< Pagina:Alfonso Varano - Opere scelte 1705-1788.djvu
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Al terminar delle pie voci un rado
  Nuvol l’obbietto ombrò sì, che il perdei
  276Fra la caligin sorta a grado a grado;
E poi che penetrar più non potei
  Al Tempio, l’appannata aria tentando,
  279Volsi agli armati campi i lumi miei.
Nè in atto di pugnar vidi un sol brando,
  Benché libero agli occhi il varco io diedi;
  282Ma il Duce mi guatò bieco gridando:
Tu, che sì neghi a me fede, che vedi?
  Nulla, diss’io, che il gran cimento appresti;
  285Ed ei soggiunse: E perchè a me non credi?
Della battaglia Dio serba i funesti
  Principj all’Austro, e all’Aquilon tu miri?
  288Ritorna il guardo là donde il togliesti.
Muto, qual Uom, che in suo fallir sospiri,
  Rivolsi gli occhi; ed oh mirabil mostro!
  291La nube, che sembrò nebbia che giri,
Di ceruleo color dipinta e d’ostro
  Listato d’ombre nere alta levosse,
  294E la parte offuscò tutta dell’Ostro;
E dove il centro suo parea che fosse,
  Infra turbini orribili e fra lampi
  297Colla visiera alzata Angel si mosse,
Che si librò sovra gli aerei campi
  Scuotendo tromba di terribil suono;
  300Poi, dove avvien, che più la nube avvampi.
Uscì tal voce: Io, che son quel che sono,
  (Tremàro allor le selve, i monti, i piani,
  303E il turbo acceso ammutolissi e il tuono)
Parlo a te, che slegasti ai dì lontani
  I quattro Angeli avvinti entro l’Eufrate
  306Custodi dei confin Parti e Romani,

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