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UN’ORA DELLA MIA GIOVINEZZA.

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I.

  Pria che sulle infelici artiche terre
Scenda la notte al moriente autunno
Col suo buio di mille ore; sul lembo
Dell’orizzonte, pari ad un fuggiasco,
Va circolando il sol per lunghi giorni
D’imminente tramonto: e poi ch’è spenta
L’ultima larva de la faccia d’oro,
Un incessante vespero scolora
L’onda e le terre, e l’aquilon ricopre
Di neve alta ogni cosa, a quella guisa
Che si coprono i morti. In lontananza
Da le cozzanti Cicladi di ghiaccio
Deriva un metro di lamenti nuovi,
E spiccan su l’azzurro a poco a poco
Il solitario astro del polo, e i sette
Lumi dell’Orsa. Allor la battagliera
Stirpe dei cigni si raduna in grembo
Di recondito golfo; e detto addio
Ai bianchi monti, ai gracili ginepri,
A’ suoi talami d’alga, intuona il canto
De la partenza, e per le nubi manda

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