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ACCANTO A ROMA.

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I.
 
  Signor, ch’è mai questo terribil giuoco
De la fortuna? quel finir quïeto
Di Silla, e l’aspro argomentar di Bruto
Morïente a Filippi? Un dì la croce
Si glorïò d’aver infranta e spersa
La statüa granitica dell’orba
Deità del Destino: ond’è che il vecchio
Nume, pare che ognor si rinnovelli
D’arcana vita, e calpestando il giusto
Misero, e l’are dell’amabil Dea
Provvidenza, vi salga inesorato
Derisore? Perchè questa perenne
Felicità dei vïolenti? e questa
Rea servitù che sol muta di nome?
Iddio d’amor, perchè questo implacato
Odio di schiatte? e per ghermire un santo
Dritto, questo passar per una via
Di congiure, di forche, e di ferocie
Ne le battaglie? Ov’eri tu, Signore,
Quando per fieri e lunghi anni una gente
Flagellò la sorella? E dove sei

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