< Pagina:Alfonso Varano - Opere scelte 1705-1788.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.

sesta 121

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Alfonso Varano - Opere scelte 1705-1788.djvu{{padleft:143|3|0]]

Giudica or tu, se puoi, qual turbin denso
  Di pene eguale al tempestar marino
  579Con acerbo l’assalse impeto intenso.
Sappi, che a morte fu quel cor vicino,
  Cui spada sì crudel le fibre infranse;
  582Che fu sommo il dolor, perchè divino.
E tu, se pietà vera il duro franse
  Vincol de’ falli tuoi, bacia devoto
  585La spada, e adora in lei quella che pianse.
Poiché l’Angelo appien pago il mio voto
  Rese, l’ordin svelando atroce e scabro
  588Di sì gran lutto agli occhi umani ignoto,
Appressò al labro mio la spada, e il labro
  Ne toccò appena il fil tagliente e crudo,
  591Temprato a doglia dall’eterno Fabro,
Chè nè il loco, o la Diva a me fé’ scudo
  Contro all’immenso affanno, e caddi, e svenni,
  594Qual cade a terra un Uom di vita nudo.
Ben fu dono del Ciel, ch’io non divenni
  Cadaver freddo, e fra cotanta asprezza
  597A pascer le vitali aure io rivenni.
Ma d’allor nacque in me una fonte avvezza
  Perpetuo ad isgorgare umor pietoso
  600«Dal cor pien d’amarissima dolcezza.
Mentre i miei primi uscìan dal sen doglioso
  Segni di lutto, un’Alma il canto sciolse
  603Fra quelle or ora ascese al gran riposo,
E gridò: Gloria a Lui, che in gaudio volse
  Le nostre pene, e col suo Sangue sacro
  606Que’, che il fallo annodò, ceppi ne tolse.
E tu, che al suo morir festi lavacro
  Di lagrime divine i lumi tuoi,
  609Odi i caldi, che a te voti consacro:

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.