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Reggia, tribuna e arena di battaglie.
Ora a lungo oblïata, almeno un giorno
Di patria rabbia fieramente anela
Di sonare a martello. — Un vaticinio
Che parla di redenti esce da i mille
Incliti avelli, ond’è gremita questa
Terra custode d’immortali morti. —
Si solleva dall’isole, da i monti,
Da le cento cittadi una preghiera:

  Iddio, se mai novellamente a questa
Lagrimevole valle il vïatore
Tuo Spirito ritorna, oh ti ricordi
Che cinta da tre mari àvvi una patria
Che si nomina Italia; e Tu le sparte
Sue membra ricomponi. Ivi nel mezzo
Fra le cento cittadi è una cittade
Da bugiardi profeti affaticata
Che si nomina Roma; e tu la rendi
Ai nipoti de gli avi. In fuor di noi
Chi puote dir che ne la sua famiglia
L’eredità di Romolo discenda?
Quella ruina veneranda è nostra;
Ella composta de le nostre argille:
Se cosa alcuna di straniero è in essa,
Sono il pianto e le ceneri dei servi
Ch’ivi traemmo da la vinta terra.
Scendete pure, o barbari, dall’Alpe
A ritorvi quel pianto. - E tu, Signore,
Fa’ che non scemi d’alimento mai
Quella nobile fiamma: affretta il giorno
Che suoni ad ira la campana antica:
Odi la prece: il vaticinio adempi.

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