< Pagina:Alfonso Varano - Opere scelte 1705-1788.djvu
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Che volto a me: Mira, gridò, qual hanno
  Vena di duol feconda i miei martiri;
  117Mira in me quanto incrudelir mai sanno.
Tu in me non scorgi, ovunque il guardo giri,
  Fuorché lutto e squallor. Pari mai férse
  120I tuoi, di cui ti lagni, ai miei sospiri?
E ad una ad una a me l’aspre diverse
  Pene dell’Alma afflitta, e i moti amari
  123Dell’agitato immaginar scoverse.
Tacqui, e gelai; ma fin d’allor più cari
  I dolor tenni, e impresso in me cotanto
  126Fra i desir giacque alla ragion contrari
Quest’obbietto d’amor degno e di pianto,
  Che in carte il pinsi, e di quel poi ch’io scrissi
  129Altri, chè a Dio sì piacque, ebbene il vanto.
E tu a spettacol benché atroce fissi
  Rivolger sdegnerai gli sguardi tui,
  132Qual se te stesso a certa morte offrissi?
Ah! troppo dolce è quel sentier, per cui
  Te guida il Ciel, che a ben oprar t’invita
  135Co’ tuoi non già, ma cogli affanni altrui.
L’Alma mia fra’ pensier misti smarrita
  D’amor, di gaudio, di rossor, di tema
  138La via negommi al favellar spedita,
E della prima invece a me l’estrema
  Parte de’ sensi miei sul labbro pose,
  141E questa, o in sè discorde, o scura, o scema;
Ma alfìn tornando in me ragion, rispose:
  Ben giusto è ch’io paventi, e fuggir brami
  144Piaghe serbate ai rei tanto penose;
Che il mio fallir vuol, che me reo pur chiami,
  E mia viltà, ch’io pel rossor m’asconda,
  147E il gaudio pel comun sangue, ch’io t’ami,

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