< Pagina:Alfonso Varano - Opere scelte 1705-1788.djvu
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Tacque; e lo spettro, che parve arte maga,
  Sì mia mente allettò, che non rimase
  315Sazia di meditarlo unqua, nè paga,
Finche l’estrema il carro onda non rase
  Del Faro procelloso, e dell’ingrata
  318Città non giunse all’infelici case.
Qui scendemmo ambi; e l’Alma mia turbata
  Nel punto fu che dileguossi il cocchio;
  321Tal che gridò la Guida: Il tuo che guata
Sbigottito all'intorno e torbid’occhio,
  Scopre il timor, e fede a quel ne accresce
  324Co’ passi incerti il tremolo ginocchio.
Pur mi segue il tuo piè, mentre gl’incresce
  Seguirmi; e ben scuso il terror natìo,
  327Che con tua fiacca umanità si mesce.
Non paventar: tornerai salvo: ed io
  Riconfortato allor dalla sua voce
  330Le pavid’ombre mie posi in obblio.
Or qual Uom fia d’animo sì feroce,
  Che almen di poche lagrime non bagni
  333Gli occhi obbietto in mirar cotanto atroce?
Dal porto, dove il mar sembra che stagni,
  Io colla Guida qual amante figlio,
  336Che la tenera sua madre accompagni,
Presi via d’orror carca e di periglio,
  In cui morte di mille umane spoglie
  339Lordo rendea l’insanguinato artiglio.
Fuor dell’abbandonate immonde soglie
  Giacean gli avanzi della plebe abbietta
  342Su vili paglie, e infracidite foglie:
Altri con gola orrendamente infetta
  Di gangrenose bolle; altri avvampati
  345Il petto da fatal febbre negletta;

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