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CAPITOLO QUINTO
La morale fut absolument dénaturée entre les mains des casuistes; elle devint étrangère au cœur comme à la raison: elle perdit de vue la souffrance que chacune de nos fautes pouvoit causer à quelqu’une des créatures, pour n’avoir d’autres lois que les volontés supposées du Créateur: elle repoussa la base que lui avoit donnée la nature dans le coeur de tous les hommes pour s’en former une toute arbitraire.... pag. 414.
Benchè non abbiamo nè il desiderio di difendere i casisti in monte, come sono presentati nel testo che esaminiamo, nè le cognizioni per difenderne neppur uno, crediamo di potere appellar francamente da una<section end="s2" condanna che li comprende tutti. Una tal condanna è evidentemente, non solo altrettanto arbitraria, ma meno ragionevole di quello che sarebbe una giustificazione ugualmente generale. Independentemente da ogni altra considerazione, e secondo le sole probabilità umane, come pensare che, tra tanti scrittori di quella materia, alcuni de’ quali noti per sapere e per santità di vita, non ce ne siano di quelli che abbiano rettamente e utilmente applicata la morale cristiana ai casi particolari di cui trattavano?
Ma siccome la Chiesa è poco sopra accusata d’aver sostituito lo studio de’ casisti alla filosofia morale; e siccome il non tenere altra norma, che le volontà (non supposte ma rivelate) del Creatore non è una massima privata de’ casisti, ma universale della Chiesa, così queste censure vengono a ricadere sopra di essa. A ogni modo, credo bene d’esporre lo spirito della Chiesa su questo punto, per mostrare che ciò che viene da lei è sapientissimo, e per impedire che le si attribuisca ciò che non è suo. Che se l’intenzione dell’illustre autore non è stata di censurare la Chiesa, tanto meglio: io avrò avuto il campo di renderle omaggio, senza contradire a nessuno.
La Chiesa non ha poste le basi della morale, ma le ha trovate nella parola di Dio: «Io sono il Signore Dio tuo1:» questo è il fondamento e la ragione della legge divina, e per conseguenza della morale della Chiesa. «Il principio della sapienza è il timor di Dio2.» Ecco le basi sulle quali sole la Chiesa doveva edificare.
Ma col far questo ha essa potuto distruggere le basi naturali della morale, cioè i sentimenti retti, ai quali tutti gli uomini hanno una disposizione? Tutt’altro, giacchè questi sentimenti non possono mai essere in contradizione con la legge di Dio, dal Quale vengono anch’essi. La legge è fatta anzi per dar loro una nova autorità e una nova luce, onde l’uomo possa discernere nel suo core ciò che Dio ci ha messo da ciò che il peccato ci ha introdotto. Perchè, queste due voci parlano in noi; e troppo spesso, tendendo l’orecchio interiore, l’uomo non sente una risposta distinta e sicura, ma il suono confuso d’una trista contesa. Di più (e quanto di più!) la legge divina ha estesi que’ sentimenti al di là della natura; gli ha sollevati di novo al loro oggetto infinito, dal quale il peccato gli aveva sviati. Conformare la morale a questa legge, è dunque un farla essere conforme al core retto e alla ragione perfezionata. E questo ha fatto la Chiesa; e essa sola può farlo, come interprete infallibile e perpetua di questa legge.
Perchè, cosa giova che il regolo sia perfetto, se a chi lo tiene trema la mano? A che varrebbe la santità della legge, se l’interpretazione ne fosse abbandonata al giudizio appassionato di chi ci si deve assoggettare? se Dio non l’avesse resa independente dalle fluttuazioni della mente umana, affidandola a quella Chiesa che ha promesso d’assistere?
Se dunque il riguardo al dolore degli altri, se il dovere di non contristare un’immagine di Dio, è uno di questi sentimenti stampati da Dio nel cuore dell’uomo, la Chiesa non l’avrà certamente perduto di vista nel suo insegnamento morale, perchè non l’avrà perduto di vista la legge divina. Così è infatti.
È insegnamento catechistico universale, che i peccati s’aggravano in proporzione del danno che con essi si fa volontariamente al prossimo.
La Chiesa insegna esser peccati una quantità d’azioni, alle quali non si può assegnare altra reità, che il torto che con esso si fa a degli altri.
L’intenzione d’affliggere un uomo è sempre un peccato: l’azione più lecita, l’esercizio del diritto più incontrastabile divenuta colpevole, se sia diretto a questo orribile fine.
La Chiesa ha dunque tenuto di vista tal sentimento; e ci ha poi aggiunta la sanzione, insegnando che il dolore fatto agli altri diventa infallibilmente un dolore per chi lo fa; il che la natura non insegna; nè la ragione potrebbe acquistarne la chiara e piena certezza, senza l’aiuto della rivelazione.
La Chiesa vuole che i suoi figli educhino l’animo a vincere il dolore, che non si perdano in deboli e diffidenti querele; e presenta loro un esemplare divino di fortezza e di calma sovrumana ne’ patimenti. Vuole i suoi figli severi per loro; ma per il dolore de’ loro fratelli li vuole misericordiosi e delicati; e per renderli tali, presenta loro lo stesso esemplare, quell’Uomo-Dio che pianse al pensiero dei mali che sarebbero piombati sulla città dove aveva a soffrire la morte più crudele3. Ah! certo, non lascia ozioso il sentimento della commiserazione quella Chiesa che, nella parola divina di carità, mantiene sempre unito e, per dir così, confuso l’amore di Dio e degli uomini: quella Chiesa che manifesta il suo orrore per il sangue, fino a dichiarare che anche quello che si sparge per la difesa della patria, contamina le mani de’ suoi ministri, e le rende indegne d’offrire l’Ostia di pace. Tanto le sta a core che si veda che il suo ministro è di perfezione: che se ci sono delle circostanze dolorose, nelle quali può esser lecito all’uomo di combatter l’uomo, essa non ha istituiti dei ministri per far ciò che è lecito, ma ciò che è santo; che quando si creda di non poter rimediare ai mali se non con altri mali, essa non vuole averci parte; essa il cui solo fine è di ricondurre i voleri a Dio; essa che riguarda come santo il dolore, solamente quand’è volontario, quand’è una espiazione, quand’è offerto dall’animo che lo soffre.
- ↑ Ego sum Dominus Deus tuus. Exod. XX 2.
- ↑ Initium Sapientiae timor Domini Psal. CX. 10. Eccl. I, 16. Prov. I, 7. Ibidem IV, 10.
- ↑ Et ut appropinquavit, videns civitatem, flevit super illam. Luc. XIX. 41