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Altri da lunga fame ornai spossati,
  Non pel velen, ma pel languore infermi,
  348Fra l’altrui membra putride sdrajati;
Ed altri in lor natio vigor più fermi,
  Benché lasciati sotto i corpi estinti,
  351Sórti fra l’ossa accatastate e i vermi;
Ma di squallor mortifero dipinti,
  E per orecchie róse, e labbra mozze
  354Dai volti umani in modo fier distinti.
Le illustri Donne a par delle più rozze
  Al comun fonte per attinger l’acque
  357Gìan nude il piede, e il crin incolte, e sozze;
E chi di lor nel sonno eterno tacque
  A un lieve sorso, e chi raminga e sola
  360Pria di giunger al fonte esangue giacque.
Gli amici, cui parte d’affanno invola
  L’alterna vista, si guatavan fiso
  363Nel mesto incontro senza far parola:
Poi fra il duol ristagnato all’improvviso
  Sì dirotte spargean lagrime acerbe,
  366Che avrìan un sasso per pietà diviso.
Talor silenzio, qual avvien, che serbe
  L’aria muta fra inospiti deserti
  369Colmi di sabbia, e d’acque privi e d’erbe,
E singhiozzi talor fiochi ed incerti;
  Poi strida alte e ululati, e in flebil metro
  372Querele erranti per gli spazj aperti,
Sì che il lor suon acutamente tetro
  Crescea più raddoppiato, e in sé confuso,
  375Dal mar, dai monti ripercosso indietro.
Ogni tempio era infaustamente chiuso:
  Immoti i sacri bronzi, e alle notturne
  378Lampade tolto di risplender l’uso:

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