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Scontarne con servili anni le colpe.
Una letal vacüità di canti
Paghi a ridir le molli primavere,
I ruscelletti queruli, l’argenteo
Luccicar dei sereni astri su l’acque
Spirò per l’aure torpide. Ricinta
Di papaveri il crin, venne la Musa
Verginella per l’orgie, e per le scale
Patrizie, e per le reggie affaticata:
Ivi guastava la sua vesta, il puro
Idïoma natio, d’oltramontane
Bende e d’orpelli; in fin che tralignata
A lo stranier, che ne dispregia, i voli
De la libera mente assoggettava;
E come fosse figlia a nebulosi
Scaldi, cresciuta a stille d’idromele,
Cantò treggende, e per le fosche lande
Illuminate dai folletti, i salti
De le lubriche streghe, e l’unghia fessa
Del satanico capro, e le macabre
Danze. Cantò le tacite badíe,
E gl’infingardi fraticelli; e l’urne
Covi di spettri: e su veroni acuti
Furtivi amor di eterne castellane
Che obbliano in adúlteri sospiri
La lontananza del fedel crociato:
E angoscie finse, e simulò letizie
Con quell’accento che non vien dal core.
Ahi! Ghibellin che non lasciasti erede!

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