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E a me il sereno tuo lume comparti,
  Tal ch’io per te rischiari in sì grand’uopo
  183La buja notte delle medich’arti.
Scosse la Donna il capo illustre dopo
  Sciolto un sorriso aver dal labbro appena,
  186E disse: Ah tu de’ tuoi desir fai scopo
Una cagion d’ombre invincibil piena,
  Che Dio lascia, che l’Uom la tenti invano,
  189E la nebbia non mai gli rasserena.
Or mentre il penetrar più addentro è vano,
  T’accheta, e al sommo il tuo voler inchina.
  192Ben fu, poiché previde il fallo umano,
Conveniente alla Ragion divina
  Con tal di sapienza ordin sublime
  195Formar l’aria e la terra al mar vicina,
Donde nascesse fra le pene prime
  Tremoto, o peste, che feral serpeggi
  198Carca di spoglie in crudeltate opime;
Ch’util conobbe all’Uom, ch’ei spesso ondeggi
  Fra le atroci di morte immagin vive,
  201Perchè fido ubbidisca all’alte Leggi.
Poi narrando seguì quai porti e rive,
  Quai regni già l’orribil morbo oppresse;
  204Come le genti d’ogni aita prive
Volser a Dio quelle pupille stesse
  Use a nutrir nell’Alma amor non puro,
  207E pianto apparve, e pentimento in esse.
Così parlando ad or ad or del duro
  Obbietto del cammin dal carro acceso
  210Lunghi aerei sentier varcati furo.
Che oltrepassò l’Emilia, e lo scosceso
  Appennin Tosco, e il memorabil Lago,
  213Dove a terra il Roman Consol fu steso

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