< Pagina:Alfonso Varano - Opere scelte 1705-1788.djvu
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Sì ch’io credei di rara fede un pegno
  Sciorme dal fido Sposo, e di lui farme
  216Presso al gran Padre mio scudo e sostegno.
Or chi potrà viva un’immagin darme
  Del mio Real Consorte, o con un lieve
  219Sogno dinanzi a lui misera trarme?
Conforto a me fra la procella greve
  De’ mali miei fora un sol guardo, e un solo
  222Accento suo, benché sognato e breve.
Ei non presago di cotanto duolo
  Le impresse in carte forse attende e spera
  225Amiche note dal mio patrio suolo:
Ma oimè! ch’altra vedrà squallida e nera
  Lettera nunzia d’immaturo fine
  228Segnata a lutto da funébre cera.
Con quai d’acerbo affanno acute spine
  Trafiggerallo Amor, che forze piglia
  231Quanto più avvien, che nel martìr s’affine!
Qual rimarrà la sconsolata Figlia
  Nel punto infausto, e quanta fonte amara
  234Le pioverà dalle pietose ciglia!
Ah di me parte sfortunata e cara!
  Io già t’avea pel marital tuo letto
  237Destata face oltre ogni lume chiara,
Per cui fra quanti eletti fùr più eletto
  Vincol di sacro Amor te stringa, e aduni
  240Gloria e delizia nel pudico petto;
Or poiché Morte i fiori cangia in pruni,
  Del nuzìal serto gemmato in vece
  243Vestirai l’atre lane e i veli bruni.
Deh! qual mio voto, o lagrimevol prece
  Impetra a me, che con le mie t’annodi
  246Braccia, finché piegarle ancor mi lece?

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