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ATTO QUINTO 93

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La morte, e me.

Carlo.

 Finchè n’hai tempo fuggi,
Lungi da me fuggi tu stessa: a caso75
Gomez pietà non finge: in qual cadesti
Insidioso laccio! Or sì davvero
Frem’io, davver: qual più v’ha dubbio omai?
Già penetrò del nostro cor l’arcano
Filippo.

Isabella.

 Eh nò. Poc’anzi il vidi, allora80
Che i Satelliti suoi dal suo cospetto
Traevan te: d’orribil’ira ardea:
Io l’ascoltai tremante: al tuo simile
Sospetto i’ n’ebbi pur. Ma, in me tornata
Poscia, riando le parole sue;85
E veggio ben, che, fuor di questa, ogni altra
Cosa pensa di te.... Perfin sovviemmi,
Ch’ei t’imputò d’insidiar fors’anco
Col suo vivere il mio.

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