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442 arnalda di roca

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Porta un rivo di sangue; e all’alba nova
La città del suo cor gli si presenta
Di carnefici ostello e di defunti,
E forse a lui serbata obbrobrïosa
Morte, o l’onta del remo, o la miseria
Dell’esule che va limosinando
Quel duro pane che gli fia negato
Da lo stranier con un insulto; mira
L’ignominia abitar ne le sue case
Donde gli sembra uscire un grido: — il grido
Di Arnalda vïolata. A quella atroce
Immagine, lo sguardo avido volge,
La sua diletta ricercando; ed ella
Gli stava in atto affettüoso accanto,
Come angiolo compagno. E la figura
Ti parea de la vergine, che un giorno
Con l’arpa fida seguitava i passi
Del cantor di Fingallo, allor che il bardo
Per dirupi scorgea meditabondo;
Mentre ei sul piano risonar di Lena
Sentía il fragor de le passate mischie
Eroiche e il picchio dei ferrati scudi,
E pel torbido mar le remiganti
Navi, e la sfida dei rinati prodi;
E lampeggiando ne la fervid’alma
Proromper l’estro de gli eterni carmi.

  “Togliti, Arnalda, a questa torre; vedi
Come il Signor vi semina la morte;
Qui la tua vita e il mio coraggio è in forse:
Vanne, ripara a la difesa torre
De la nostra dimora; e presso l’ara,
Presso l’avello di tua madre prega....

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