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434 arnalda di roca

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Che la patria perdiam, parmi delitto
Un accento d’amor, qual se proferto
Presso il guancial d’una madre che spiri.”

  “Oh, non affatto nel mio seno, Arnalda,
È consunta la speme, ove una lancia
E un’anima ci resti; ed oggi pure
N’è promessa una pugna; ultima forse
E felice, chè insolito tumulto
Erra là basso ne le tende; e il padre
Tuo m’invïava i riposati servi
Qui a ragunar.”

                             “Oh caro! tu mi parli
D’una speranza, che non ài nel core.
Mira là su: non so perchè, ma quello,
Certo è un presagio che ne manda Iddio.”

  Ed ambi vêr le cupole di Santa
Sofia drizzâro le pupille afflitte.
Dall’aguglia maggior, che pari a snello
Pino lanciava verso il ciel la punta,
Una palla nimica avea d’un colpo
Svelta la croce; ed or pallida, scema,
Su quella punta passava la luna;
E l’aguglia fedel l’empia sembianza
D’un infedele minareto avea.
“Vedi, Nello, la chiesa ove sovente
Inginocchiati al vespero pregammo
Pace all’ossa materne, ohimè! sur essa
D’una meschita l’avvenire incombe.”

  “Lascia, o cara, il terror de’ tuoi presagi;
Torna secura, ed animosa; in petto

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