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lettera a raffaele rubattino. 411

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Volti, ai giulivi carmi. Da le gronde
A la porta ospital tutta un sorriso
Era la casa.
                       Quando a un tratto apparve
Un angiolo da lei sola distinto:
Avea nere le chiome e l’ali nere
Punteggiate di stelle, e nelle nere
Pupille ardeagli un lume agonizzante,
Che parea tremolar nello infinito.
«Angiol, Ella gli disse, angiolo bello,
Forse e tu pure a festeggiar venisti
La mia giornata?» — «A compierla» rispose
E in fronte la baciò.
                                        Sonava intanto
Degli auguranti calici il tintinno
Misto al volar degli epigrammi alati
Pel giardino.
                         A quel bacio ella un funèbre
Senti brivido al cor; livida cadde
E giacque; e a te che genuflesso insieme
All’atterrito sposo, il morïente
Capo le sorreggevi, o Raffaele,
Dal fondo occhio mandò lungo uno sguardo
Santo compendio d’una vita intera,
E con tremula man cennò l’estremo
Addio, che il labro più dir non valea.
  Ella morì. — Di lei che resta? — Ascolto
Da le operose uscir dotte officine
D’una scienza prometèa, che indarno
Suda ostinata ad involar l’arcana
Scintilla de la vita, una insistente
Voce che grida: «Nulla.» — E quella tetra
Voce mi fere qual gelata lama

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