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canti patrii. 263

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Del colono che trema,
Di febbre in su lo strame,
Il verno, l’inclemente
Gabelliere e la fame.

III.

  E tu, di’, per che modo
Se’ sbocciata quaggiù su questo ciglio
Inavvertito, languida vïola,
Come fanciulla sola
In paese d’esiglio?
Non senti tu la mesta.
Fuga del giorno corto,
E su la gracil testa
Piover con lento vortice le foglie
Del carpino imminente,
Quasi crini d’un morto?
Questa, che morde gelida, non senti
Aura dell’alba che passò del Baldo
Su le nevi recenti?
Non ti mette paura
A te soletta, a sera
Veder le nebbie sorgere dal prato,
Come bianche fantasime vaganti
Per l’erbe del sagrato?
E ne la notte pura
Veder brillare il Carro arrovesciato
E le spere fiammanti
Dell’Orïone infausto,
Del qual non ebber conoscenza intera
Mai le sorelle tue di primavera?

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