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canti patrii. 267

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Canizie discopria;
E passato l’istante
D’un silenzio che prega e che sublima,
Tornava al plauso e al favellío di prima.

III.

A que’ dì invïolate eran le imposte
Lasciate aperte del fidato ostello;
Allor del camperello
Su le patenti coste
Maturavan le frutta invïolate;
Al colmo de le nere
Notti, pei trivii, senza alcun sospetto
Mover potea soletto il passeggiere.
Securo era il pudore
De le fanciulle, e fido
Il grembo de le nuore;
E riverita come santa cosa
La vecchierella annosa;
E santo il giuro; e santo
De la sventura il pianto;
E su la soglia accolto
Del povero l’aspetto,
Come d’amico che ritorna, il volto.
Una palmetta d’intrecciata uliva,
Simbolo allor verace
Di casalinga pace,
Pendeva a capo d’ogni casto letto,
E un’aura sana di virtude usciva
Dal breve cimiterio benedetto.

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