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poemetto giovanile. 427

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Braccio aiutando l’altre membra inferme
Si traeva fin dove un mormorío
Di ruscello si udía. Come fu presso,
Alzò lo sguardo. Due raminghi cani
Rodeano i fianchi d’un corsier caduto;
Lo guardò, lo conobbe a le fastose
Briglie, che un giorno l’amorosa mano,
Gli ozi allegrando dell’areme, avea
De la madre trapunte oh! non per questa
Notte d’angoscia: lente per le guance
Sceser due stille, e nel pensier deliro,
Siccome in sogno, gli tornò quel tempo
Che su i pascoli d’Angora volava,
Invidïato vincitor del vento,
Sovra l’arabo dorso; e fra i vïali
Di gelsomin che il Bosforo riflette,
Perigliando nel corso, a sè traea
L’occulto sguardo de le turche spose.
E gemette profondo, ed un intenso
Disio l’assalse del materno volto;
Ed abbracciato con amore il collo
Al corsier de’ suoi dolci anni, moriva
Chiamando il nome di sua madre; e i cani
Frattanto ingordi proseguiano il pasto.

  Ma chi ti spinse a navigar per queste
Acque, infelice giovinetto, contro
Un popolo innocente, a disertarne
Le case e i cólti, a vïolar le figlie?
Forse, notturno traditor, la spalla
Col pugnal ti sfiorava un uom di Cipro
Perfidamente? o una fidata sera
Spingea la face a incenerirti i lari?

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