio, non può darsi a queste colonne nè più, nè meno dell’altezza di sei diametri45. Per rapporto di Diodoro il diametro delle colonne era di dodici piedi: ora sei volte dodici fa settantadue. Gli architravi, e i fregi erano di venti piedi inglesi, e di circa otto le cornici. L’altezza delle colonne, e dell’intavolato presa insieme arrivava alli cento piedi. Gli altri venti piedi di tutta l’altezza fino alla cima del frontispizio, restano per quest’ultima parte; imperocchè il frontispizio, ossia la cima del frontone era negli antichi tempi molto schiacciata, e bassa, come si vede all’altro tempio di Girgenti, e ad uno di Pesto46, al quale quella parte si è conservata47.
§. 30. Da quanto abbiamo detto sembra che siasi passato per gradi nella proporzione dell’altezza delle colonne colla larghezza del tempio, come noi osservammo più su, a quella de’ sei diametri, e finalmente a quella di sette. Pare dunque che l’altezza di sei diametri sia stata la proporzione delle colonne doriche ne’ più bei tempi dell’arte in Grecia; perchè durante l’olimpiade xciii, i Cartaginesi vennero per la seconda volta nella Sicilia, e allora fu saccheggiata la città d’Agrigento da que’ conquistatori. Questa guerra, dice Diodoro, fece sospendere la costruzione di quel tempio48.
§. 31. Siccome io credo aver provato, che le colonne di questo tempio aver non potevano ne più, nè meno dell’altezza di sei diametri49; il tempio di Teseo in Atene, che è il più antico, e che è stato fabbricato subito dopo la battaglia di Maratona50, non può dunque aver avuto colonne, il fusto delle quali fosse di fette diametri, come le fa Pococke egualmente che tutte le colonne degli altri edifizj dorici di Atene51.
§. 32. Il tempio, di cui parliamo, deve essere stato esastilo, vale a dire, che dee aver avute sei colonne di fronte: perocchè sei colonne di dodici piedi di diametro fanno già settantadue piedi; e cinque intercolonnj, ciascuno di tre moduli, o di un diametro e mezzo di colonna, fanno piedi novanta: in conseguenza il tutto insieme arriva ai cento sessantadue piedi; misura, che, meno due piedi, si accorda colla larghezza di cento sessanta piedi datagli da Diodoro.
§. 33. Si trovano ancora in qualche grossa pietra dell’intavolato dei segni del meccanismo usato nella fabbrica di questo tempio. Questi sono certi incavi in forma di una mezza ellissi ai due piccoli angoli della pietra. In ciascuno di quelli incavi si passava un canapo, o una catena, col quale si alzavano quelli gran massi di pietre, e gl’incavi andavano ad unirsi insieme rivoltati in alto.
§. 34. Con quello mezzo si collocavano le pietre una accanto all’altra senza bisogno d’alcuna leva: e quando queste pietre erano a luogo si levava il canapo, o la catena, turando con del legno l’apertura dell’incavo, che era voltata in alto, affinchè non vi penetrasse umidità. Si è trovato in uno di quelli incavi un pezzo di legno, che dopo due mila e più anni si è ben conservato52. Fra i disegni d’antichi edifizj fatti dal celebre architetto Sangallo, ora esistenti nella biblioteca Barberini53, ho veduto nelle ruine del tempio di Venere in Epidauro un simile incavo alle pietre, ma però angolare. Un tal metodo di alzar grandi massi di pietre, e collocarli nel tempo stesso al loro luogo, è senza dubbio molto migliore di quello, che insegna Vitruvio54; e i sacchi di arena, de’ quali parla Plinio55, secondo la spiegazione di Poleno56, pajono ridicoli paragonandoli colla meccanica de’ Greci57.
§. 35. Da ciò si vede quanto semplice fosse la maniera d’operare degli antichi. Pare che i moderni con tutte le loro arti, e col soccorso dell’algebra non abbiano ancora potuto giugnere alla perfezione delle forze moventi di essi. Riflettiamo alla grandezza enorme degli obelischi. Per tutto l’universo si sono resi celebri i preparativi, che fece l’architetto Fontana per alzare un obelisco sotto il pontificato di Sisto V.; e noi non troviamo notizia veruna intorno alla maniera usata dagli antichi a tal effetto. A’ giorni nostri Zabaglia ci ha fatto vedere in Roma come la strada la più naturale, e la più facile è preferibile nella meccanica a tutte le forze complicate delle ruote, e delle carrucole, quando la natura delle cose non lo richiegga. Quest’uomo straordinario, il quale mai non aveva avuta istruzione alcuna, e neppur sapea leggere, e scrivere, ha inventato colla sola forza del suo talento delle macchine, che sembrano un nulla in sè stesse; ma che producono effetti sorprendenti, e colle quali egli ha operato cose, che erano restate incognite agli altri architetti58.
$. 36. Non essendo stato terminato questo tempio di Giove, è avvenuto che col tratto del tempo siansi fabbricate accosto ad esso delle case, e a segno tale, che finalmente ne sia stato tutto circondato. Questa è la giusta spiegazione, che dee darsi alle parole di Diodoro non capite sinora: τῶν ἄλλων ἢ μέχρι τοίχων τοὺς νεὼς οἰκοδομούντων, ἢ κυκλώσει τοὺς οἴκους περιλαμβανόντων. La traduzione latina del primo membro è: cum alii ad parietes usque templa educant. Ma in vece di τούς νεώς dee leggersi τού νεώ..., che poi dee tradursi: cum alii ad parietes usque templi ædificiis fabricandis accederent. Nel secondo membro, Enrico Stefano, e Rodomanno hanno letto in vece di κυκλώσει in circuitu, κίοσι columnis. Wesselingio ha cercato di conservare quelle due parole, e crede che debba leggersi: κύκλῳ κίοσι, ovvero κυκλώσει κιόνων.
§. 37. Io m’attengo qui alla lezione stampata, e il lettore versato nella lingua greca vedrà, senza bisogno di far qui una lunga dissertazione accademica, se questi dotti interpreti abbiano capito il testo, e quale delle spiegazioni sia da preferirsi59. Il traduttor francese ha passato ogni cosa sotto silenzio60.
§. 38. Potrà forse quella corta dissertazione indurre qualche uomo dotto a fare delle ricerche più esatte su i luoghi stessi, per riguardo agli antichi tempj della Grecia, quale è tra gli altri, quello di Sunio sul promontorio attico, il quale anche oggidì sussiste con diecisette colonne intiere, e che merita una descrizione più esatta di quella, che trovasi nella relazione del viaggio del sig. Fourmont in Grecia61. Tutto dipende dalla maniera di veder le cose. Lo Sponio, e i più eruditi viaggiatori si sono limitati a cercare delle iscrizioni, e dei manoscritti. Cluverio, e l’Olstenio si sono occupati nella geografia antica, ed altri hanno avuto per iscopo qualche altro oggetto; ma sin ad ora non v’è stato chi abbia pensato all’arte. Vi sono ancora molte cose a dire sulle opere d’Architettura degli antichi esistenti in Roma, e suoi contorni. Desgodetz non ha fatto che misurarle: resta dunque ad un altro di darci delle osservazioni, e delle regole generali fu quell’arte62.
- ↑ Vedi qui avanti pag. 3. not. a.
- ↑ Vedasi la prefazione del nostro Autore alle Osservazioni sull’Architettura qui avanti.
- ↑ È poi morto in Firenze alli 15. di luglio 1760. Vezzosi I scritt. Teatini, par. 2. pag. 153.
- ↑ Egli Tom. iI. par. 1. cap. 1. p. 3. segg. protesta, che non le dà per vere, e cita la contesa fra Dodwello, e Bentley, e pag. 34. n. a. le impugna.
- ↑ Vedi la lettera qui appresso §. 27. segg.
- ↑ Vedi qui appresso al §. 30.
- ↑ Vedi anche Piranesi Della magnif. de Rom. Tav. 22. fig. 3. ove ne dà la figura.
- ↑ Polluce lib. 1. cap. 1. segm. 6., che Schoepflin Alsat. illustr. lib. 2. sect. 6. c. 10. §. 125. pag. 505. spiega malamente per l’adito o penetrale.
- ↑ Vedi qui avanti pag. 4. segg.
- ↑ Il signor Grosley dice, che un giovane scolaro di un pittore di Napoli fu il primo, che nel 1755. risvegliò l’attenzione dei curiosi sugli avanzi preziosi d’Architettura, che veggonsi a Pesto. Nel 1767. il sig. Morghen li fece incidere in sei Tavole, delle quali il signor de la Lande ha dato un estratto in un solo foglio. Non è lungo tempo, che sono state pubblicate in Londra le belle incisioni dei monumenti di Pesto. Il librato Jombert ha stampato in Parigi nel 1769. le Rovine di Pesto, con diciotto Tavole. [ Vedi qui avanti pag. 3.
- ↑ Sono piuttosto di un ordine toscano moderno, o vogliam dire quale usavasi ai tempi di Vespasiano.
- ↑ Chambray nel suo Paralléle de l’Architecture ancienne, & moderne, mette, per ignoranza, il teatro di Vicenza fatto dal Palladio, fra le opere antiche.
- ↑ Vedi qui avanti pag. 46.
- ↑ Vedi loc. cit. pag. 51. not. a.
- ↑ lib. 3. cap. 1.
- ↑ Vedi Tom. I. pag. 347. seg.
- ↑ lib. 36. cap. 23. sect. 56.: antiqua ratio erat, columnarum altitudinis, tertia pars latitudinum delubri. [ Vedi avanti pag. 48.
- ↑ lib. 3. cap. 3.
- ↑ Vedansi le Tavole in fine di questo Tomo.
- ↑ Il nostro Autore quando ha scritte queste cose non avrà forse ancora avuta notizia del tempio di Cora, di cui ha parlato qui avanti pag. 50. segg., ove i triglifi sono posti in questa maniera, come lo sono anche alla cassa sepolcrale di Scipione Barbato, di cui ho parlato allo stesso luogo pag. 46. not. b. Vedasene la figura qui appresso [[../689|Tav. XIV.]]
- ↑ Vedi pag. 46.
- ↑ Vitruvio lib. 3. cap. 2. pag. 109. vuole, che quelle colonne si facciano più grosse delle altre la cinquantesima parte, perchè circondate dall’aria aperta, sembrano più sottili. Le Roy, come dicemmo qui avanti p. 62. n. a., vuole che per fortezza alle cantonate si mettessero colonne ovali.
- ↑ Vedi qui avanti pag. 71.
- ↑ Tom. iI. par. 2. Tav. 14. [ Ne dà la figura anche Galiani nella sua edizione di Vitruvio lib. 3. cap. 3. in fine, pag. 125. senza l’albero; ma neppur si capisce bene la forma della porta.
- ↑ Vedi alla citata pag. 71. not. a.
- ↑ Vitruvio lib. 4. cap. 6. lo dice espressamente di tutte tre le specie di porte, delle quali dà le regole, cioè della dorica, jonica, ed attica.
- ↑ Vedi qui avanti pag. 66., ove il nostro Autore parla più diffusamente a questo proposito.
- ↑ Fabrett. Inscript. cap. 3. num. 637. pag. 239., cap. 10. n. 172. pag. 696.
- ↑ Vedasi l’opera del P. Pancrazi Tom. iI. par. 2. Tav. 7. pag. 77 - 79.
- ↑ lib. 13. §. 82. pag. 607.
- ↑ Vedi qui avanti pag. 40.
- ↑ Questa regola forse non poteva servire, perchè secondo Diodoro il tempio di Giove usciva dalle regole comuni in qualche parte.Vedi ciò che noi diremo qui appresso al §. 37.
- ↑ La nota del signor abate Terrasson, della quale parla Winkelmann, è nei seguenti termini: „ Si legge nel greco χωρίς τοῦ κρηπιδῶματος, che Rodomanno traduce per fundamento tamen excepto. Ma i fondamenti, che non si vedono, non si sono mai fatti entrare nella descrizione di un edifizio. Altronde la parola δῶμα significa la parte superiore di una casa, da cui ci è derivata la parola dòme [cupola]. Onde κρηπιδῶμα dee qui intendersi per la cornice, l’imposta della volta, o del frontone, della di cui altezza non potea darsi la misura, perchè non era fatto.
- ↑ Non può dubitarti, che δῶμα s’intenda anche per la parte superiore d’una casa. Ne abbiamo tanti esempj singolarmente nelle Sacre Scritture raccolti dal Costantini nel suo lessico greco a quella parola, e ce lo attesta s. Girolamo nel luogo, che citai qui avanti pag. 60. n. a., ove scrive: Δῶμα in orientalibus provinciis ipsum dicitur, quod apud Latinos tectum: in Palæstina enim, & Ægypto... non habent in tectis culmina, sed domata, quæ Romæ vel solaria, vel mœniana vocant, idest plana tecta: ma il signor abate Terrasson dovea riflettere, che doma in quel senso, che si prende di terrazzo in cima alle case, non poteva adattarsi alla parte superiore del tempio, che non era fatta a terrazzo, ma a tetto. Io tengo certissimo col nostro Autore, che κρηπιδῶμα voglia dire il basamento esteriore del tempio, su cui erano piantate le colonne, e veniva a formare gli scalini; perchè Diodoro nel dire che la fabbrica fu alzata sino al punto che non mancava altro se non il tetto, suppone che fosse fatta la cornice; e che questa vi fosse veramente lo prova il signor barone Riedesel, di cui parleremo appresso, il quale asserisce di averne veduto un pezzo: or se era fatta questa parte, per qual ragione lo storico doveva escluderla nel dar le misure dell’altezza della fabbrica, della quale essa era una parte essenziale, che non può, e non deve escludersi nel dar quelle misure per tutte le regole dell’Architettura? Una difficoltà più giusta si può muovere contro Diodoro, ed è, perchè detragga il basamento soltanto nel misurare l’altezza del tempio, e non già nelle due altre dimensioni della larghezza, e lunghezza: Fanum id pedum CCCLX. longitudine porrectum est, ad LX. vero pedes latitudo patet, & ad CXX. pedes altitudo, crepidine tamen excepta, attollitur. Il basamento non si conta mai, per regola, o al più si dee valutar sempre; e non so che ragione abbia avuto Diodoro di fare il contrario. Κρηπιδῶμα vuol dire il basamento della fabbrica, ma poteva dire questo scrittore soltanto κρηπίς basamento, parola più frequentemente usata in quel senso dagli altri scrittori greci, e fra gli altri da Aristotele, che ho citato qui avanti pag. 99. col. 1., Strabone lib. 17. pag. 1139. B., Giuseppe Flavio Antiq. Jud. l. 3. cap. 6. n. 2., lib. 12. cap. 2. n. 8., Polluce lib. 9. cap. 5. princ. segm. 28., e fra i latini Vitruvio lib. 3. cap 2., lib. 4. cap. 6., lib. j. cap. ult. Si veda qui appresso al §. 37.
- ↑ Il signor ab. Terrasson traduce: „ Si sono usate in questo tempio due maniere d’architettura unite insieme; perocchè di tratto in tratto si sono fatti nei muri dei pilastri, che escono in fuori, a modo di colonne rotonde, e in dentro hanno la forma di pilastri tagliati in quadro.
- ↑ Il testo del signor ab. Terrasson ha: „ I pilastri di dentro hanno dodici piedi di larghezza.
- ↑ Ne parla sicuramente nel lib. 4. cap. 7. in fine, dicendo, che v’era una maniera di situare le mura della cella fra gl’intercolonnj d’intorno, onde non comparissero se non che mezze colonne al di fuori; maniera, ch’egli chiama pseudo-perittera, ossia falsamente alata, appunto perchè mostra di avere intorno ale, ossiano porticati, che in verità non vi sono.
- ↑ Vedi qui avanti pag. 101. not. a.
- ↑ Galiani al luogo citato di Vitruvio numera fra quelli anche il creduto tempio della Concordia sotto il Campidoglio, di cui parlammo nel Tom. iI. pag. 413., e il tempio di Nimes, di cui parlammo nello stesso luogo pag. 135.; e noi vi aggiugneremo le due mezze colonne del tempio minore di Pesto, ricordate qui avanti pag. 5. n. d.
- ↑ Così prescrive Vitruvio lib. 4. cap. 3. in fine. Questo scrittore qui chiama le scanalature striæ, e nel lib. 3. cap. 3. striges, ove Galiani nota, che a parlare propriamente striges sono i canali, striæ i pianetti. Wesselingio poi, al luogo citato di Diodoro lib. 13. §. 82. pag. 607. lin. 54., asserisce, che in vece di striges, i manoscritti hanno strigiles, variante, di cui non ha parlato Galiani.
- ↑ Strab. lib. 14. pag. 941. [Sono queste le colonne, delle quali ho parlato qui avanti pag. 60. Strabone non ne dice cosa veruna. Nel luogo citato ho seguito il computo del conte di Caylus riguardo alle loro dimensioni, dando loro quattro cubiti di diametro, e prendendo l’orgia per un cubito. Secondo Erodoto l. 2. cap. 149. la ὀργυιά orgia farebbe di quattro cubiti, o sei piedi greci. Ma su questo tutti non convengono gli scrittori antichi, e moderni; e più comunemente si vuole, che l’orgia equivalga all’ulna dei Latini, come osserva Enrico Stefano nel suo lessico greco. L’ulna poi si vuole anche più comunemente lo stesso che il cubito, come prova Mattia Gesnero nel suo lessico latino v. ulna. Ciò supposto dunque ho adottato al luogo citato col Caylus cubito per orgia nel passo di Sifilino. Che se si volesse l’orgia di una grandezza maggiore, o di quella nominata da Erodoto, o di una tesa, o vogliam dire di quanto si può misurare con ambe le mani, e braccia aperte e stese, compresovi anche il petto, come vuole Polluce lib. 2. cap. 4. segm. 128., che Enrico Stefano non ha veduto; oppure di altra minore, allora converrebbe dire, che Sifilino desse a quelle colonne quattro orgie (τετραόργυιοι) di circonferenza, non di diametro; e questo dovrebbe farsi più grande a proporzione: onde non avrebbero più le colonne quelle sottili proporzioni, ossia l’altezza di dodici diametri calcolata nel luogo citato in ragione del cubito. Intorno a queste, ed altre misure degli antichi può vedersi Freret Essai sur les mesures longues des anciens, Acad. des Inscr. Tom. XXIV. Mém. pag. 433. segg.
- ↑ Vedi qui avanti pag. 43.
- ↑ Vedi qui avanti pag. 117. n. a.
- ↑ Vedi qui avanti pag. 51. not. a.
- ↑ Questa farebbe l’altezza, che secondo Vitruvio lib. 4. cap. 1. hanno avuta le colonne doriche del primo tempo.
- ↑ Vedi qui avanti pag. 4.
- ↑ Per dare questi venti palmi di altezza al frontone; bisogna supporre, che esso vi fosse stato fatto, come può argomentarsi da Diodoro, secondo che diremo al §. 37. n. b; ma non dee comprendersi nella misura.
- ↑ Da quella olimpiade fissata da Diodoro alla fabbrica del tempio di Giove Olimpico, e dal contesto del di lui discorso possiamo stabilire un’epoca certa non solo a questa fabbrica; ma ancora al tempio della Concordia, e agli altri tempj della stessa maniera lavorati in altre parti. Diodoro narra, che gli altri tempj di Girgenti erano finiti, e che il solo tempio di Giove fu interrotto, e non finito mai più. Tra quelli vi dovea essere il tempio della Concordia, che è della stessa maniera di fabbricare; e per farlo credere anteriore al tempio di Giove, almeno per qualche tempo, ci possono dar argomento le sue proporzioni più basse, come bene ragiona Winkelmann. È chiaro altresì dal discorso di Diodoro, che gli autori di quelle fabbriche furono i Greci, i quali stavano allora a Girgenti, come anche in altre parti della Sicilia a loro soggette. Si trovano in Italia fabbriche d’una stessissima maniera d’Architettura in ogni cosa; e si ha dal medesimo Diodoro poco prima, e dopo, che allora erano anche soggette ai Greci varie coste di essa. Dato un certo ragguaglio al tempo, che si è potuto impiegare nel fabbricarli, e al tempo, in cui si sono stabiliti i Greci in quelle parti, si vedrà, che queste fabbriche furono fatte appunto circa il tempo, in cui alzava Pericle le sue grandiose fabbriche in Atene, e tra queste alcune anche di ordine dorico della stessa maniera di quelle di Girgenti, e delle altre. In quel tempo la Sicilia stava in pace, come bene osservò il nostro Autore nel Tom. iI. p. 188., e nella maggior floridezza; onde poterono le città greche di quell’isola, e della Magna Grecia emulare nelle fabbriche quel gran capitano d’Atene. Nè farà maraviglia, che tante potessero alzarsene in quelle parti in così breve tempo, che potrebbe credersi di cent’anni; mentre il solo Pericle ne alzò molte di più nel giro di quindici anni; e sappiamo, che per la fertilità di quel terreno credevano le città in breve tempo a tant’auge di ricchezze, e di potenza da fare spavento alle più antiche potenti città di altre regioni, come lo stesso Diodoro al lib. 4. §. 23. pag. 269. narra in particolare della città di Eraclea in quell’isola fondata da Dorico spartano. Si veda qui appresso pag. 127. seg.
Se queste mie riflessioni sono probabili, e più diffusamente potrei dimostrarle certissime, che diremo di tutto il sistema del nostro Autore in quest’opuscolo, di voler cioè darci un’idea dell’Architettura dei tempi antichissimi, e dopo l’arte di far le capanne, con delle fabbriche, le quali sono circa il tempo di Pericle, e per conseguenza dei migliori tempi dell’arte in Grecia? E quante belle osservazioni, e confronti non potranno ora fare gli artisti, e gli antiquarj fu di esse e per l’arte, e per la storia dell’Architettura se sono di greco lavoro: Si veda anche ciò, che noi diremo qui appresso nell’indice delle Tavole in rame di questo Tomo al numero II., e al numero 13. del precedente. - ↑ Vedi qui appresso pag. 127.
- ↑ Pausania lib. 1. cap. 17. pag. 41., Plutarco in Theseo, in fine, oper. Tom. I. pag. 17. La battaglia fu data nell’olimpiade lxxii. Vedasi il P. Corsini Fasti attici, Tom. iiI. p. 148. segg., e qui avanti Tom. iI. p. 177.
- ↑ Pococke Description, ec. Tom. iI. par. 2. pi. 69. dà la figura del tempio di Teseo, colle colonne di sette diametri; e pl. 67. dà la figura di quello di Minerva colla proporzione di più di sei diametri non compreso il capitello. Anche lo Sponio Voyage, ec. Tom. iI. liv. 5. pag. 143. Description d’Athéne, dice che le colonne di questo tempio di Minerva hanno quarantadue piedi parigini d’altezza, e diecisette, e mezzo di circonferenza al basso, vale a dire poco meno dei sette diametri; e l’intercolonnio lo fa di sette piedi, e quattro pollici. Alla pag. 189. dice, che è della maniera stessa di fabbricare il tempio di Teseo, e lo crede opera d’uno stesso architetto. Quanta fede meriti il signor le Roy, fu cui Winkelmann appoggia il suo sistema qui avanti p. 30. seg., noi lo abbiamo detto alla pag. 12. not. b.
- ↑ Vedi qui avanti pag. 34., ove il nostro Autore scrive, che quelli legni servivano di ramponi per collegare le pietre. Agli esempj di ramponi consimili, che ho addotti a quel luogo, not. b., può aggiugnersi l’altro, che dà Schoepflin Alsat. illustr. Tom. I. lib. 2. sect. 6. cap. 14. §. 170. pag. 533. Tab. 14. litt. G., di un pezzo di muro di circonvallazione, o trinciera esistente nell’Alsazia inferiore fatto di gran pietroni forse da Giulio Cesare, nel quale i ramponi sono di quercia a coda di rondine lunghi otto pollici, e larghi due. Non so se vi siano stati fatti di legno per mancanza di altra materia.
- ↑ Vedi qui avanti pag. 32.
- ↑ lib. 10. cap. 5.
- ↑ lib. 36. cap. 14. sect. 21.
- ↑ Dissertaz. sopra al Tempio di Diana d’Efeso, §. XIX. Saggi di dissert. dell’Accad. di Cortona, Tom. I. par. 2. pag. 35.
- ↑ Plinio scrive, che si usarono al tempio di Diana Efesina da Chersifrone per alzare gli architravi di mole immensa: onde fu lavoro de’ Greci.
- ↑ Le macchine di Zabaglia sono state incise in rame, e pubblicate in un Tomo in gran foglio con quelle del citato cav. Domenico Fontana; e per l’erezione dell’obelisco può vedersene anche la storia presso l’altro Fontana Il tempio vatic. lib. j. cap. 4. segg., e in succinto presso il sig. Milizia Le vite, ec. nella di lui vita. Goguet Tom. iiI. par. iiI. lib. iI. cap. iI. pag. 40. riporta la maniera descritta da Erodoto lib. 2. c. 125. p. 164., con cui gli Egiziani alzavano i pietroni per la fabbrica delle piramidi, e ne dà la figura in rame.
- ↑ Quella di Winkelmann è a mio giudizio, falsissima; e non so come mai abbia potuto cadergli in mente. Io dubito, ch’egli non abbia capito nulla di tutto il discorso fondamentale di Diodoro. Le case fabbricate col tratto di tempo senz’ordine, e senza regola accanto al tempio, che aveano a fare colla sua magnificenza, e col sentimento dello storico, che vuol rilevarla col dire, che quel tempio era di una forma nuova, e non usata per altri tempj? Questa novità singolare Diodoro la fa consillere in ciò, che gli altri tempj o erano circondati tutto intorno da un colonnato, ossia portico di colonne isolate, quali sono i tempj della Concordia nella stessa città, di cui si è trattato finora, quelli di Pesto, di Minerva in Atene, quello di Teseo, nominati avanti, e tanti altri; oppure non aveano quel colonnato intorno, ma bensì la pura cella, che restava chiusa da un semplice muro: quello di Giove, dice Diodoro, è di una nuova forma, perchè partecipa di tutte due quelle forme; vale a dire, che il muro della cella era tirato in fuori fino al colonnato, chiudendo gl’intercolonni a mezza colonna; cosicchè restasse della forma descritta da Vitruvio, che ho citato qui innanzi pag. 118. n. a., come dirò meglio nella nota seguente: nel qual caso possiamo congetturare, che questo tempio sia stato il primo di quella forma.
- ↑ Dopo tutta la relazione del nostro Autore su quello tempio noi aggiugneremo le osservazioni, che vi ha fatte il più volte lodato signor barone Riedesel nella relazione del suo Viaggio in Sicilia, e nella Magna Grecia, diretto allo stesso Winkelmann, nella lettera 1. pag. 46. segg. „ Non trovandosi, dic’egli, giusta la lunghezza, e larghezza del tempio indicata da Diodoro, convien dire che vi sia scorso un errore dell’amanuense. Tutte le altre misure date da lui sono esattissime: le colonne hanno quaranta due palmi di circonferenza, e ogni scanalatura ha due palmi da un angolo all’altro. Ho potuto molto comodamente mettermici dentro, e lo stesso hanno potuto fare altri più pieni di me; cosicchè la descrizione di Diodoro, che è stata creduta generalmente favolosa, è pur troppo vera. Ho procurato di raccogliere fra le rovine quanti pezzi d’Architettura mi è stato possibile di trovare, e numererò qui tutti quelli, de’ quali mi è riuscito prender le misure. Un triglifo ha dodici palmi d’altezza, e otto di larghezza: la cella, per quanto ho potuto giudicarne dalle rovine, avea cento venticinque passi di lunghezza. Cercai tutta la giornata inutilmente un frammento di cornice; ma fui più fortunato nel giorno appresso, che mi riuscì trovarne uno molto danneggiato, il quale avea quattro palmi d’altezza; proporzione, che nell’ordine dorico si accorda molto bene colle altre parti. Si vede dai frammenti delle colonne, ch’esse erano secondo la descrizione di Diodoro metà colonne, e metà pilastri. Un dei loro capitelli, che ho misurato, ha, compresa la parte del pilastro, sedici palmi in lunghezza, o larghezza, e otto di altezza. I pilastri sono costrutti di pietre quadrate, che hanno nove palmi da ciascun lato, e conseguentemente trentasei palmi di circonferenza; ed ho trovato con mia grande meraviglia, che quei pilastri erano a rilievo, e alla rustica, con un incavo nelle commissure, per cui vi restava un canale largo e profonda un mezzo palmo.
Questo è tutto quello che ho potuto misurare con certezza dei frammenti di questo tempio. Tali misure sono state sufficienti per mettermi in istato di formarmi un’idea della sua grandezza. Vorrei potergli paragonare S. Pietro in Vaticano con tutte le sue proporzioni. Credo certissimamente che esso ha dovuto essere più bello, e più magnifico all’occhio; essendo cosa sicura, che nulla può immaginarsi di più maestoso di questo edifizio. Figuratevi, amico, la grandezza delle colonne; la forma del tempio elegante in sè stessa, molto più bella senza dubbio della croce, che forma s. Pietro; il colpo d’occhio dell’insieme della fabbrica; la solidità di quei pilastri; la bella scultura di cui parla Diodoro, e di cui nulla vi rimane. Considerate tutto questo, e ditemi se non s’inalzerà nella vostra immaginazione una fabbrica più nobile assai di quella di s. Pietro. Secondo la proporzione del triglifo, questo tempio dee aver avuto dal piede della colonna sino alla cima della cornice l’altezza di cento cinquanta palmi„. Winkelmann in una lettera allo stesso autore di queste osservazioni da Roma in data dei 1. giugno 1767., tra le sue lettere par. I. pag. 251., le loda come quelle, che servono a spiegare l’oscuro passo di Diodoro, e fatte con maggior attenzione di quelle di altri viaggiatori. Io avrei desiderato, che il sig. barone avesse fatta prima qualche più attenta disamina del passo di quello storico, e con quella in mente avesse ricercate le ruine del tempio di Giove. Prima di esporre le nostre riflessioni daremo le parole di Diodoro in latino, come vanno tradotte secondo ciò che si è detto finora: Templorum structura, & ornatus, in primis vero Jovis fanum, magnificentiam illius ætatis hominum ostendit. Cæteræ enim ædes sacræ, vel exustæ sunt, vel funditus deftructæ per crebras urbis expugnationes, Olympio cum prope esset, ut tectum induceretur, bellum impedimento fuit. Ab eo tempore exciso oppido, nunquam postea colophonem ædificiis imponete Agrigentini valuerunt. Fanum illud pedum CCCXL. longitudine porrectum est, ad LX. vero latitudo patet, & ad CXX. altitudo, crepidine tamen excepta, attollitur. Maximum hoc omnium est, qua per insulam habentur, & magnitudine substructionum cum exteris quoque comparari meretur. Nam etiamsi molitio ista ad finem perducta non fuit, pristina tamen deformatio adhuc in conspectu est. Cum enim alii ad parietes usque templa educant, aut columnis ædes complectantar, utriusque structura genus huic fano commune est. Nam una cum parietibus columnæ assurgunt rotundæ extrinsecus, sed quadrata intus forma. Ambitus harum ab exteriori parte XX. pedes habet, tanta strigum amplitudine, ut corpus humanum inserere se apte queat: intrinsecus vero XII. pedes continet. Magnitudo porticuum, & sublimitas stupenda est: in quarum parte orientali Gigantum conflictus est, cælatura, magnitudine, & elegantia operis excellens. Ad occasum Trojæ expugnatio efficta habetur, ubi Heroum unumquemque videre est, ad habitus sui formam elaborate fabricatum.
Io intendo questa descrizione, che la forma del tempio fosse falso-alata, come già notai qui avanti pag. 125. not. a.; cioè che avesse mezze colonne soltanto al di fuori del muro, che veniva a formare, e chiudere la cella, il qual ordine di false, o mezze colonne non avrà girato tutto intorno col muro della cella secondo la regola d’altre fabbriche. Ma oltracciò Diodoro aggiugne, che il tempio avea portici (in vece dei quali il sig. barone, ha letto porte); e questi doveano essere due, uno avanti, e l’altro dietro, poichè Diodoro scrive, che su quello d’avanti, e vuol dire nel timpano, secondo ciò che avvertimmo qui innanzi pag. 93. not. a., v’era egregiamente scolpita la pugna dei Giganti; e nel!’ altro opposto, rivolto agl’occidente, era scolpita la presa di Troja, ove ciascuno degli eroi era rappresentato col proprio suo abito, e carattere. E probabile che questi due portici siano stati formati almeno da un ordine di colonne isolare distanti due intercolonni dal muro della cella, della stessa proporzione delle altre mezze, delle quali soltanto avrà presa la misura Diodoro forse perchè gli riusciva più comodo, e perchè dava insieme la misura del pilastro attaccato ad esse dalla parte interiore della cella, e ancora perchè in quella forma di mezze colonne, e pilastri, egli avea fatta consistere la angolarità principale della fabbrica; e non posso credere, che in vece di colonne vi fossero posti degli Atlanti, o Telamoni a reggere i portici, come dice il P. Fazelli nel luogo, che citai qui avanti pag. 30. not. c., e che tre ve ne fossero restati in piedi sin all’anno 1401., per cui quel tempio si è chiamato Palazzo dei Giganti. forse questa tradizione ha avuto origine dalle figure dei Giganti scolpite nel timpano, le quali in proporzione dell’altezza del tempio dovevano essere colossali. Diodoro non avrebbe certamente tralasciata quella particolarità se vi fosse stata.
Su questa pianta, che io così m’immagino, si può ora discorrere della larghezza, che poteva avere il tempio in proporzione della larghezza, per vedere se la lezione di Diodoro è giusta, o no; e potrà insieme alzarvisi l’edifizio per trovare quanti diametri d’altezza aver potettero le colonne. L’espressione dello storico nel dire i portici di una grandezza, e altezza stupenda, e il riflettere, che il tempio fu alzato dopo i tempi di Pericle, quando le proporzioni già doveano essersi ingentilite, mi fanno credere che le colonne potessero avere un’altezza maggiore dei sei diametri, che lor dà Winkelmann. Le troveremo anche di circa otto diametri se calcoleremo sulla misura del triglifo accennata dal signor barone Riedesel. Coll’altezza di esso si può stabilire tutta l’altezza dell’intavolato, o cornicione, osservando le ordinarie proporzioni di que’ tempi, vale a dire, che il fregio sia di piedi otto, secondo la misura di dodici palmi del nominato triglifo; l’architrave, come più alto del fregio, sia piedi dieci; e la cornice, perchè più bassa del fregio medesimo, sia piedi sei, che uniti insieme fanno piedi ventiquattro; quali dedotti dalla somma totale dell’altezza notata da Diodoro in cento venti piedi, restano per l’altezza delle colonne, compresovi il capitello, a norma delle regole, piedi novantasei, che similmente divisi per dodici piedi, diametro dato dallo stesso Diodoro ai pilastri, e per conseguenza anche alle colonne, vengono ad avere l’altezza di otto diametri. Nè qui posso valutare l’autorità di Vitruvio, il quale dicendo che nei primi tempi le colonne doriche aveano sei diametri, e sette in appresso, dovette ignorare le fabbriche di Girgenti, o almeno il tempio creduto della Concordia, e tutti gli altri, de’ quali voglionsi le colonne di cinque diametri, e anche meno, come accennai alla pag. 51. not. a.; e queste fabbriche tutte dei migliori tempi dell’arte, come dissi nella nota alla pag. 122. Siccome poi il tempio di Giove non poteva essere una torre; e la sua larghezza dovea essere corrispondente all’altezza; in qualunque proporzione si voglia prender questa, sarà sempre vero, che vi sia errore nel numero dei piedi segnatici da Diodoro per la sua larghezza: il che tanto più dobbiamo credere, dopo che ci asserisce il lodato viaggiatore, che l’area mostra ancora oggidì un’ampiezza maggiore per questa parte; nella qual area peraltro era da osservarsi, che anticamente vi doveva essere compreso il basamento ornato di più scalini, o anche senza, che girava tutto intorno al tempio; e quello basamento non dovea comprendersi nelle tre accennate dimensioni dell’edilizio. Vedasi la figura, che ho formata qui appresso Tav. VIII. lett. a.
Per maggiormente illustrare qui il passo di Diodoro, e l’epoca degli edifizj di Girgenti esamineremo ora l’opinione del P. Pancrazi riguardo al detto tempio della Concordia, di cui daremo la figura nella Tav. XIX. appresso. Egli Tom. iI. par. 2. c. 2. p. 89. pretende che sia stato fabbricato dopo che scrisse Diodoro; e si fonda principalmente sulla grande conservazione di esso, quando all’opposto Diodoro scrive che i tempj di quella città furono tutti arsi, o distrutti. L’argomento non pare di molta forza, e anche niuna, se consideriamo bene il sentimento dello storico. Dice quello, che i tempj furono o distrutti, o abbruciati. Chi ci prova, che per distrutti intenda rovinati affatto? In quelli che furono arsi, essendo tutti fabbricati con quei massi di pietre, che cosa poteva consumarsi se non se al più il soffitto, se era di legname, e il tetto? E che in fatti non fossero rovinati gli edifizj dai fondamenti è chiaro dal lodare, e ammirare che fa Diodoro la struttura, e gli ornamenti di essi, e in ispecie dello stesso tempio di Giove, che sussisteva ancora quando scrisse Diodoro nella forma, in cui fu interrotto nell’olimpiade xciii.: nam templorum structura & ornatus, in primis vero Jovis fanum, magnificentiam illius æratis hominum ostendit. Nè mai più fu possibile agli Agrigentini di terminare quello tempio di Giove dopo quel tempo, in cui la città fu saccheggiata, e rovinata in parte: ab eo tempore exciso oppido, nunquam postea colophonem ædificiis imponere Agrigentini valuerunt. Or se tante furono le angustie di quei cittadini in tutto quel frattempo da non poter compire quel resto di tempio, e di tempio sì famoso, e magnifico, e da non poter restaurare gli altri, vorremo credere che in pochi anni dopo Diodoro, e sotto la dominazione dei Romani abbiano avuto il comodo d’alzare il tempio supposto della Concordia di una spesa, e di un lavoro anch’esso sorprendente? E di più si avrebbe a credere, che poco prima di Augusto durasse ancora il piacere di far le colonne di una proporzione così bassa, come dissi qui avanti pag. 121. not. e? Io tengo dunque per fermo, che quello tempio sia stato eretto prima di quello di Giove Olimpico, e circa l’età di Pericle, come accennai al luogo citato. Secondo Tucidide lib. 6. cap. 3. gli Jonj, e i Dori furono i primi a piantar colonie in Sicilia sotto la scorta di Teocle. Cotifemo di Rodi, e Entimo di Creta fondarono Gela, e colle leggi dei Dori la governarono. Cento otto anni dopo i cittadini di Gela andarono a fondar Agrigento, come segue a dir Tucidide cap. 4.; il che avvenne nell’olimpiade l. anno 1., e 579. anni avanti Gesù Cristo, come nota Dodwello Annal. Thucyd. pag. 23. al detto anno; e può vedersi anche il Padre Pancrazi Tom. I. par. 2. cap. 1. Pericle governò solo Atene dalla olimpiade lxxxiii., e d’allora cominciò le sue fabbriche più sontuose. Non valutando l’opinione del sig. Denina, Istoria della Grecia, Tom. iI. lib. VII. cap. IV., il quale pretende senza darne veruna prova, che non prima dell’olimpiade lxx. s’incominciassero a tagliare, e con certe regole impiegare sassi, e marmi dai Greci in gran parte di quelle opere, che per innanzi faceansi di legno; si può ben dire che vi passasse qualche tempo dalla fondazione della città alla erezione di quelle grandi fabbriche; e che questo tempo arrivasse fin circa i tempi di Pericle. Pare che Diodoro non le porti molto avanti all’olimpiade xciii, col dire, che desse erano un grande argomento della ricchezza, potenza, e grandiosità degli Agrigentini in quella età: magnificentiam illius ætatis hominum ostendit. Vedasi qui appresso nella spiegazione delle Tavole in rame al numero iI. di questo Tomo, ove meglio tratteremo della Storia dell’Architettura in Grecia, e in queste altre parti. - ↑ Relation abrégée du Voyage litter. ec. Acad. des Inscript. Tom. VII. Hist. pag. 350. [ Vitruvio lib. 4. cap. 7. parla di un tempio di Pallade in Sunio nell’Attica; e chi sa che non sia lo stesso, di cui parla Fourmont?
- ↑ Ha ciò eseguito in qualche modo il nostro Autore colle Osservazioni sull’Architettura messe qui avanti, che ha scritte dopo quello opuscolo sui tempj di Grigenti. Nella prefazione ad esse trattasi anche di quelli, che hanno dati i monumenti della Grecia per l’arte.