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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Alfonso Varano - Opere scelte 1705-1788.djvu{{padleft:132|3|0]]
Nulla scemò d’amaro alla mia pena;
Ma qual ferro airmato in su l’incude,
216D’ogni vil la spogliò parte terrena.
Queste le spine fùr pungenti e crude
Fitte in me sul confili del viver lasso,
219Che Amor pria m’intrecciò, poscia Virtude.
Fra queste giunta al periglioso passo
Dal sen disciolsi un’infelice Prole
222Spenta ne’ sensi, e indifferente a un sasso.
Cinta da queste al tramontar del sole
Ultimo ai giorni miei fredda qual gelo,
225Muta pel labbro chiuso alle parole,
E ingombra i lumi da un funesto velo
Donai quant’ebbi di più caro in vita
228A Lei, che mi volgea gli occhi dal cielo;
E mentre a Lei, che mi porgeva aìta,
Per lasciar la Germana io mi conversi,
231E la tenera insiem Madre smarrita.
Del pianto estremo le mie gote aspersi,
Ma lo Sposo in offrir stetti sospesa,
234Poi diedi un gran sospiro, e alfin l’offersi.
Ah! vedi: Ecco la via dai raggi accesa
Della Donna immortale, e gli splendenti
237Archi e trofei della divina impresa.
Vedi: e appena compiè gli ultimi accenti,
Che nuove e ignote all’Uom terre vid’io,
240Come in un mar d’immensa luce ardenti.
Era luce il sentier, poiché sparìo
Il primo che calcai; luce eran gli archi,
243Sotto cui l’ampia strada a me s’aprìo:
Nè i pilieri s’ergean di luce parchi,
Che in doppia fila un vago ordin conduce
246Di tinte in vivo lume immagin carchi;