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458 | arnalda di roca |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Aleardi - Canti, Firenze 1899.djvu{{padleft:498|3|0]]
Avvelenato dall’acuto dente,
Morto le cade da la man di gelo.
Per quei vapori, ovunque ella si volga,
Vede sempre un crudel volto che ride
Insultando e la fissa; e cento braccia
Lunghe, villose, col pugnale in alto.
Il sacerdote, il fidanzato, il raggio
Dileguano, e il sì dolce organo è muto;
E sol per gli ambulacri ultimi il tristo
Nitrito ascolta d’un caval morente.
Ella ghermita da una man di ferro
Depor si sente dentro un freddo marmo.
Trepida gira la pupilla, e vede
Che quel gelido marmo era un sepolcro,
Con dentro un morto, e il morto era suo padre:
E già un grido mettea....
Ma un’oppressura
Più tormentosa, un faticato corso,
Un fischiar d’affannosa aura pei crini,
Scotean la sognatrice; e si mutava
De le feroci fantasie la scena. —
All’improvviso le parea quell’urna
Commoversi co’ suoi grifi di pietra,
Ed uscire dal tempio: e la persona
Morta, tremendo guidator, sedea.
E correano, correano per le vie
Note, pei suburbani orti, sui clivi
Precipitosi e lungo le campagne
Rapidissimamente. E lo splendore,
Che illuminava il disperato corso,