< Pagina:Aleardi - Canti, Firenze 1899.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.
364 canto politico.

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Aleardi - Canti, Firenze 1899.djvu{{padleft:404|3|0]]

Non ultimo poeta,
Un saluto t’invio. Certo mia madre,
Santa com’era, divinando il figlio,
Me al nascere di panni
Tricolori fasciò. Sin da fanciullo
Arsi d’Italia, e ne la diva morta
Presentii la risorta
Del Campidoglio. Nè sotto l’infame
Staffil stranier, nè ai giorni
Esuli, o su lo strame
De le prigion col trave
Del patibolo in faccia, oh no, giammai
Non disperai. Tal che di fede ardenti
Sempre uscirono i carmi, e non discari
A le mie genti. Impavido cantore
Pria di civil dolore,
L’onesta arpa riprendo:
Del mio nativo ostello
Dico le glorie, e scendo
Contento nell’avello. —
Ma al suon di una guerresca melodia
Già varca il Re la via
Fatta dal nuovo suo battesmo altera;
Già varca i viscontei
Archi adorni di pensili trofei,
E sosta in mezzo a la superba piazza.
Chi è? che vuol? che cerca
Là, quella afflitta e pallida figura?
Chi la sospmge a fendere la calca?
Fate largo, o giocondi, a la sventura.
È una povera pazza
Son quattro dì che a un ciglio
Rimoto de le mura

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.