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lettere a maria. 139

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Un istinto di sole, un indefesso
Desiderio di luce.
                                   In alto passa
Una riga di gru, volta ai diletti
Nidi lasciati ne le calde terre:
Per tutto il remigato aere colonna
Milïaria non è che loro apprenda
Per quali monti, per qual mar s’arrivi
A le dolci dimore. Uno più assai
Sapïente di lor, pose in quell’ali
De la, patria l’istinto.
                                              E tal, Maria,
Come a la patria de la luce, attrae
Un istinto le meste anime al cielo.

  Ma tu sorridi come chi sentisse
Pietà superba de le mie credenze;
Dubiti forse, o bella nazzarena,
Dell’avvenire del sepolcro? Porgi
Qui la tua mano candida; una bruna
Zinganella che il grande occhio di foco
In remota schiudea valle boema,
Sui rosei solchi de le aperte palme
M’apprese. a studïar l’intime fedi
Onde un’anima è paga o irrequïeta...
Ohimè, povera amica, io ti compiango,
Chè all’avvenir del tumolo non credi!

  È ver; come apparía sovra una porta
Trista di Tebe un tempo in su la sera
Cupa una sfinge, e provocava a sfida
Ogni indovino con dimande arcane.

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