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32 | il volta alpinista |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Alessandro Volta, alpinista.djvu{{padleft:36|3|0]]succede immediatamente ad una gola buia, stretta e profonda, il cui aspetto sgomenta il passeggero. Tale è la valle tra Orsera e l’Ospedale.
«Venendo da Altorf si sale per molte ore la Valle del Reuss, che sempre più si ristringe, e sempre più le rupi addossate sopra le rupi vi si ergono altiere e minacciose, e il nudo delle loro visceri ne si mostra dagli aperti fianchi; si passa il famoso ponte cognominato del Diavolo (Teufels Brücke) e si arriva a un monte attraversato, che chiude il calle e che toglierebbe il passaggio, se questo non fosse stato con studio e con fatica immensa praticato dentro allo stesso macigno, il quale si vede maravigliosamente sforato da una parte all’altra. Ora sortendo da questo sforo, largo sufficientemente ed alto per passarvi a cavallo, e lungo più di 200 piedi, tutto cieco, a riserva del lume debole che vi dà un piccolo finestrello verso la metà, vi si apre l’anzidetta bellissima valle d’Orsera, piana, larga e tutta pascoli deliziosi. Ho nominato il Ponte del Diavolo, che è di là del San Gottardo poco sotto Orsera e il foro del monte. Non è questo il solo ponte arditamente gettato sopra la valle inabissata e sorretto dal ceppo nudo, il quale faccia strada da un monte all’altro; ma esso è il più notabile e maraviglioso tra i molti di questo genere che si incontrano in quel tremendo cammino, per la prospettiva terribile che offre sì da lontano che da vicino. Qui può dirsi che segga come in suo trono la Deità del terrore. Nude rupi altissime soprastanti, strada e ponte sopra il Reuss, che si sprofonda in un abisso spaventoso, sostenuti come per miracolo; di sopra il fiume medesimo formante una cascata lunga forse 300 piedi, da un’altezza che perpendicolarmente presa è più di 100, cascata che si vede in distanza rovesciarsi sopra il ponte medesimo e lunghesso scorrerne in parte le acque, in parte percuotere di quello il gran fianco arcuato, e quindi spezzate precipitare nel gorgo; tutto ciò unito insieme forma uno spettacolo che invano mi sforzo di descrivere; spettacolo che un essere sensibile e pensante mirar non può, per la prima volta almeno, senza tremare ed agghiacciare.
«Un’altra situazione che a me è parsa non men terribile, è di qua del San Gottardo, sotto il cosidetto Dazio Grande. Ivi le rupi, che son d’attorno serrate ed altissime, quasi non lascian vedere il cielo; sortono alcune dal perpendicolo e inchinate pendono sopra la valle cui minacciano di coprire. Lo spettatore non può alzar l’occhio, né abbassarlo alla valle sfondata, senza sentirsi stringere il cuore: qui non ode, non parla; qui tutta in un pensiero è concentrata la sua esistenza. Ma che vo io parlando